Le difficoltà di convivere con la schizofrenia

Se ne parla poco, ma la schizofrenia è una patologia mentale che ha un impatto molto elevato per chi è costretto a convivere con essa, per chi lo assiste e anche a livello di costi sanitari e sociali. Secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità sarebbero circa 245 mila in Italia i malati di schizofrenia: una malattia che ha spesso esordio precoce (tra i 15 e i 35 anni d’età) e può portare a modifiche significative dei comportamenti della persona, con un impatto sociale che può essere assai pesante.

Secondo i dati della recente ricerca “Vivere con la schizofrenia: il punto di vista dei pazienti e dei loro caregiver” condotta dal Censis, il 47,2% dei pazienti schizofrenici è stato costretto a lasciare il lavoro, mentre il 33,8% non ha potuto terminare gli studi. La ricerca è stata condotta su un campione di pazienti con diagnosi di schizofrenia e su un campione di familiari di pazienti.
“L’esordio precoce della malattia risulta fortemente condizionante per la realizzazione professionale – ha spiegato nel corso della presentazione dei risultati della ricerca Ketty Vaccaro, responsabile dell’area Welfare e salute del Censis -. Il 35% i pazienti sono disoccupati, a fronte di circa solo il 7% nelle corrispondenti fasce d’età della popolazione generale. Tra i pazienti oltre l’80% è celibe o nubile, contro il 35% della popolazione corrispondente. Non è dunque un caso che le aspettative nei confronti del sistema dei servizi si focalizzino proprio sullo sviluppo dell’inserimento lavorativo e delle attività di socializzazione, per rendere possibile una convivenza con la patologia sempre più accettabile e meno penalizzante”.

Il percorso diagnostico-terapeutico

Il tempo medio registrato per arrivare a diagnosi è di circa 3 anni; solo un paziente su quattro (27,2%) ha ricevuto la diagnosi alla prima visita, e spesso essa ha fatto seguito a un ricovero ospedaliero. Nel 15% circa dei casi sono state necessarie cinque o più visite per giungere a diagnosi, e ben il 37% dei pazienti non ricorda bene quante volte si sia dovuto recare dal medico prima di conoscere con esattezza la propria malattia.
Il primo punto di contatto per questo tipo di problematica sono risultati essere gli specialisti, contattati dal 58,8% dei pazienti. Specialisti che sono soprattutto pschiatri (34%) ed operano nel settore pubblico (39,9%), rispetto al ricorso a psicologi (11,7%) o a professionisti operanti nel privato (18,9%). Le diagnosi sono state emesse per lo più nel corso di visite ambulatoriali (59,7%) o di ricoveri in strutture pubbliche (35,4%), mentre molto poche sono quelle seguite a ricovero in strutture private (2,1%).
La diagnosi è solo il primo passo: ad essa fa seguito un percorso terapeutico che è fatto solo in parte del ricorso ai farmaci (che comunque trovano soddisfatti il 71,5% dei pazienti). Centrale per la buona riuscita del trattamento è la fiducia nella relazione che s’instaura tra lo specialista e il proprio assistito e la capacità di coinvolgere quest’ultimo nelle scelte terapeutiche (considerata importante dal 72,2% dei pazienti). Il buon livello di efficacia percepita nei farmaci è riflesso dalla compliance, con il 66% dei pazienti che hanno dichiarato non non dimenticare mai di assumere le medicine e il 20,5% che le assume la maggior parte delle volte. Circa un quarto dei pazienti (22,9%) hanno però segnalato l’occorrenza di ricadute dopo periodi di remissione della patologia, ricadute che li hanno costretti a nuovi ricoveri.

Il peso dell’impatto sociale

Prima di iniziare i trattamenti la qualità della vita dei pazienti schizofrenici è percepita essere sotto la media (17,8%) o scarsa (24,3%), anche a seguito del drammatico impatto sulle attività lavorative dato dall’insorgere dei sintomi. Alla quasi la metà dei casi che hanno lasciato del tutto il lavoro si aggiunge un altro quarto di pazienti (25,4%) che ha comunque perso ore lavorative, quelli che hanno cambiato tipo di attività (23,2%) e chi ha optato per un impiego a tempo ridotto (16,2%). Ben un terzo dei pazienti più giovani, inoltre, ha dovuto abbandonare il percorso scolastico, mentre un altro 12% ha cambiato indirizzo di studi.
Frustrazione, disagio ed emarginazione sono le emozioni prevalenti che fanno seguito alla diagnosi e che portano a nasconderla o non parlarne in ben il 75,2% dei casi. La discriminazione (70,5%) e la paura che i sintomi possano diventare evidenti (63,8%) contribuiscono a segnare la qualità della vita dei pazienti che si devono confrontare con la schizofrenia.

Anche chi assiste il malato ne risente

La grande maggioranza dei pazienti (70,7%) è assiduamente seguita da una familiare, percentuale che raggiunge l’84,2% per i più giovani. La difficoltà di convivere quoditianamente con la malattia può spesso portare a danneggiare l’equilibrio familiare, stante al 57,6% dei caregiver che hanno segnalato la presenza di malcontento in famiglia, al 32,6% segnato dalla frustrazione e al 17,4% che non vive bene la relazione di coppia.
I caregiver sono soprattutto i genitori (54,8%), un fratello o una sorella (19,1%) o il partner (11,5%). La ricerca del Censis mostra che solo nell’8% dei casi si fa ricorso all’aiuto di personale esterno, con un impatto molto forte per i familiari sia sul piano fisico che emotivo. Assistenza e sorveglianza del paziente richiedono infatti in media circa 12 ore d’impegno giornaliero ciascuna. La stanchezza fisica e la cattiva qualità del sonno sono i sintomi più segnalati dai caregiver, che nel 23,1% dei casi sono anche ricorsi ad un aiuto di tipo psicologico e nel 37,8% hanno dovuto modificare la propria vita lavorativa, con una conseguente riduzione del reddito.