Negli ultimi anni è cresciuta l’attenzione verso modelli alimentari volti a modulare l’assunzione di nutrienti secondo ritmi circadiani o periodi di digiuno. Un documento redatto dal Ministero della Salute esamina attentamente la sicurezza, l’efficacia e la validità delle forme di digiuno per la perdita di peso

Per contrastare l’alta prevalenza dell’obesità e delle malattie croniche non trasmissibili ad essa correlate, nel tempo sono stati elaborati numerosi interventi dietetici, non sempre scientificamente corretti. La mole di dati provenienti dalla letteratura sostiene in pieno il modello della dieta mediterranea quale trattamento dietetico da prediligere.

Negli ultimi anni è tuttavia cresciuta l’attenzione verso alcuni modelli alimentari volti a modulare l’assunzione dei nutrienti secondo i ritmi circadiani o periodi di digiuno più o meno lunghi alternati a periodi di alimentazione. Questi modelli hanno la finalità di attivare le vie metaboliche connesse al catabolismo, all’autofagia e a quei meccanismi molecolari correlati con lo sviluppo delle malattie croniche non trasmissibili.

Il tavolo di lavoro sulla Nutrizione – TASIN, istituito presso il Ministero della Salute, ha prodotto un documento “Sicurezza ed efficacia delle varie forme di digiuno nella dietoterapia finalizzata alla perdita di massa grassa” con l’obiettivo di comprendere se le varie forme di digiuno possono essere sicure ed efficaci per la perdita di peso, in particolare della massa grassa, che dovrebbe essere il gold target di qualsiasi approccio dieto-terapeutico, e per la preservazione della massa magra, metabolicamente attiva, quale componente fondamentale dello stato di salute di qualsiasi soggetto.

Le varie forme di digiuno

Per digiuno si intende la condizione in cui un soggetto si astiene dall’assunzione di cibi o bevande per un determinato periodo di tempo.

Il digiuno può essere, si legge nel documento ministeriale “intermittente, definito whole day fasting secondo vari modelli tipo 1:1 o 5:2, cioè giorni di digiuno assoluto alternati a giorni di assunzione di cibo ad libitum, oppure time restricted feeding di 16/18/20 ore di digiuno susseguito da un’alimentazione libera in un arco temporale di 8/6/4 ore; modificato: con consumo nei giorni di digiuno solo del 20- 25% del fabbisogno energetico alternati a giorni di digiuno assoluto. Nel concetto di digiuno modificato rientra la cosiddetta dieta mima-digiuno; religioso: come avviene, per esempio, nella religione musulmana, durante il periodo del Ramadam che può variare da 29 a 30 giorni dell’anno solare, in cui è previsto un periodo di digiuno (swan) dall’alba al tramonto con la completa astensione da cibo e bevande”.

L’importanza di una dieta personalizzata

Il documento riporta l’attenzione sull’importanza di una valutazione clinica del singolo soggetto e di una prescrizione medica-nutrizionale, personalizzata, per una dieta finalizzata alla perdita di massa grassa, ricordando che gli obiettivi del trattamento dell’obesità e del sovrappeso sono prima di tutto quelli di tutela della salute del paziente.

L’autoprescrizione o il seguire le diete del momento può determinare serie ripercussioni sullo stato nutrizionale e sul fisico; difatti, il miglior approccio nella perdita di massa grassa è la modificazione degli stili di vita a favore di una corretta alimentazione ed un’adeguata attività fisica.

La dieta mediterranea rappresenta, a tutt’oggi, un ottimo modello alimentare per una sana alimentazione, i cui principi sono validi anche in caso di dieta ipocalorica per la riduzione dell’eccesso di massa grassa, avendo un impatto sulla riduzione dell’infiammazione in quanto ricca di sostanze ad azione antiossidante e fibre. “Gli studi sul digiuno non hanno, a medio e lungo termine, una robusta letteratura, benché a breve termine i benefici su alcuni parametri – riduzione del BMI, peso, massa grassa, c-LDL, glicemia a digiuno, insulina basale e P.A. – siano supportati da una forte evidenza scientifica” si legge ancora nella relazione.

I vantaggi del digiuno su stress ossidativo e infiammazione

Nello sviluppo di malattie come l’obesità e il diabete di tipo 2 sono presenti alterazioni di biomarcatori metabolici, dell’infiammazione quali adiponectina e leptina, e ormonali quali adrenal hormone dehydropiandro-sterone (DHEA), insulina, IGF-binding protein 2 (IGFBP2), fattore di crescita insulino simile di tipo 1 (IGF-1), proteina C reattiva (PCR) e citochine pro-infiammatorie (IL-1, IL6, TNF α). Uno studio del 2016 ha descritto come la restrizione calorica, ottenuta anche con il digiuno intermittente, migliori significativamente tutti i marcatori sopra elencati.

È noto quanto il tessuto adiposo giochi un ruolo fondamentale nell’infiammazione di basso grado e, in particolare, l’ipertrofia degli adipociti dovuta all’aumento eccessivo dei trigliceridi. “In tale condizione, gli adipociti possono secernere monocyte chemoactraction protein-1 (MPC-1), una molecola che stimola l’infiltrazione di macrofagi nel tessuto adiposo. Sia adipociti che macrofagi producono altre molecole di MPC-1, citochine come l’Interleuchina 1 (IL-1) e il Fattore di Necrosi Tumorale (TNF α), avviando e potenziando la risposta infiammatoria. Il TNF α, così come altre citochine, e il diacilglicerolo (DAG) attivano la cascata delle chinasi proteiche come la creatina fosfochinasi (PCK) e le chinasi N-terminali C-Jun (JNK). Gli acidi grassi contribuiscono all’insulino resistenza attraverso l’attivazione dei recettori Toll-like (TLR); il difetto dell’insulina comporta un ulteriore accumulo di acidi grassi liberi (FFAs) creando un circolo vizioso. I periodi di restrizione energetica sufficienti a causare l’esaurimento delle riserve di glicogeno nel fegato innescano un cambiamento metabolico verso l’utilizzo di acidi grassi e chetoni. Le cellule e gli organi si adattano a questa sfida attivando percorsi di segnalazione che rafforzano la funzione mitocondriale, la resistenza allo stress e le difese antiossidanti, mentre l’autofagia si attiva per rimuovere le molecole danneggiate e riciclare i loro componenti. Durante il periodo di restrizione energetica, le cellule adottano una modalità di resistenza allo stress attraverso la riduzione della segnalazione dell’insulina e della sintesi proteica complessiva. L’esercizio fisico migliora questi effetti del digiuno”.

Il mantenimento di un regime a digiuno intermittente, in particolare se combinato con l’esercizio fisico regolare, si traduce in molti adattamenti a lungo termine che migliorano le prestazioni mentali e fisiche e aumentano la resistenza alle malattie. Alla luce di quanto detto è chiaro che la restrizione calorica intesa sia come dieta ipocalorica, a prescindere dal timing di assunzione dei pasti, che come digiuno intermittente, gioca un ruolo importante nel miglioramento delle condizioni di salute per riduzione dello stress ossidativo e dell’infiammazione.

Le prove scientifiche a sostegno del digiuno

La qualità delle prove disponibili è oggi tuttavia ancora bassa, lasciando ancora molte aree di incertezza. Appare necessario ampliare le casistiche sui gruppi di pazienti che potrebbero trarre o meno beneficio dal digiuno intermittente (come, ad esempio, pazienti con diabete o disturbi alimentari), nonché sull’effetto dei risultati a lungo termine sulla mortalità da patologie cardiovascolari.

Due reviews recenti sottolineano che il digiuno intermittente è un’efficace opzione di trattamento per il diabete di tipo 2. Alla luce dei suddetti studi sembra che il digiuno intermittente non favorisca una maggiore perdita di peso rispetto alla restrizione calorica continua. La sua azione positiva è riscontrabile soprattutto nel blocco dei pathway (glucosio, IGF-1, insulina) implicati nello sviluppo dell’infiammazione, dello stress ossidativo e della proliferazione cellulare.

La dieta mediterranea resta l’approccio preferibile

In conclusione, si può affermare che gli studi, ad oggi, sostengono che la restrizione calorica, ottenuta attraverso varie modalità e possibilmente con il modello mediterraneo, rappresenti il migliore approccio dietoterapico nel paziente in sovrappeso o obeso. Ciò nonostante, dal punto di vista metabolico, il digiuno intermittente sembra essere particolarmente promettente nel controllo della sensibilità insulinica, della dislipidemia, dell’ipertensione e dell’infiammazione.