Fare ricerca clinica regolatoria ad alto livello, in grado cioè di produrre dati di ottima qualità, tali da poter essere presentati e ispezionati dalle autorità regolatorie referenziali, AIFA (agenzia Italiana del Farmaco), nello specifico, EMA (Agenzia Europea per i Medicinali), in contesto europeo e FDA (Food&Drug Administration) in ambito statunitense. E farla sul territorio, con il coinvolgimento attivo di una “rete” di farmacia e di giovani farmacisti motivati dalla curiosità scientifica.
È questo l’obiettivo del Clinical Research Hub, un grande progetto di prevenzione del rischio cardiovascolare e cardiometabolico, ancora nelle prime fasi di attuazione, disegnato dal Centro Cardiologico Monzino IRCCS e coordinato da Marco Scatigna, Direttore dell’Unità Sperimentazione Clinica della stessa struttura, che arruolerà 65 farmacie territoriali di tutta Italia. Il progetto è stato presentato al 3° Forum Monzino della ricerca clinica, quest’anno dedicato a “La prevenzione delle malattie cardiovascolari e metaboliche: Il ruolo delle nuove tecnologie e dei nuovi farmaci”.
Le premesse
Il Clinical Research Hub ha una solida base di “ispirazione”: il CVRisk, la più ampia iniziativa italiana, ad oggi realizzata, di prevenzione delle malattie cardiovascolari finanziata dal Ministero della Salute, che vede la partecipazione di 17 Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) afferenti alla Rete Cardiologica che fungeranno da Hub, di 30 aziende sanitarie di diversa natura, in qualità di Spoke e di 30.000 cittadini sani di età compresa tra 40 e 80 anni, privi di patologie cardiache o diabete.
Il progetto intende valutare se l’integrazione di informazioni complementari sulla salute, ad esempio derivanti da immagini radiologiche o dati genetici, possano aiutare a stimare meglio il rischio individuale dei partecipanti a sviluppare una malattia cardiovascolare a 10 anni, quindi strutturare consigli e sinergie di prevenzione personalizzata.
Precedenti esperienze positive in ambito di prevenzione, rispetto a CVRisk, sono state condotte sul territorio, in particolare uno studio condotto intorno agli anni 1994-1995 dall’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano che intendeva valutare in un contesto di real life l’efficacia dell’aspirina a basse dosi (cardioaspirina) impiegata in prevenzione primaria delle malattie cardiovascolari.
«Questo studio – spiega Scatigna – ha dimostrato la capacità di un Istituto di Ricerca di coordinare una rete di più di 300 Medici di Medicina Generale (MMG) in tutta Italia, fornendo dati scientifici interessanti, nello specifico comprovando l’efficacia dell’aspirina nel ridurre le probabilità di un evento cardiovascolare in una popolazione che presentava anche con un solo fattore di rischio, l’età pari o superiore a 65 anni, rispetto alla totale inefficacia della vitamina E, considerata un farmaco di alta potenzialità prima di questo studio».
La ricerca del Mario Negri ha tuttavia messo in luce la difficoltà di interazione con la MMG territoriale per l’eccessivo carico di lavoro, quindi di produrre dati scientifici di qualità. Sulla base di questi risultati e di un altro importante progetto nazionale, il CV-PREVITAL, che coinvolge 12 IRCCS, circa 200 MMG del Consorzio Sanità (Co.S), 200 farmacie associate alle articolazioni territoriali di Federfarma Lombardia in un percorso di accompagnamento e awareness per la prevenzione del rischio cardiovascolare, sfruttando strumenti digitali (una APP), è nata l’idea del Clinical Research Hub, un progetto innovativo, di ricerca clinica con il prioritario coinvolgimento, a fianco dei ricercatori clinici, delle farmacie territoriali.
Il farmacista erogatore del dato
L’intento del Clinical Research Hub è di portare, anche in Italia, quanto già accade nel Nord Europa, ad esempio in Olanda/Paesi Bassi, UK e Scandinavia dove una rete di farmacisti di comunità è coinvolta in studi clinici pragmatici randomizzati: la letteratura dimostra la capacità/potenzialità del farmacista di produrre dati di qualità nell’ambito dei trial, con modelli facilmente replicabili.
«Diverse analisi hanno evidenziato che in Italia il farmacista ha una buona formazione in ricerca clinica – prosegue Scatigna – e in grado di produrre un dato-sorgente, proveniente ad esempio da fonti primarie, come i documenti sorgente originali dei pazienti, i referti medici, i dati di laboratorio e le informazioni demografiche, e/o da fonti secondarie, quali la revisione della letteratura, i database clinici e i trial clinici su farmaci e trattamenti, di qualità verificata. Ciò significa che ad un controllo del dato-sorgente, da parte delle figure deposte, la qualità espressa dal farmacista nella raccolta dati risulta essere di alto livello».
Prova ne è anche lo studio PEGASO, il primo studio osservazionale real-world condotto nelle farmacie di comunità italiane, sull’utilizzo di un farmaco da automedicazione, un probiotico a base di Bacillus Clausii, valutato come farmaco.
«I dati prodotti dalle farmacie sono stati inseriti nel Riassunto delle Caratteristiche del prodotto approvato da AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) a testimonianza della robustezza della qualità del dato stesso. Quindi la farmacia si conferma come un setting ideale in cui fare ricerca clinica e per comprendere l’uso reale dei farmaci, rafforzando il valore di questa figura professionale nel percorso di cura».
Il Clinical Research Hub
«In questo studio – chiarisce il dottor Scatigna – il farmacista diventerà ricercatore, valorizzando il suo ruolo e ottimizzando il suo contatto con i cittadini. Abbiamo già provveduto alla formazione in ricerca clinica di giovani farmacisti, pari a 32 ore complessive con particolare focus alle nuove norme di buona pratica clinica, alla formazione cardiovascolare e metabolico, sull’importanza della creazione di un dato di estrema qualità dei responsabili delle 65 farmacie selezionate sul territorio nazionale, su un totale di 335 iniziali, di cui la gran parte territoriali e poche urbane. Farmacie che costituiscono un bacino di utenza per circa 1-1,2 mila pazienti/clienti noti alla farmacia, gli unici che saranno arruolati nello studio e non il cliente occasionale, in modo da potere effettuare un monitoraggio nel tempo ma anche di potere intercettare soggetti potenzialmente a rischi cardiovascolare e cardiometabolico».
Nella struttura organizzativa del progetto Monzino è stato identificato come Project Manager, pertanto qualunque PI che parteciperà allo studio sarà una figura interna al Centro Cardiologico, che si occuperà anche di Medical Writing, degli aspetti etico-regolatori, dell’analisi statistica e così via. Mentre le farmacie avranno un ruolo di sub-investigator: recluteranno, faranno lo screening, il reclutamento dei pazienti noti, la raccolta di dati. Ciò in vista della pianificazione di progetti molto importanti, di cui sono stati definiti i protocolli.
Gli avanzamenti previsti nel 2026
All’inizio del prossimo anno è previsto l’avvio dei primi due progetti di ricerca che si focalizzeranno in particolare sulla diagnosi precoce e sulla raccolta di dati di qualità in ambito farmacologico su iniziative dispensate in farmacia.
«Si tratta di protocolli e studi no profit, di ricerca indipendente del Monzino. Obiettivo e auspicio – conclude il dottor Marco Scatigna – è lasciare questa serie di dati e modelli in eredità al Ministero della Salute e ad AIFA per cerare una rete qualitativa in ambito cardiovascolare metabolico, tale da poter dare risposta a qualsiasi domanda/contesto clinico e generare, o comunque avere a disposizione dati di Real World Evidence, che saranno progressivamente incorporati nella Clinical Data Platform di Monzino, una piattaforma in costruzione che raccoglie tutti i dati storici dei pazienti della struttura, ma anche dati provenienti dal territorio, come quelli che afferiranno al Clinical Research Hub, ovvero di pazienti che non vengono intercettati o solo tardivamente sul territorio».


