Italiani, sigarette e portafoglio: nel World No Tobacco Day i risultati di una ricerca commissionata da Fondazione Umberto Veronesi

In occasione del World No Tobacco Day 2019, la giornata mondiale senza tabacco promossa dall’Oms, Fondazione Umberto Veronesi presenta i risultati di una ricerca realizzata da AstraRicerche su fumatori italiani, sigarette e portafoglio

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Ogni anno, solo in Italia, muoiono 70mila persone a causa del fumo. Fuma il 42% per cento degli uomini e il 35% delle donne, e si rileva una tendenza preoccupante all’aumento del numero di sigarette quotidiane. La spesa mensile è elevata (sopra i 100 euro) per un terzo dei fumatori e in ben metà dei casi è più alta di quanto immaginato. Proprio sui dati di spesa si è concentrata una ricerca commissionata da Fondazione Umberto Veronesi ad AstraRicerche. Obiettivo dell’indagine, condotta lo scorso aprile tramite 1.500 interviste a italiani 15-65enni, era capire quale effetto avrebbe un incremento del costo delle sigarette sui fumatori.

Le ricadute positive di un tabacco più caro

L’aumento del costo delle sigarette come misura efficace per limitare l’impatto devastante del tabagismo è un cavallo di battaglia della Fondazione Umberto Veronesi che, al suo interno, ha un Comitato scientifico per la lotta al fumo. Silvano Gallus, Responsabile Laboratorio di Epidemiologia degli Stili di Vita dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS di Milano e membro del Comitato, dice: “In Italia un aumento dell’accisa di un euro a pacchetto, in un anno, farebbe vendere 360 milioni di pacchetti (oltre 7 miliardi di sigarette) in meno e farebbe entrare nelle casse dello stato 2,2 miliardi di euro in più. L’aumento della tassazione sui prodotti di tabacco è una strategia efficace, attuabile, raccomandata dall’intera comunità scientifica, favorisce la salute degli italiani, non può che favorire la finanza pubblica ed è fortemente accettata dai non fumatori, ma anche da una sostanziale parte dei fumatori”.

Che cosa ne pensano però i fumatori? Agli intervistati sono state proposte tre ipotesi: l’aumento del 20%, del 50% e del 100% (raddoppio) del prezzo del tabacco (sigarette confezionate e tabacco sfuso). Nel primo caso (incremento del 20%) il 5,1% smetterebbe di fumare e un ulteriore 18% diminuirebbe molto. Nel secondo caso (+50%) gli interrompenti salirebbero al 20,4% e i fortemente calanti al 38,5%; infine un raddoppio del prezzo del tabacco farebbe smettere il 45,9% e diminuire fortemente un ulteriore 32,4%.  Certo, vi è un rischio di passaggio ad altre soluzioni: il 70,9% passerebbe alle sigarette elettroniche e il 20,5% cercherebbe di ricorrere a canali non ufficiali (e quindi illegali).

“L’aumento del prezzo salverebbe migliaia di vite all’anno, consentendo anche notevoli risparmi di spesa sanitaria. Al tempo stesso, però, peserebbe di più sui fumatori con reddito basso, che non riescono a smettere. Per correggere questo aspetto ‘punitivo’, si può prevedere che l’intero gettito venga re-investito in iniziative per favorire una società senza fumo, aiutando concretamente con servizi e terapie i fumatori”, osserva Giovanni Fattore, Professore Ordinario presso il dipartimento di Scienze sociali e politiche dell’Università Bocconi di Milano.

Dello stesso avviso è un altro membro del Comitato scientifico di Fondazione Umberto Veronesi per la lotta al fumo, Giulia Veronesi, Responsabile Chirurgia Toracica e Robotica, Istituto Clinico Humanitas di Milano: “Risparmiare il denaro speso per le sigarette e investirlo in qualità di vita può essere una motivazione importante per chi vuole smettere di fumare. Anche per questo riteniamo che un aumento consistente del prezzo delle sigarette sia utile a ridurre i consumi e a liberare risorse finanziarie da investire per prevenire e curare le malattie dovute al fumo, senza abbandonare la popolazione a rischio – fumatori ed ex fumatori – che ha bisogno di essere tutelata con programmi di sorveglianza ad hoc”.

Fare informazione per potenziare la prevenzione

La prevenzione passa in primo luogo dall’informazione. Un ruolo importante in questo ambito è svolto dai centri antifumo, come spiega Licia Siracusano,  U.O. Oncologia medica e Ematologia, Referente del Centro Antifumo dell’Istituto Clinico Humanitas di Milano: “I centri antifumo sono il luogo in cui trovare risposte ai dubbi, ottenere una valutazione delle condizioni di salute, della dipendenza dal tabacco e delle soluzioni più utili da adottare. Ma le strutture accreditate sono poche, soprattutto al sud, e la prevenzione pare ancora un’occasione di salute largamente sprecata o sottovalutata”.

Nonostante le lacune evidenziate e lo sforzo culturale ancora necessario, l’Italia sta comunque migliorando la propria posizione nella classifica internazionale sulle politiche di controllo del tabagismo. Dati del Ministero della Salute evidenziano una diminuzione delle vendite dei prodotti del tabacco negli ultimi tre anni del 4,1% (8,7% nel caso delle sigarette), un aumento di chiamate al numero verde contro il fumo dopo l’introduzione del numero stesso sui pacchetti di sigarette e l’attivazione di 37 programmi nei Piani regionali della prevenzione nei setting Scuola, Lavoro, Comunità e Sanità.