Rastrelli: «La farmacia dei servizi è fatta di servizi cognitivi»

Francesco Rastrelli presidente Ordine farmacisti di Brescia

Francesco Rastrelli, presidente dell’Ordine dei farmacisti della provincia di Brescia e  delegato regionale dei presidenti della regione Lombardia, spiega come le farmacie siano state autentiche palestre sia per I-Mur e sia per altri progetti condotti con le Ats, l’Università di Medicina, e l’Ordine dei medici, anticipando il nuovo ruolo delle croci verdi.

Qual è oggi, dal suo punto di vista, la situazione delle farmacie in provincia di Brescia?

La percezione è che si stia attraversando una fase di evoluzione e ricerca progressiva di un nuovo assetto, a seguito dei mutamenti normativi e culturali enormi, intervenuti negli ultimi anni, influenzati altresì dall’altro tema forte della cronicità. Il servizio farmaceutico di comunità è cambiato di pari passo e persegue ora un suo nuovo modello, fra iniziative personali e quelle messe in  campo dalle associazioni di categoria, in base ai bisogni di salute che il territorio esprime. Francesco Rastrelli presidente Ordine farmacisti di Brescia

Sono più numerose e importanti le iniziative individuali o quelle istituzionali?

Sono molti i colleghi di grande lungimiranza che propongono di continuo esperienze innovative, ma sono altresì convinto che i rappresentanti delle nostre associazioni  di categoria in genere, visto anche il  ruolo che ricopro di Presidente dell’Ordine dei Farmacisti della provincia di Brescia e, quindi, Fofi in primis, debbano assumere, come peraltro già stanno facendo, un concreto ruolo di guida. Né va trascurato il mondo delle cooperative. Sono nel consiglio di amministrazione di Cef, la cooperativa più grande e capillare d’Italia e ne osservo da vicino l’impegno consapevole nel tentativo di tracciare un nuovo ruolo per le farmacie italiane. La farmacia è unica per la capacità di dare risposte sanitarie immediate al territorio, ma possiede anche un aspetto commerciale che va riconosciuto e non è di secondaria importanza. Siamo come un “Giano Bifronte” che integra competenze professionali pure unitamente ad altre di tipo imprenditoriale, conseguenti e complementari alla nostra vocazione innovativa, in relazione alle esigenze sanitarie del territorio.

Qual è lo stato dell’arte dei progetti I-Mur e Re-I-Mur che lei ha seguito da vicino?

Il progetto I-Mur ha messo in luce il contributo che il farmacista può dare al paziente in termini di aderenza terapeutica e continuità della cura. Il farmacista deve in questo senso inserirsi a pieno titolo nel percorso di cura insieme ai medici di medicina generale e agli specialisti. Le iniziative che ho seguito nel quadro di I-Mur sono tutte tese a valorizzare in questo contesto la capacità del farmacista di gestire i temi citati, contribuendo significativamente al risparmio sulla spesa sanitaria. Perché se tutti i professionisti collaborassero sinergicamente a prendersi cura dei rispettivi pazienti sul follow-up e l’aderenza terapeutica, allora un miglioramento dello stato di salute dei cronici, quindi una minore richiesta di prestazioni sanitarie, come visite specialistiche e terapie o esami, sarebbe un traguardo ancor più accessibile. Ho seguito I-Mur direttamente, in linea con gli input importanti del presidente della Federazione, Andrea Mandelli, e ora il progetto sta vivendo declinazioni specifiche di ambito regionale. In Lombardia, i fondi nazionali stanziati saranno in prima battuta destinati alla remunerazione delle sperimentazioni sul territorio, che in questo momento sono ancora ai blocchi di partenza anche per via di un assetto politico regionale cambiato solo da poco.

Per quel che riguarda l’area della Leonessa crede che questi messaggi saranno accolti?

A Brescia il quadro è favorevole perché la città e la provincia sono state autentiche palestre sia per progetti come  I-Mur e sia per altre  iniziative condotte a quattro mani con le ATS e l’Università di Medicina, senza dimenticare l’Ordine dei medici, anticipando così per molti versi il nuovo ruolo delle croci verdi. Accogliamo la novità con entusiasmo, già pronti per le nuove sfide. La farmacia dei servizi è fatta di servizi cognitivi, basati cioè sulla competenza, sulla conoscenza e  sulla professionalità del farmaco. A questo si aggiungono  altri campi relativamente inesplorati come la  presa  in  carico  del  paziente  cronico,  il  dossier  farmaceutico, l’autoanalisi, la  telemedicina, la consulenza sul benessere, sugli integratori e i prodotti complementari alle terapie,  tutte aree in cui il farmacista sta esprimendo la sua professionalità, rispondendo a esigenze sempre diverse. L’evoluzione dei bisogni è un’opportunità e la farmacia italiana sta lavorando nel modo giusto con gli ordini professionali e le associazioni sindacali, che danno un contributo importantissimo, per delineare il nuovo modello professionale della farmacia. La convergenza armonica fra Fofi e Federfarma è da questo punto di vista essenziale ed è oggi un’evidenza percepibile.

La professionalità dei colleghi ha consentito di far fronte ai recenti allarmi-polmonite?

In linea generale, direi che sino a oggi i farmacisti hanno creduto nella necessità di uno scarto in avanti e questo loro atteggiamento ha dato buoni risultati. I casi di polmonite di questa estate e gli allarmi che hanno generato sono stati fronteggiati senza dubbio anche dai farmacisti, con consigli per una visita medica ove necessario, e sempre proponendo risposte misurate e attente, fedeli alla loro missione di educazione sanitaria e terapeutica.

Il  servizio  farmaceutico  di  comunità, oggi, è  sempre  più  orientato in  un’ottica   di  sostenibilità  sistemica  e  di  qualità,  impegnandosi sempre di più  in  prestazioni  di  prevenzione e affiancamento  ai  percorsi  di  cura,  insomma  tutte  le   attività  funzionali alla  tutela  della  salute,  secondo  principi  di  eticità,  equità, utilità, appropriatezza,  efficacia,  economicità  e  scientificità.