L’introduzione degli agonisti del GLP-1, come la Semaglutide, ha segnato un punto di svolta nel trattamento dell’obesità e del diabete di tipo 2, grazie alla loro straordinaria efficacia nel controllo metabolico e nella perdita di peso. Tuttavia, la loro recente visibilità mediatica, alimentata dall’uso non autorizzato per fini puramente estetici da parte di figure pubbliche e dello showbiz, ha generato una crisi, prima di approvvigionamento e poi di percezione.
Dopo l’invito alla calma della professoressa Raffaella Buzzetti, presidente della Società Italiana di Diabetologia, per inquadrare correttamente la questione, ci siamo rivolti al professor Arrigo Cicero, direttore della Scuola di Specializzazione in Scienze dell’Alimentazione presso l’Università Alma Mater Studiorum di Bologna.
Cicero, infatti, è autore di un recente commento sul tema pubblicato sul New England Journal of Medicine per approfondire non solo il reale meccanismo d’azione e il valore clinico di questi farmaci, ma anche i rischi sanitari derivanti dal loro utilizzo non supervisionato, le implicazioni di governance legate alla rimborsabilità AIFA e i dati emergenti dalla ricerca scientifica su nuovi trial clinici.
Il valore clinico e il meccanismo d’azione
Il professor Cicero ha definito gli agonisti recettoriali di GLP-1 come «farmaci estremamente rivoluzionari nel loro settore in quanto hanno consentito una svolta nella gestione del paziente con obesità. Benchè il loro profilo di sicurezza sia globalmente molto elevato, lo stesso deve essere conosciuto perché ci sono potenziali rischi connessi alla loro assunzione».

Questi farmaci, ha continuato, agiscono «sull’attivazione di recettori che si trovano a vari livelli del nostro organismo. Inizialmente si pensava che la collocazione fosse principalmente cerebrale e che quindi l’effetto di questi farmaci fosse concentrato sulla modulazione dei centri della fame a livello di sistema nervoso centrale, mentre nel tempo si è capito che sono distribuiti anche (e non solo) a livello dell’apparato digerente. Il meccanismo di azione centrale è legato alla regolazione della percezione del senso di fame, tanto è vero che alcuni effetti collaterali comunemente descritti non sono altro che una magnificazione dell’effetto del medicinale stesso. La riduzione del senso di fame indotto da questi farmaci è infatti centrale ma anche secondario al rallentamento dello svuotamento gastrico e di quello intestinale, che possono contribuire ad indurre nausea e stipsi. Ma questi effetti, entro certi limiti, non sono altro che gli effetti del farmaco dovuti alla sua intrinseca efficacia».
Farmaci efficaci ma non miracolosi: l’importanza di una informazione corretta
Si tratta quindi di farmaci estremamente efficaci. Tuttavia, come ha sottolineato Cicero, «la loro efficacia nei trial clinici è magnificata dal fatto che i pazienti arruolati sono sempre seguiti non solo farmacologicamente ma anche da un punto di vista dietetico-comportamentale. Ne consegue che la possibilità di ridurre il peso corporeo anche del 20-25% in un anno è concreta laddove il paziente si attenga anche ad uno stile di vita prescritto. Non sono dunque miracolosi, ed è essenziale che tutti i professionisti sanitari siano in grado di trasmettere in modo chiaro questo tipo di informazione».
I rischi dell’uso improprio e della “rincorsa al calo di peso rapido”
Sebbene il profilo di sicurezza sia molto alto, l’uso sconsiderato moltiplica i potenziali pericoli. Il professor Cicero ha circoscritto i rischi più gravi legati alla malagestione: «i pochi effetti collaterali che possono essere rilevanti sono un aumento del rischio di litiasi biliare, di colecistite e l’aumento di rischio di pancreatite».

Questi eventi, sebbene rari, sono spesso innescati dal desiderio di accelerare i risultati. L’esperto ha spiegato il nesso causale: «Le pancreatiti derivano fondamentalmente dal fatto che si vuole accelerare molto sulla rapida perdita di peso accelerando l’aumento delle dosi. Se uno rispetta i tempi di adattamento del corpo, e quindi un calo ponderale più lento, si raggiungono solo vantaggi, in genere più duraturi nel tempo, rispetto ad una perdita di peso repentina che, se non associata ad una rieducazione comportamentale, rischia di produrre una ripresa del peso molto rapida all’interruzione del trattamento».
L’uso improprio può esporre i soggetti non diabetici anche al rischio di ipoglicemie, seppure raramente. Di recente, invece, sono stati studiati i presunti effetti negativi a carico del cuore.
La crisi di governance e il nodo della rimborsabilità AIFA
Il nodo cruciale che alimenta l’uso improprio è la disparità di accesso e rimborso in Italia. Cicero ha precisato che questi farmaci sono rimborsati da AIFA solo in seconda linea per i pazienti affetti da diabete, lasciando per ora scoperti i pazienti con obesità ma non diabetici che devono acquistarli a proprie spese.
Questa politica crea delle distorsioni per cui alcuni pazienti con obesità cercano di accelerare la perdita di peso puntando subito al dosaggio più alto anche per ragioni squisitamente economiche.

Occorre altresì ricordare che «l’uso sconsiderato di questi farmaci ha determinato un problema di carenza di scorte e quindi una indisponibilità per pazienti che realmente ne necessitavano. Questa è stata una importante criticità, in buona parte rientrata. Per il momento il prezzo rappresenta ancora un deterrente anche se i benefici percepiti dal paziente che assume questi medicinali in maniera corretta sono tali per cui spesso in maniera inattesa il reddito non rappresenta la variabile determinante nella scelta di assunzione».
In ogni caso, il ruolo educativo e di filtro dello specialista è essenziale per garantire che l’accesso sia prioritario per chi ha una reale indicazione clinica, distinguendo la terapia cronica da una soluzione estetica temporanea.
Le nuove frontiere della ricerca e le sfumature di genere
In un recente commento pubblicato sul NEJM di cui il professor Cicero è coautore, è stata evidenziata una curiosa disparità di genere negli studi su questi farmaci per cui le donne risultano sovra-rappresentate nei trial sull’obesità, mentre gli uomini in quelli sul diabete.
Trattandosi di farmaci molto studiati con un numero elevatissimo di trial, questa disparità non sembra inficiare sulla sicurezza complessiva per gli eventi avversi comuni: «in un’ottica di valutazione globale degli effetti anche su macro-sottogruppi si fa più fatica a settorializzare, anche rispetto ad analisi su fasce d’età, mentre sugli eventi rari potrebbe esserci un gap dovuto allo sbilanciamento anche se lo stesso da un punto di vista fisiopatologico non dovrebbe determinare grandi differenze.

In un setting controllato, ha aggiunto Cicero, «gli eventi avversi sono bassissimi, quelli che vediamo sul territorio sono in genere imputabili a malagestione. È più interessante capire il meccanismo alla base della differenza di arruolamento in assenza di una ragione reale. Potrebbe trattarsi di un problema di natura culturale o determinato da un maggiore timore negli uomini legato al diabete e quindi una maggior facilità per gli stessi nel farsi arruolare su studi sperimentali di settore mentre per le donne il fattore estetico potrebbe portare ad un loro più facile coinvolgimento in studi sull’obesità».
Infine, la ricerca sta attualmente studiando tante indicazioni diverse per questi farmaci con risultati promettenti a partire dalla perdita di peso – miglioramento delle patologie respiratorie croniche, piuttosto che della funzionalità renale. L’unica “nota dolente” sinora rilevata è il mancato impatto positivo sul declino cognitivo, probabilmente imputabile al fatto che gli studi finora condotti hanno arruolato soggetti in una fase già conclamata e non reversibile di patologia.


