Uno studio retrospettivo pone delle domande sul sistema d’approvazione dei nuovi farmaci oncologici

Lo studio, pubblicato da British Medical Journal, sugli effetti sulla sopravvivenza e sul miglioramento della qualità di vita dei pazienti oncologici grazie ai nuovi medicinali nella lotta contro il cancro potrebbe spingere a una seria riflessione sia i medici prescrittori sia gli enti regolatori a livello nazionale.

La ricerca, a cura del dipartimento Global Health and Social Medicine del King’s College London, in collaborazione con il dipartimento of Health Policy, London School of Economics and Political Science (e altri ricercatori), individua che su 68 indicazioni approvate da Ema nel periodo 2009-2013, con una mediana di follow-up di 5,4 anni, solo 35 (51%) sono associate a un miglioramento significativo della sopravvivenza (26/35) o della qualità di vita (9/35) rispetto ad altri trattamenti già esistenti, placebo o come trattamento aggiuntivo.

Solo due terapie su 26 dimostrano di migliorare sia il tempo sia la qualità di vita e 33 (49%) dimostrano di non portare miglioramenti su alcuno dei due outcome. Dei 23 medicinali che portano a benefici in termini di sopravvivenza, misurabili con la scala validata ESMO-MCBS, solo 11 (48%) sono stati giudicati in grado di dare un vantaggio clinicamente significativo.

Sono molti gli aspetti dell’articolo, che vanta una bibliografica con 93 riferimenti, da meritare un approfondimento più accurato.

Uno di questi è certamente il monito, che gli autori lanciano all’Ema e a tutte le altre agenzie regolatorie di medicinali, riguardo le modalità di autorizzazione all’immissione in commercio di questi nuovi farmaci oncologici.

Il ruolo degli “endpoint surrogati” e i dati di post marketing, due punti critici

Due importanti outcome delle cure anticancro sono proprio la sopravvivenza e la qualità della vita dei pazienti. Molti studi clinici, tuttavia, non misurano direttamente questi parametri, bensì valutano delle misurazioni secondarie dell’efficacia di un medicinale.

Gli autori della ricerca, quindi, sottolineano come possa rivelarsi una criticità importante il basarsi solamente su questi “endpoint surrogati”, ovvero elementi secondari delle ricerche considerati non rivelatori dell’effettivo miglioramento in salute dei pazienti sottoposti a trattamento. Allo stesso modo, ritengono importante che le aziende che hanno ricevuto un’autorizzazione condizionata alla presentazione dei dati di ricerche post marketing poi rispettino gli accordi (cosa che non sempre accade).

Gli autori dello studio sottolineano, nella conclusione del loro articolo, che: “Quando medicinali costosi, privi di vantaggi clinici significativi, sono approvati e pagati dai sistemi sanitari pubblici, i singoli pazienti possono essere danneggiati, importanti risorse sociali vengono perse e viene meno la possibilità di ottenere una cura equa e conveniente”.

Sono informazioni, che legate ai dati presentati lo scorso anno dal Cancer Reserch, sui costi di questo tipo di medicinali, saliti in media del 10% ogni anno negli ultimi 20, dovrebbero presupporre un cambiamento nella governance di approvazione.

I numeri del cancro in Italia

Ma quali sono gli effetti sul nostro sistema di questa tipologia di farmaci? Ebbene, il recente rapporto dell’Aiom “I Numeri del Cancro in Italia” indica in 369.000 i nuovi casi stimati nel 2017, mentre il rapporto OsMed 2016 dell’Agenzia italiana del farmaco, fornisce i dati sia rispetto al numero di trattamenti con i medicinali della categoria antineoplastici e immunomodulatori (oltre 270.000 in crescita del 35% rispetto all’anno precedente) sia la relativa spesa (4,5 miliardi di euro).

Un incrocio di tutti questi numeri, insieme ai risultati riportati dall’articolo di Bmj, sarebbe auspicabile al fine di condurre scelte il più possibile oculate in un ambito come quello della gestione della spesa farmaceutica in cui ci si trova sempre con una “coperta troppo corta”. Viene il dubbio che un’attenta analisi dei dati presenti nei registri di monitoraggio potrebbe comportare riflessioni importanti sia in ambito clinico sia rispetto a eventuali rimborsi legati ai cosiddetti contratti di esito (che nel 2016 hanno comportato già restituzioni complessive per 693 milioni di euro).

Per fare un esempio pratico, alla luce dello studio prospettico presentato, la proposta di 1 cent a sigaretta per finanziare i nuovi farmaci potrebbe cambiare rotta verso nuove finalità, non meno importanti per la qualità della vita delle persone malate, come per esempio l’incremento dei posti letto negli Hospice dove nessuna Regione rispetta i valori soglia (≤ 20%) previsti per ricoveri con patologia oncologica.