Sacchetti biodegradabili e compostabili a pagamento anche nelle farmacie

Disposizioni di attuazione della direttiva (UE) 2015/720 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2015, che modifica la direttiva 94/62/CE per quanto riguarda la riduzione dell’utilizzo delle borse di plastica in materiale leggero

La novità dei sacchetti biodegradabili e compostabili a pagamento per il cliente portata dal nuovo anno non si limita ai supermercati e ai negozi di alimentari, ma più in generale si estende a tutti gli esserci commerciali, quindi anche alle farmacie che dovranno adeguare le proprie forniture ai dettami della nuova normativa. Allo scopo d’informare meglio i clienti, Federfarma ha predisposto una locandina che i titolari potranno esporre nel proprio negozio.

Disposizioni di attuazione della direttiva (UE) 2015/720 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2015, che modifica la direttiva 94/62/CE per quanto riguarda la riduzione dell’utilizzo delle borse di plastica in materiale leggero

Una richiesta di legge

Le polemiche infiammano, a causa dell’aggravio per i bilanci familiari: aggravio che secondo i dati dell’analisi GFK-Eurisko, presentati a Marca 2017, dovrebbero essere compresi tra € 4,17 e € 12,51 per i soli sacchetti destinati alla frutta e verdura (considerando un minimo rilevato di 0,01 € e un massimo di 0,03 €). Secondo una ricognizione del mercato della GDO effettuata dall’Osservatorio di Assobioplastiche, la stima del consumo di sacchi ortofrutta e sacchi per secondo imballo carne/pesce/gastronomia/panetteria si aggira complessivamente tra i 9 e i 10 miliardi di unità, per un consumo medio di ogni cittadino di 150 sacchi/anno.

L’obbligo è stato introdotto dalla legge 123/2017, che ha recepito la direttiva UE 2015/720 e abrogato la precedente disciplina (art. 2 D.L. 2/2012), e riguarda tutti i tipi di borse di plastica, siano esse “con o senza manici”, “fornite ai consumatori per il trasporto di merci o prodotti” e “richieste a fini di igiene o fornite come imballaggio primario per alimenti sfusi”.

Tutto parte dal decreto legge 20 giugno 2017 n. 91 sulle “Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno”, convertito nella già citata legge 3 agosto 2017 n. 123, in cui è stato introdotto l’art. 9-bis su “Disposizioni di attuazione della direttiva (UE) 2015/720 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2015, che modifica la direttiva 94/62/CE per quanto riguarda la riduzione dell’utilizzo delle borse di plastica in materiale leggero. Procedura d’infrazione n. 2017/127”. Il legislatore, in pratica, ha voluto porre fine alla procedura d’infrazione scattata per non aver recepito la direttiva 2015/720 sulla riduzione dell’utilizzo delle borse di plastica in materiale leggero entro il 27 novembre 2016. Nel fare questo il legislatore italiano ha recepito anche una parte non obbligatoria proprio sulle borse in plastica ultraleggera (inferiore ai 15 micron di spessore). A ben vedere questa decisione ha un suo senso, dato che la stessa direttiva pone l’accento sul fatto che le “borse di plastica con uno spessore inferiore a 50 micron (borse di plastica in materiale leggero), che rappresentano la grande maggioranza delle borse di plastica utilizzate nell’Unione, sono riutilizzate meno frequentemente rispetto a borse di spessore superiore. Di conseguenza, le borse di plastica in materiale leggero diventano più rapidamente rifiuto e comportano un maggiore rischio di dispersione di rifiuti, a causa del loro peso leggero”. Se questo assunto vale per le borse leggere tanto più varrà per le ultraleggere.

Inoltre ha scelto la possibilità, offerta dalla normativa europea, di adottare”strumenti atti ad assicurare che, entro il 31 dicembre 2018, le borse di plastica in materiale leggero non siano fornite gratuitamente nei punti vendita di merci o prodotti, salvo che siano attuati altri strumenti di pari efficacia”.

L’addebito dei sacchetti deve essere chiaramente riportato nello scontrino. Le sanzioni previste in caso di mancato adempimento sono salate, dai 2.500 a 25 mila euro, che possono salire a 100 mila euro per chi viola o elude la legge.

Una locandina per la comunicazione al cittadino in farmacia

Una circolare di Federfarma conferma che l’obbligo di addebitare sullo scontrino il costo della busta di plastica “vale per tutti gli esercizi commerciali ed è stato confermato anche da Confcommercio e da Assobioplastiche”. La locandina predisposta da Federfarma sottolinea che l’aggravio dei costi per i clienti della farmacia non dipende da una scelta del farmacista, ma risponde alla richiesta della nuova legge di “ridurre l’utilizzo delle buste in plastica” e che a tal fine “le buste biodegradabili e compostabili devono essere pagate dal cittadino”. 

Non mancano i punti ambigui

Un paradosso, se si pensa che le associazioni dei consumatori già segnalano il fatto che sarà di fatto difficile riciclare i sacchetti per eventuali confezionamenti successivi, è che non si vede come si possa ridurre effettivamente la quantità di sacchetti utilizzati dato che non è permesso ai consumatori di utilizzare delle sporte proprie portate da casa, come già accade per le borse per il trasporto della spesa.

A questo proposito Giuseppe Ruocco, segretario generale del dicastero della Salute, interpellato dall’agenzia di stampa Adnkronos Salute, ha dichiarato che per ragioni igieniche e di sicurezza alimentare il consumatore può utilizzare propri sacchetti purché questi siano nuovi, monouso e idonei per il contatto con alimenti, escludendo così quelli riutilizzabili più volte. “Non siamo contrari alla possibilità che il cittadino trovi proprie fonti di approvvigionamento di sacchetti, più economiche o addirittura gratuite”, ha affermato,  “allo stesso tempo dobbiamo assicurare il mantenimento dell’igiene e della sicurezza dei locali”. Aggiungendo: “Ovviamente, siccome la responsabilità dell’igiene dei locali è in capo agli esercenti, gli dobbiamo lasciare la facoltà di verificare che si tratti realmente di sacchetti nuovi”. Un’ipotesi che sembra difficilmente praticabile e che non aiuta a fare chiarezza. 
E neanche sarà possibile etichettare i singoli frutti, come già proposto in rete da eloquenti fotografie: lo impediscono le ragioni di igiene e di logica. Senza contare che anche innumerevoli scontrini e relativo inchiostro sono ben poco compatibili con la salvaguardia ambientale, il costo contenuto dei singoli sacchetti non giustifica una tale scelta e, infine, è piuttosto ovvio che anche i costi dei sacchetti di plastica leggera fossero spalmati nei prezzi degli alimenti sfusi e non certo regalati.

Sul riutilizzo dei sacchetti per la raccolta dell’umido domestico bisogna sapere che in alcuni gruppi della grande distribuzione anche le etichette sono compostabili, di conseguenza la prima cosa da fare è informarsi sul tipo di etichette utilizzate nel negozio.

Un consiglio utile è anche quello di attaccare le etichette sui manici in modo da poterle facilmente eliminare prima di riporre gli scarti della cucina.

Un’altra alternativa sarebbe usare la carta, come hanno fatto in alcune insegne della Gdo, per il confezionamento primario di alimenti sfusi, sebbene sia probabile che, in questo caso, sia proprio la non trasparenza della confezione a disincentivare il negozio a utilizzare questo sistema.

Che dire poi dei borsoni riutilizzabili per la spesa che sono ormai ampiamente utilizzati da moltissime persone? Anche per essi deve risultare l’addebito sullo scontrino e, come negli altri casi, devono recare gli “elementi identificativi del produttore nonché diciture idonee ad attestare il possesso degli spessori e degli altri requisiti di legge”, recita il comunicato di Assobioplastiche. Che fare quindi della raccolta di buste e borsoni per la spesa senza le diciture di legge, buttarli via e spendere altri soldi per comprarli nuovi?

Le indicazioni pratiche

  1. Le borse per alimenti sfusi (che non riguardano le farmacie, eccetto per erbe officinali in taglio tisana, come fa notare in una nota stampa Federfarma Verona) devono avere uno spessore minore di 15 micron, e contenere almeno il 40% di materia prima rinnovabile a partire dal 1° gennaio di quest’anno, il 50% dal 1° gennaio 2020 e il 60% dal 2021 (cioè avere anche una percentuale crescente di carbonio biobased, ai sensi della norma EN 16640: 2017). Trattandosi di borse a contatto con gli alimenti, devono rispettare la conformità alla normativa sull’utilizzo dei materiali destinati al contatto con gli alimenti (regolamenti UE n. 10/2011, CE n.1935/2004 e CE n. 2023/2006.
  2. Lo spessore per le borse compostabili e biodegradabili adibite al trasporto non ha limite; per entrambe queste tipologie, la biodegradabilità e compostabilità deve essere certificata (norma UNI EN 13432:2002), e le buste devono recare il marchio riconoscibile dell’ente certificatore.
  3. Le borse riutilizzabili in plastica tradizionale con maniglia esterna devono presentare uno spessore del materiale della singola parete superiore a 200 micron se utilizzate in esercizi che vendono anche generi alimentari (30% plastica riciclata) o uno spessore del materiale (della singola parete) superiore a 100 micron se utilizzate in esercizi che vendono solo prodotti diversi dai generi alimentari (10% plastica riciclata).
  4. Per quanto riguarda le borse a maniglia interna, lo spessore del materiale (della singola parete) deve essere superiore a 100 micron se utilizzate in esercizi del primo tipo, e superiore a 60 micron per gli esercizi del secondo tipo.

L’Associazione dei produttori di sacchetti ha pubblicato una brochure informativa con tutti i dettagli circa le caratteristiche che devono avere i diversi tipi di sacchetto.

Le sigle che contano

In una nota Federfarma invita i sui iscritti a verificare che i sacchetti acquistati riportino le sigle che rispettano la norma, quindi con termini quali “compostabile” e “rispetta la norma UNI EN 13432”, “sacco biodegradabile e compostabile conforme alla norma UNI EN 13432:2002. Sacco utilizzabile per la raccolta dei rifiuti organici”. Scritte quali “biodegradabile” (senza il termine “compostabile”) o “rispetta la normativa UNI EN 14855” non offrono le garanzie di conformità ai limiti imposti dalla norma di riferimento, cioè la UNI EN 13432:2002.

Tra i sacchetti che non possono essere commercializzati ci sono quelli con le diciture: “biodegradabili al 100%” (o anche solo “bio” e “biodegradabile”); “ECM Biodegradabile” o “Sacchetto con additivo ECM”; sacchetto con additivo “EPI”; sacchetto “D2W” o sacchetto con additivo “D2W”. Queste buste in plastica polietilene contengono sostanze che favoriscono la frammentazione della plastica.

Un’altra accortezza consigliata è quella di richiedere ai fornitori una nota scritta di conformità alla legge.