La diffamazione al tempo dei social network

L'avvocato Salvatore Frattallone (credits: View Net Legal)

La quinta sezione penale della Cassazione ha depositato lo scorso 1° febbraio la sentenza n. 4873/2017 secondo la quale il social network Facebook è mezzo di diffusione dell’informazione distinto dal concetto di stampa. Postare dei commenti offensivi su Facebook rappresenta, secondo la Suprema Corte, il reato di diffamazione aggravata dal “mezzo di pubblicità”, meno grave della diffamazione aggravata a mezzo stampa. La Corte ha così distinto nettamente lo strumento del social network dai mezzi di comunicazione classici. Lo stesso concetto di diffamazione a mezzo di pubblicità può essere riferito anche ai blog, i forum, le newsletter, le mailing list, mentre nel concetto di stampa ricadono le testate giornalistiche online.

L’avvocato Salvatore Frattallone (credits: View Net Legal)

La portata della sentenza in campo sanitario

La sentenza è stata commentata dall’avvocato Salvatore Frattalone, chairman del network View Net Legal, esperto di privacy e di responsabilità sanitaria e già membro della Commissione istituzionale che ha redatto il ‘Codice di deontologia e buona condotta per svolgere investigazioni difensive e per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria’. Nonostante la maggior parte dei casi di malasanità non assurgano alla ribalta delle cronache, la raccolta di questo tipo di documentazione tramite smartphone – che facilita la ripresa o la registrazione anche all’insaputa dei sanitari – secondo Frattallone potrebbe prefigurare un illecito o, nei casi più gravi, il reato di diffamazione. Secondo l’esperto legale, in molti casi le persone interessate si limitano a lamentarsi sui social, senza giungere a presentare denuncia. Una pratica comunque non esente da rischi, in quanto “il paziente che riprenda un’operazione sanitaria o che scatti delle fotografie di luoghi o persone impiegate all’interno di una struttura sanitaria rischia di violare il decreto legislativo n° 196/03 e d’incorrere nella commissione di un reato”, ha spiegato Frattallone.

Riprese solo per uso personale

L’articolo 5 del Codice per la tutela dei dati personali privacy, infatti, prevede che l’acquisizione di immagini di persone sia soggetta alle norme di tutela della riservatezza qualora destinata ‘a una comunicazione sistematica o alla diffusione’. Proprio come nel caso di un video postato su Facebook, ad esempio. La raccolta libera di video o audio è possibile solo per un uso all’interno della sfera personale di chi li acquisisce, senza farne altro uso. È quindi possibile, ad esempio, riprendere il medico per riascoltare la registrazione a casa ed essere sicuri di ricordare come assumere i medicinali. “Mentre si parla di ‘diffusione’ quando si dà conoscenza reiterata dei dati personali altrui (ad esempio l’immagine del volto che può svelare l’identità del soggetto ripreso, peggio ancora se a sua insaputa) se la trasmissione coinvolge un numero indeterminato di soggetti oppure se è rivolta a persone dall’identità incerta”, ha sottolineato Frattallone. La ‘comunicazione sistematica’, equiparata alla diffusione, si verifica quando l’invio di un post con foto o registrazioni di voce altrui è ripetuto. Un uso legittimo, oltre al desiderio di testimoniare fatti importanti della propria storia, è per esempio quello volto all’acquisizione di prove da utilizzare per sporgere una querela o per promuovere una causa civile a tutela di un proprio diritto. L’avvocato Frattallone ha spiegato che un familiare della persona ricoverata può riprendere il parente per uso personale, senza postare il video. Ma la ripresa destinata ad essere postata sui social abbisogna del consenso scritto delle altre persone riprese nella stanza d’ospedale. Non è, invece, possibile per il paziente riprendere un operatore sanitario in quanto l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori stabilisce il divieto assoluto di controllo del lavoratore tramite impianti audiovisivi o altre apparecchiature simili, salvo siano state ottenute le prescritte autorizzazioni. “In questo senso, la tutela del lavoratore deve ritenersi trasversale. Se, facciamo un esempio, un infermiere gioca al pc mentre è di turno al lavoro, la condotta può essere fotografata da un paziente ma solo per allegarla a una denuncia da consegnare alle autorità, che per accertare l’illecito dovranno comunque eseguire delle indagini su mandato di un giudice. Quindi non ogni impiego delle risorse tecnologiche è di default lecito e consentito”, ha spiegato Frattalone. Anche nel caso in cui si riprendano, anche accidentalmente, altri pazienti va loro richiesto il consenso scritto o va documentato che il permesso è stato chiesto e concesso; i loro volti, inoltre, vanno oscurati a tutela della loro privacy.

Tutela della privacy anche sui social network

Anche i post sui social, quindi, sono soggetti alle regole sulla tutela della privacy e una buona precauzione è quella di pubblicare il post solo tra gli amici, per non correre il rischio di divugare le informazioni in modo indiscriminato e con esiti potenzialmente devastanti. L’avvocato Frattallone ha sottolineato anche come il fatto di caricare foto di altre persone su di un profilo Facebook (o un gruppo), purché ‘chiuso’, non comporti di per sé l’applicazione del Codice della Privacy, ma possa in ogni caso aprire la strada del penale. Si potrebbe, infatti, prefigurare il reato di diffamazione quando si leda la reputazione e purché la comunicazione avvenga fra almeno tre persone: basta un commento offensivo o un like a un commento offensivo della dignità del soggetto ripreso. Al processo penale si potrebbe aggiungere anche una causa civile per ottenere un risarcimento per la lesa reputazione ai sensi dell’articolo 595 c.p. “È fuori discussione che il binomio ‘immagine+didascalia’ è sicuramente idoneo a ledere la professionalità o l’immagine dell’ospedale, al pari di quella delle persone riprese in video e dileggiate”, ha commentato Frattalone.“Se una persona scatta una foto o gira un video e la tiene per sé, non c’è alcuna violazione, ammesso che il documento non contenga ad esempio informazioni sullo stato di salute di un soggetto riconoscibile, perché sono dati considerati sensibili e soggetti alla riservatezza. Quindi in questo caso, social network o no, prima di effettuare la ripresa è necessario sia dare l’informativa (art. 13), che ottenere il consenso scritto dell’interessato, sennò il trattamento è illecito. Anzi, in alcuni peculiari casi è stato persino ritenuto integrato il reato di ‘interferenze illecite nella vita privata’”, conclude l’avvocato Frattallone.