La prima analisi di benchmark sulla lotta alla resistenza antimicrobica

La lotta alla resistenza antimicrobica (Amr) è ai primi posti delle agende politiche e proprio nel corso del Forum economico di Davos del 2016 era stata lanciata la Dichiarazione di Davos a tale riguardo. L’appuntamento di quest’anno del prestigioso meeting svizzero, invece, è stata l’occasione per presentare i risultati del 2018 Antimicrobial resistance benchmark, la prima indagine sulla lotta all’Amr condotta dalla Access to Medicine Foundation.

Le industrie farmaceutiche sotto la lente

La Fondazione ha interpellato una trentina di industrie farmaceutiche a livello globale, sia big pharma focalizzate su attività R&D che produttori di generici ed aziende biotech, sulle politiche che hanno finora messo in atto per prevenire a vari livelli la resistenza antimicrobica. Secondo l’indagine, gli esempi da imitare sono Gsk e Johnson & Johnson tra le big-pharma, Mylan tra le aziende di generici e Entasis tra quelle del settore biotecnologico. Tra i punti principali emersi dall’indagine vi è l’ancora basso livello di trasparenza dei produttori di farmaci generici (categoria in cui ricade la maggior parte degli antibiotici sul mercato), come sottolineato dal direttore generale della Access to Medicine Foundation, Jayasree Iyer: “Uno dei messaggi più forti uscito dal benchmark è l’enorme potere delle società dei generici nel fermare i superbug. Queste società producono i maggiori volume di antibiotici, lo stanno facendo da decenni – ha sottolineato Iyer -. Alcuni solo di recente hanno iniziato a contrastare la resistenza antibiotica. vedremo un grande impatto se si potrà incoraggiarli a salire davvero a bordo”.

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Ancora pochi prodotti nelle pipeline

Molte aziende farmaceutiche stanno mettendo in atto azioni contro l’Amr, ma per molte di esse questo è solo l’inizio – ha commentato Jayasree Iyer -. Ci sono importanti nuovi farmaci nelle pipeline, ma è ampiamente riconosciuto che non ce ne sono a sufficienza per sostituire quelli che non funzionano più. il benchmark ha evidenziato alcuni esempi molto buoni di aziende che si stanno rivolgendo all’accesso e alla stewardship dei singoli prodotti”. L’indagine ha individuato ventotto molecole ad azione antibiotica in fase avanzata di sviluppo, su un totale di 175 molecole attualmente nelle diverse pipeline delle aziende.

Circa la metà delle aziende hanno anche segnalato di aver avviato qualche tipo di strategia di gestione del rischio ambientale. Secondo il rapporto, sarebbero al momento solo otto le aziende che hanno già posto dei limiti alla concentrazione degli antibiotici nelle  acque reflue, anche se tali limiti sono sono per il momento ancora stati resi noti nel dettaglio. Quattro di esse (Gsk, J&J, Pfizer e Roche) richiedono anche ai loro fornitori un impegno analogo. Il rapporto segnala anche che finora nessuna società ha reso noto i dati reali di rilascio di antibiotici nell’ambiente.

Monitoraggio e un freno alle vendite eccessive

Quasi la metà delle aziende interpellate durante il benchmark ha dichiarato di essere attiva nel monitoraggio della diffusione della resistenza antibatterica: sono diciannove i programmi in tal senso in corso in centocinquanta diversi paesi. Pfizer è la società più attiva, e più in generale tale attività trova il consenso soprattutto delle grandi società R&D-based (sette, rispetto a una sola azienda di generici e una biotech). Il tipo di patologia infettiva che attrae più sforzi di monitoraggio è la polmonite.

Per quanto riguarda le vendite degli antibiotici già sul mercato, sono quattro le aziende che hanno cercato di disincentivare una promozione eccessiva di questo tipo di prodotti da parte delle proprie forze vendita svincolando i bonus per gli informatori scientifici dai volumi di vendita. Un’azione che è stata declinata secondo vari gradi d’intervento, dalla completa separazione  (Gks e Shionogi), all’avvio di un progetto pilota solo in alcune zone (Pfizer), fino alla revisione degli incentivi per la forza vendita (Novartis).