I fattori che frenano l’accesso agli antibiotici essenziali

Un editoriale su Clinical Microbiology and Infection fa il punto sui problemi che spesso limitano l’accesso dei pazienti a una categoria di farmaci essenziali come gli antibiotici. Ancor più grave se si considera che il problema riguarda soprattutto le formulazioni pediatriche destinate a curare neonati e bambini. La posizione è stata firmata da Céline Pulcini, segretaria della Società europea di Microbiologia clinica e Malattie infettive (ESCMID) insieme a in gruppo di esperti internazionali che rappresentano diverse organizzazione scientifiche del Vecchio Continente.

Il primo problema citato dagli autori è lo scarso profitto che le aziende farmaceutiche traggono da questo tipo di prodotti rispetto ai molto più remunerativi antibiotici di nuova generazione. Il riferimento è a principi attivi quali le penicilline, la colistina, la IV fosfomicina e a molti altri inseriti nella lista WHO dei farmaci essenziali. “Questi sono farmaci disponibili da molti anni, ma che sono ancora efficaci per trattare condizioni come le infezioni della pelle, la cistite o il mal di gola. Alcuni di essi giocano anche un ruolo nel contrastare i batteri multi-resistenti. I loro brevetti, tuttavia, sono scaduti molti anni fa e i produttori potrebbero vederli come prospetti meno attraenti da registrare e commercializzare nei diversi paesi”, ha commentato Céline Pulcini.

Le alternative a questi trattamenti “antiquati” è il ricorso ad antibiotici di più recente sviluppo, ma che potrebbero anche risultare meno efficaci in alcune situazioni, oltre a presentare maggiori effetti collaterali, tra cui gli autori sottolineano la possibilità che incoraggino la moltiplicazione dei batteri resistenti.

Gli alti costi di registrazione su paesi multipli accoppiati a terapie di corto periodo e al fatto che questi prodotti sono oggi commercializzati come generici a basso costo sarebbero, per la task force, i principali motivi che spiegano come mai una ventina dei trentatré antibiotici più anziani sono venduti in soli venti paesi. Una situazione a cui si aggiungono anche i frequenti casi di mancanza di prodotto sul mercato; 148 casi nei soli Stati Uniti nel periodo 2001-2013, si legge nell’articolo.

La criticità della situazione dovrebbe chiamare in campo l’azione diretta dell’Organizzazione mondiale della sanità e della Commissione Europea, suggerisce il gruppo di lavoro. “Se non viene assunta nessuna azione perderemo questi antibiotici eccellenti e relativamente poco costosi, che sono necessari su base giornaliera per trattare a livello mondiale le infezioni batteriche comuni. Finiremo, invece, per usare antibiotici meno efficienti, che portano a esiti clinici peggiori per i pazienti e che aggiungono il problema dell’antibiotico resistenza”, ha dichiarato Pulcini.