Personalizzazione del trattamento e multidisciplinarietà rappresentano il fil rouge che deve guidare nell’inquadramento della lombalgia. Dalla diagnostica alla scelta del trattamento, sia esso conservativo o chirurgico o complementare: misurato su caratteristiche, sede, natura, intensità e origine del dolore, esigenze del paziente e outcome verso il recupero funzionale e della qualità della vita.

Inquadramento che deve essere definito dal confronto di più figure professionali con diversa expertise e know-how: chirurgo, neurologo, terapista, terapista del dolore, territorio, fra i principali. È il take home message della giornata di lavori dedicata a “Il puzzle della lombalgia”, convegno organizzato a Milano, lo scorso 6 giugno, da AISD (Associazione Italiana per lo Studio del Dolore) Lombardia.

La lombalgia

Tra le condizioni più ricorrenti presso gli ambulatori del medico di medicina generale e specialistici, la lombalgia, patologia largamente diffusa, spesso disabilitante, dagli elevati costi assistenziali e psicosociali, è sperimentata in forma fisiologica o patologica dalla persona almeno una volta nella vita.

Inizialmente, sottostimata o trattata inadeguatamente, il dolore che accompagna la lombalgia da fisiologico, acuto, nocicettivo può progressivamente evolvere verso un dolore patologico, cronico, perdurante da almeno tre mesi, in cui si osserva una modificazione delle vie su cui il dolore viaggia con impatto sulla neuroplasticità (mal)adattativa.

IASP (Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore) ha recentemente suddiviso il dolore cronico in due grandi branche:

  • il dolore cronico secondario a un evento riconosciuto, come il dolore muscolo-scheletrico o neuropatico;
  • il dolore cronico primario apparentemente non collegato né a una lesione delle fibre né a un processo infiammatorio, spesso associato a sensibilizzazione centrale, in parte identificato con il dolore nociplastico, quale il dolore fibromialgico ad esempio.

«Il dolore nocicettivo fisiologico – spiega Diego Fornasari, professore associato di Farmacologia presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Milano – ha un ruolo protettivo, è adattativo e ad alta soglia, nel dolore infiammatorio acuto il sistema somato-sensoriale mette in guardia che qualcosa non va nell’organismo, mentre in quello cronico si assiste alla cronicizzazione dell’infiammazione, in cui il dolore non ha più alcun obiettivo finalistico. Francamente patologico è il dolore nociplastico, neuropatico e funzionale, indicativo di un sistema somato-sensoriale malato che diviene pain generator, origine del dolore, in cui una fibra, presumibilmente lesa, genera dolore anche in assenza di un evento causativo».

Le forme di dolore patologico hanno in comune la violazione delle normali vie (fisiologiche) di nocicezione: la loro identificazione è fondamentale per impostare interventi farmacologici mirati a correggere la violazione e a ripristinare una nocicezione fisiologica.

L’approccio farmacologico

È guidato dalla tipologia di dolore. Ad esempio, in caso di dolore fisiologico, in cui si assiste a una violazione nell’abbassamento della soglia dolorosa, si può ricorrere a farmaci di prima linea, che interferiscono con la produzione di citochine e prostaglandine, come steroidi (glucocorticoidi) che agiscono sull’NFkB inducendo l’espressione di alcune specifiche citochine (IL-1, IL-2, IL-4, IL-6 e molti altri fattori), e della ciclossigenasi 2, o ai FANS (utilizzati nel rispetto della nota 66 di AIFA al fine di ottenere un effetto analgesico e/o antinfiammatorio) che diversamente inibiscono direttamente le ciclossigenasi. Sono indicati FANS sia tradizionali (come ibuprofene che agiscono sull’attività di COX 1 e COX 2), sia selettivi che impattano solo sulla COX2, sia preferenziali con azione sulla COX2 e in parte sulla COX1, fra cui nimesulide.

Nel dolore neuropatico sta acquisendo sempre maggiore importanza il ganglio con possibilità di trattamento sia farmacologico sia con manipolazioni elettriche eseguite da terapisti del dolore. «Nel dolore neuropatico – prosegue Fornasari – le violazioni sono legate a compressione e demielizzazione che si esprimono con esacerbata eccitabilità periferica e a livello del midollo spinale con aumento dei canali del calcio. Su queste vie è possibile agire con farmaci di prima linea, tra cui gabapentinoidi e antidepressivi triciclici, in seconda linea con lidocaina e capsaicina e, infine, in terza linea con gli oppiacei, con possibilità di combinare più farmaci tra loro. Inoltre, è possibile considerare anche approcci non invasivi, come le terapie riabilitative».

Anche la sensibilizzazione spinale rappresenta un importante target farmacologico con impiego, ad esempio, di paracetamolo con effetti analgesici, o di oppioidi che svolgono una duplice azione, inibendo presinapticamente il rilascio del neurotrasmettitore e postsinapticamente aprendo il canale del potassio. Gli oppioidi possono essere impiegati con successo anche nel dolore nocicettivo e fisiologico e nel dolore nocicettivo infiammatorio, con minore efficacia nel dolore neuropatico, mentre nel dolore nociplastico è meglio non usarli.

Sempre in ambito di sensibilizzazione spinale, sembra avere effetti analgesici l’impiego di clodronato che interferisce con la produzione di ATP, e il nutraceutico L-acetyl-carnitina, un farmaco epigenetico che chiude il canale del calcio. Infine, gli antidepressivi possono anch’essi svolgere una azione positiva mentre vanno esclusi i farmaci SSRI (farmaci selettivi della ricaptazione della serotonina).

La diagnosi

Diagnosticare l’eziopatologia del dolore riferito dal paziente resta un aspetto critico e cruciale. Il metodo SIMP, uno specifico algoritmo messo a punto da SIMG (Società Italiana di Medicina Generale) e utilizzato in medicina generale, può aiutare anche il medico di base, tramite gli “strumenti” presenti in ambulatorio a distinguere i diversi tipi di dolore (nocicettivo, neuropatico, misto), quindi a gestire in modo migliore la terapia.

Il metodo prevede, innanzitutto, la circoscrizione dell’area dolorosa disegnandola sulla cute con un pennarello e il successivo impiego di batuffolo, provetta contenente acqua calda e graffetta per valutare l’integrità delle fibre nervose e l’area interessata dal dolore riferito dal paziente, identificandone la neuro-compatibilità.

Ad esempio, se quest’ultima è presente e si associa a deficit totali è indicativa di dolore neuropatico, una neuro compatibilità in cui sono assenti deficit è tipica di dolore nocicettivo, mentre la rilevazione di neuro compatibilità con deficit parziali è espressione di mix pain. Questa qualificazione del dolore guiderà, quindi, l’approccio farmacologico specifico. Mentre un’area non neuro compatibile con assenza di deficit è riconducibile a un dolore nocicettivo, all’opposto un dolore non neuro compatibile in cui si rilevano deficit, l’incongruenza è meritevole dell’invio la paziente dal terapista del dolore.

Il terapista del dolore

Valuta dapprima il dolore dal colloquio da cui emergono i sintomi percepiti dal paziente, spesso condizionati dallo stato emotivo e che sono espressione della personale elaborazione della nocicezione. Quindi, fondamentale è valutare i segni, non i sintomi. Alcuni strumenti di imaging possono essere utili nel rilevare una alterazione anatomica potenzialmente riferibile al dolore, ma che va poi correlata alla clinica e alla sua sede come visceri, muscoli articolazioni, disco ipervertebrale, vertebre e tessuti molli, cui più di frequente origina la lombalgia. «Il terapista del dolore può agire tramite la valutazione delle soglie, quindi il dolore evocato tramite l’acquisizione di specifiche posture – dichiara Cesare Bonezzi, algologo, senior consultant Unità di Terapia del dolore presso l’Istituto di Pavia della Fondazione Salvatore Maugeri – Istituti Clinici Pavia – e tramite il ricorso a determinate tecniche come infiltrazioni, stimolazione particolarmente utile per valutare il coinvolgimento del ganglio, blocchi anestetici (lipotecnica). Tutti questi strumenti consentono la corretta diagnosi del dolore. Fondamentale è il dialogo per favorire l’aderenza terapeutico, la comprensione della patologia e la collaborazione medico-paziente».

La terapia riabilitativa

La fisioterapia è uno strumento per la gestione del dolore lombare. Fondamentale l’analisi accurata e l’ascolto del paziente e che tracciano il profilo del fisioterapista, quale professionista esperto con elevate competenze tecnico-scientifiche e di comunicazione. Al paziente va dedicato un tempo di qualità, necessario a fare chiarezza in entrambi gli interlocutori (medico e paziente) sulla natura del dolore, la sede, le manifestazioni del dolore, i fattori scatenanti e aggravanti del dolore, la durata e così via.

«Fondamentale è la multidisciplinarietà – dichiara Tiziana Nava, fisioterapista ed esperta nella riabilitazione delle patologie reumatiche e muscolo-scheletriche – ma soprattutto l’interdisciplinarietà fra professionisti. Studi di letteratura dimostrano migliori outcome in pazienti presi in carico “globalmente” rispetto a pazienti “parcellizzato”, in cui oltre a medico, paziente, fisioterapia, e la squadra di esperti, siano coinvolti anche i famigliari». Nuove tecnologie possano aiutare, anche il fisioterapista nella valutazione funzionale del paziente con rachialgia, in cui particolare attenzione va riservata anche al muscolo, coinvolto nel processo dolore in una buona quota di pazienti, ma spesso trascurato, meritevole di specifici trattamenti e/o tecniche aggiuntive.

«Ad esempio è possibile lavorare sull’esercizio, sulla densità minerale ossea – precisa Fabrizio Gervasoni, medico fisiatra, direttore di Distretto Municipio 2 e Responsabile UDO Cure Domiciliari presso A.S.S.T. Fatebenefratelli Sacco, Milano – che aiutano a migliorare il quadro sarcopenico nel paziente anziano. Esistono poi dispositivi robotici come pedane oscillanti che consentono di valutare le reazioni posturali dell’individuo di fronte a stimoli che minano l’equilibrio, sensori cutanei riflettenti e l’elettromiografia di superficie, ovvero una serie di semplici strumenti portatili che si possono avere in ambulatorio da cui avere preziose informazioni sullo stato in attività dei muscoli, specificatamente paravertebrali durante alcuni movimenti funzionali».

La chirurgia

In ambito neurochirurgico, il trattamento della lombalgia richiede competenze cliniche molto ampie, ma anche tecniche e radiologiche precise, utili per associare a un contesto clinico una realtà biologica, quindi, anche competenze in ambito riabilitativo e fisioterapico e non ultimo di terapia del dolore.

Tale vastità di expertise implica che il paziente con lombalgia venga gestito in team, in cui sia il fulcro di una Simultaneous Care, un trattamento multidisciplinare, multiprofessionale, intorno alla sua patologia. Quando operare il paziente con patologia? «Le indicazioni non sono così ben standardizzate – precisa Jody Filippo Capitanio, neurochirurgo presso l’Unità di Neurochirurgia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele – pertanto è più facile definire quanto non operare. L’intervento va escluso presenza di dolore assiale senza deficit neurologici e senza instabilità documentata, in assenza di una adeguato periodi di trattamento conservativo (strategie di in base a esperienze e preferenze del singolo, senza aver provato la Terapia del dolore, in caso di referti radiologici non correlati alla sintomatologia, in presenza di condizioni mediche che aumentano significativamente il rischio chirurgico e che possono compromettere il risultati, laddove esistano psicopatologie significative e instabilità emotiva e se sussistono aspettative non realistiche del paziente».

In generale, la chirurgia è indicata in contesti di ernia discale o recidiva, stenosi spinale, spondilolistesi degenerativa, instabilità segmentaria, tenendo conto che l’approccio al paziente deve essere personalizzato, supportato dalla condivisione con diverse figure professionali: anestetista, terapista del dolore, chirurgo bariatrico, psichiatra. Previa valutazione di età, comorbidità, qualità e stile di vita, preferenze individuali della persona.

Ulteriori approcci, verso il futuro

Blocchi anestetici, neurostimolazione spinale chirurgia e diverse altre soluzioni rappresentano lo standard di intervento in presenza di specifici contesti, ma si stanno profilando nuovi potenziali approcci di medicina rigenerativa alla gestione di alcune specifiche patologie, tra cui discopatia degenerativa, ernie discali e radicolopatia, trattabili con infiltrazioni di PRP (plasma ricco di piastrine), la cui efficacia è stata dimostrata per altre patologie all’anca e al ginocchio, con nanotecnologia PLGA per il rilascio di farmaci senolitici, indicate nel trattamento della lombalgia, nanoparticelle di biossido di manganese, esosomi da MSC (cellule staminali mesenchimali).

Inoltre, sono di possibile impiego anche soluzioni con acido ialuronico che ha dimostrato efficacia nell’artrosi, supplementi nutrizionali con un mix di nutraceutici a base di collagene II, glucosamina, Vitamina C, L-lisina, estratto di bambù con un potenziale ruolo nella stabilizzazione della degenerazione discale e un uso combinato con altre metodiche.

Ancora, tra le soluzioni del futuro si includono l’ozono paravertebrale per la lombalgia meccanica aspecifica o la sindrome miofasciale, il PRP intradiscale  per il dolore discogeno, l’ozono intradiscale per la protrusione discale e la lombosciatalgia, la sindrome delle faccette articolari.

Il territorio

La farmacia è fra i luoghi cui il paziente si rivolge per il trattamento della lombalgia. Al farmacista di comunità è dunque chiesta capacità di ascolto ed empatia nella relazione con il cliente/paziente per intercettare le esigenze di salute, inquadrare correttamente il paziente in termini di età, comorbidità/fragilità, politerapie, identificazione del distretto anatomico interessato dalla sintomatologia infiammatoria/dolorosa muscoloscheletrica, qualificare le caratteristiche del dolore e limpatto sulla qualità della vita.

«È primaria la necessità di potere usufruire di strumenti idonei, come interviste strutturate, flow chart, schemi decisionali scientificamente validati – conclude Francesco Carlo Gamaleri, direttore scientifico della rivista Tema Farmacia News, farmacista territoriale, consigliere dell’Ordine farmacisti province Milano, Lodi, Monza Brianza – al fine di effettuare un inquadramento generale e una valutazione della condizione sanitaria della persona, quindi l’opportunità di un possibile percorso di automedicazione responsabile, prevalentemente ricorrendo a FANS in forma di gel, crema schiuma o cerotti transdermici, ad uso topico,  e/o guidata del paziente. Tali informazioni consentono anche l’identificazione di red flags che aiutano il farmacista a orientare il paziente, laddove necessario, verso altri livelli di assistenza medica, dal MMG allo specialista, o anche superiori in caso di rilevazione di criticità e/o recidive. Da qui l’esigenza di un “patto” di collaborazione sanitaria interprofessionale in ambito territoriale cha ha l’obiettivo ultimo passare, a partire dalla farmacia, da un consiglio aspecifico, alla pharmaceutical care, il consiglio personalizzato, in un sistema virtuoso di efficacia, efficienza e ecosostenibilità».

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