I commenti della Fofi sul Rapporto Cronicità di Cittadinanzattiva

Ancora una volta dobbiamo complimentarci con Cittadinanzattiva per la qualità dei dati e la profondità dell’analisi presenti in questo XVI Rapporto nazionale sulle politiche della cronicità” ha sottolineato il presidente della Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani (Fofi), onorevole Andrea Mandelli, nel commentare i contenuti dell’annuale aggiornamento del Rapporto appena pubblicato da Cittadinanza attiva.

Molte criticità già evidenziate anche dai farmacisti italiani

Il documento, indica il presidente Mandelli, richiama molti dei punti di criticità denunciati da tempo anche dai farmacisti, a partire dall’insufficiente integrazione tra ospedale e territorio, che impedisce una reale presa in carico del cittadino che risponda a tutto lo spettro delle sue necessità. La mobilitazione delle risorse esterne agli ospedali, tra cui le stesse farmacie, permetterebbe per Mandelli di porre rimedio anche al tema scottante delle liste d’attesa, grazie a uno spostamento di parte dell’attuale sovraccarico delle strutture di secondo livello. “Quanto all’assistenza farmaceutica mi sembra evidente che molte difficoltà provengano dall’assenza dei farmaci innovativi nella distribuzione territoriale e dalla possibilità di prescrizione da parte del medico di medicina generale”, ha aggiunto il presidente della Fofi.
Non meno a rischio potrebbe anche essere il principio stesso di Servizio sanitario universalistico:, che soffre di una forte disparità tra le regioni nell’accesso all’assistenza evidenziato una volta di più anche dal rapporto di Cittadinanza attiva. “Così come è evidente che resta ancora largamente in bianco il capitolo della prevenzione, sia quella che parte da un’opera incisiva di educazione sanitaria sia quella che mira a impedire l’aggravarsi e il complicarsi di condizioni croniche. Emerge, infine, il ritratto di una sanità in cui circola ancora molta carta e, di conseguenza, si muovono le persone e non le informazioni. Certamente molto dipende dall’insufficiente finanziamento del Fondo sanitario”, ha concluso Mandelli “ma anche da uno scarso coordinamento tra i provvedimenti che devono rendere effettivamente fruibili le prestazioni previste dai Lea, che rischiano sempre più spesso di restare solo affermazioni di principio”.

Un rapporto più umano e sostegno per le difficoltà

Il tema della gestione della cronicità si va facendo sempre più pressante man mano che l’età della popolazione italiana aumenta, senza essere bilanciata da un parallelo miglioramento dei servizi di supporto da parte del Servizio sanitario nazionale, spiega il XVI Rapporto di Cittadinanzattiva. Gli anziani alle prese con malattie croniche vivono soprattutto difficoltà legate agli spostamenti per curarsi (84,3%), a problemi di isolamento sociale (75%) e a difficoltà economiche (71,8%). Tra gli ingenti costi che i pazienti e le loro famiglie devono affrontare, infatti, ci sono quelli per adattare l’abitazione alle nuove esigenze (fino a 60mila euro in un anno, secondo Cittadinanza attiva), la retta per le strutture residenziali o semiresidenziali (fino a 36mila euro) o il costo per la badante (fino a 25mila euro).
Oltre il 70% del campione coinvolto nella redazione del Rapporto (rappresentato da 50 associazioni di pazienti con patologie croniche (52%) e rare (48%)), vorrebbe vedere una maggiore considerazione da parte delle istituzioni proprio rispetto alle difficoltà economiche che si trovano ad affrontare, insieme al disagio psicologico connesso alla patologia.

Cure più umane, che passino attraverso una maggiore capacità di ascolto da parte del personale sanitario (80,5%), liste d’attese meno lunghe (75,6%), aiuto alla famiglia nella gestione della patologia (70,7%) e meno burocrazia (68,2%) sono le principali richieste che emergono dal rapporto “Cittadini con cronicità: molti atti, pochi fatti”, che è stato presentato a Roma dal Coordinamento nazionale delle associazioni di malati cronici (CnAMC) di Cittadinanzattiva.
É sempre più insostenibile lo scarto tra la mole di norme e atti di programmazione prodotti negli ultimi anni e la loro effettiva capacità di apportare cambiamenti reali nella vita quotidiana delle persone con malattie croniche e rare e delle loro famiglie. Al futuro Governo e alle Regioni chiediamo di passare dagli atti ai fatti sulle politiche per la presa in carico della cronicità in ogni angolo del Paese”, ha sottolineato nel corso della presentazione Tonino Aceti, responsabile del Coordinamento nazionale della Associazioni dei Malati Cronici

Il piano della Cronicità e i Lea procedono a rilento

Il Piano nazionale Cronicità è stato approvato già da 20 mesi, i nuovi Lea sono in vigore da oltre un anno: nonostante ciò, il recepimento del Piano procede ancora a rilento e con l’ormai abituale frammentazione a macchia di leopardo tra le diverse regioni. Umbria, Puglia, Lazio, Emilia Romagna e  Marche, infatti, sono le sole ad averlo già recepito formalmente, a cui si aggiunge il Piemonte in cui l’iter è ancora in corso. Ancora in gran parte bloccati sono invece i nuovi Lea, a causa della mancata emanazione dei decreti che devono definire le tariffe massime per le prestazioni ambulatoriali e per i dispositivi protesici. Cittadinanzattiva denuncia anche la mancanza degli accordi tra Stato e Regioni sui criteri necessari ad uniformare l’erogazione delle prestazioni tra le diverse regioni. “E se nel Piano cronicità le Associazioni hanno avuto e continuano ad avere un ruolo da protagoniste e hanno un luogo, la Cabina di Regia, in cui concorrere all’implementazione e al monitoraggio, altrettanto non si può dire per i Lea, che restano autoreferenziali. L’appello che lanciamo oggi è quello di aprire la Commissione Nazionale Lea alle organizzazioni civiche”, è stato l’appello di Aceti.
L’emanazione dei nuovi Lea, secondo Cittadinanzattiva, non ha prodotto cambiamenti rilevanti per la propria patologia per oltre il 55% del campione, e in oltre un quarto dei casi (26,2%) non sarebbe stato attuato quanto previsto dalla legge.

Poca prevenzione e ritardi nella diagnosi

La mancanza di prevenzione è stata segnalata dal 35,7% delle associazioni che hanno preso parte alla redazione del rapporto, e solo per il 19% degli interpellati questa riguarda bambini e ragazzi. I programmi di prevenzione, peraltro, sarebbero promossi nel 98% dei casi proprio dalle stesse associazioni dei pazienti, non dalle strutture sanitarie.
Una volta, poi, che il problema si presenta, molti sarebbero i problemi legati a ritardi nella diagnosi (segnalati dal 73% dei partecipanti); ritardi imputabili alla scarsa conoscenza della patologia da parte di medici e pediatri di famiglia (83,7%), sottovalutazione dei sintomi (67,4%), mancanza di personale specializzato e di centri sul territorio (58%).
Per il 95,8% del campione molto deficitaria è anche l’integrazione tra assistenza primaria e specialistica, a cui si associano i problemi di continuità tra ospedale e territorio (65,1%) e quelli legati all’assistenza domiciliare (45,8%). Il rapporto evidenzia che l’integrazione sociosanitaria e i percorsi diagnostici-terapeutici (Pdta) sono attuati solo in modo ancora troppo limitato (rispettivamente per il 52,2% e il 43,9%), e dove i Pdta ancora non esistono almeno metà delle persone non si sente realmente inserita in un percorso di cura. Innegabili sono invece i benefici del riuscire a tradurre realmente i Pdta in azioni concrete, tra cui si segnalano la prenotazione automatica di visite ed esami (50%), la diminuzione dei costi diretti (28,5%) e delle complicanze (21,4%).

Ancora poco diffusi i registri di patologia

I registri di patologia sono uno strumento che sembra faccia ancora fatica a penetrare nella pratica dei sanitari in molte regioni, come segnala il 19,3% del campione che li ritiene diffusi in tutte le Regioni, mentre per il 37,5% non esiste un registro della propria patologia. Anche dove presenti, i dati principali registrati riguarderebbero soprattutto i farmaci e dispositivi utilizzati dai pazienti, mentre rimarrebbero ancora largamente ignorati i bisogni socioeconomici e sociosanitari.
Un grave problema è rappresentato dalle lunghe liste di attesa per i ricoveri, a cui si aggiunge spesso la distanza tra la residenza del paziente e il luogo di cura e la mancata predisposizione della dimissione protetta.

Il problema dei tempi di attesa è stato segnalato dal 90% dei casi anche a livello di accesso alle strutture riabilitative, alle lungodegenze o Rsa e alle strutture semiresidenziali. Rsa e lungodegenze, oltretutto, hanno evidenziato nel rapporto la mancanza di équipe multiprofessionali (55%), rette molto costose (50%) e la frequente necessità di pagare una persona per assistere il malato (45%).

Costi in gran parte ancora a carico del paziente

Non è migliore la situazione dei centri diurni per attività terapeutico-riabilitative, dove spesso i costi sono a totale carico del cittadino (44,4%), a fronte di servizi erogati con tempi troppo brevi per raggiungere il grado di riabilitazione necessario (44,4%).
Fortemente deficitaria è risultata essere anche l’assistenza domiciliare, sia a livello del numero di ore di assistenza erogate ampiamente insufficiente (61,9%), sia per la mancanza di assistenza psicologica e sociale (57,1%), oltretutto spesso difficile da attivare o negata (52,3%).
I farmaci in fascia C rappresentano il maggiore esborso a carico dei cittadini a livello di spesa farmaceutica (62%), seguiti dalla limitazione di prescrizione da parte del medico di medicina generale (58,6%) e la difficoltà nel rilascio del piano terapeutico (48,2%). Forti frammentazioni a livello regionale sono anche state segnalate a livello della quantità (70,8%) e della qualità (58,3%) dei presidi per l’assistenza protesica ed integrativa erogati, con tempi di autorizzazione e rinnovo spesso troppo lunghi (54,1%).

Poca attenzione ai bisogni psicosociali

L’81,5% delle associazioni che hanno partecipato al rapporto ha segnalato la grave mancanza di considerazione dei bisogni psicosociali dei pazienti e della famiglia, e per il 73,8% manca anche sostegno e coinvolgimento della persona, familiare o caregiver dal punto di vista educativo e formativo. Ciò porta inevitabilmente a una sottovalutazione dei disagi psicologici, che accomunano i pazienti e chi li ha in cura.

Altresì ignorati sono, per il 70% del campione, i bisogni specifici dei bambini o ragazzi affetto da una malattia cronica o rara, a partire dal saper comunicare la propria patologia. I due terzi del campione hanno lamentato difficoltà a partecipare alle attività scolastiche ed extrascolastiche.

Nella popolazione adulta, invece, il rapporto di Cittadinanzattiva segnala soprattutto problemi nel riconoscimento di invalidità civile e handicap (64,8%), mancanza di orientamento dei servizi (59,4%), mancanza di tutele sul posto di lavoro (51,3%).