Anche il 2025 volge al termine. Il Santo Natale si avvicina e un bimbo vuole nascere ancora per farsi uomo, caricarsi delle nostre debolezze e liberarci. Pensando a Lui, pensiamo anche a tutti i bambini, che con la loro fantasia, spontaneità, vitalità colorano il mondo e ci permettono di essere degli adulti migliori, ogni volta che ci sforziamo di osservarli e di accompagnarli.
Da sempre i piccoli danno voce ai loro giochi; pupazzetti, bambole, soldatini e animaletti di pezza possono diventare compagni di avventure, amici fidati e custodi di segreti. Nell’universo fantastico, l’immaginazione e la curiosità dei bambini riempiono il mosaico del gioco, improvvisando dialoghi, inventando amicizie, riempendo silenzi. La fantasia ludica è condivisione d’emozioni ed arena per dipanare contrasti.
Qualcosa oggi sta cambiando; come in ambito scientifico e nei più disparati settori, anche nel mondo dei giocattoli l’IA (intelligenza certamente no, artificiale certamente in tutto e per tutto!), potrebbe imbavagliare la fantasia di un tempo: pupazzi e bambole in grado di parlare, apprendere, elaborare e proporre dialoghi ai piccoli che li tengono tra le mani in qualsiasi momento, sia di giorno che di notte.
Per mamme e papà, nonni, zii e perfino tate, il giocattolo parlante potrebbe sembrare un aiuto insperato, magari un sostegno per stimolare la creatività e un supporto educativo; anche un compagno indispensabile per i bimbi più soli, piuttosto che per i piccoli con difficoltà sociali.
Al di là di alcune interpretazioni apparentemente favorevoli, seguono immediatamente domande inquietanti ed interrogativi profondi.
Che conseguenze può avere l’evoluzione comportamentale e di pensiero del bambino che cresce con un giocattolo che risponde seppur grazie a un algoritmo? Solo per fare qualche esempio: il pupazzo programmato per fornire sempre la risposta giusta senza contraddizioni né esitazioni, quale visione ingannevole offre delle relazioni e dei rapporti umani? Quale l’interiorizzazione di empatia e conflitto, incomprensione e resilienza, accettazione di limiti o divieti? Le conseguenze sono imprevedibili; gli esperti, infatti, sono già in allerta per la salute mentale degli adulti che fanno uso prolungato tecnologie volte a sostituire rapporti reali con interazioni artificiali.
E quale invece il riscontro futuro nelle diverse fasce di età giovanili? Fragilità e incanti tipici dell’infanzia, hanno bisogno di esperienze vere, fatte di abbracci, carezze, insomma di contatto fisico (il tatto è il primo e l’ultimo dei nostri sensi, sviluppato nel grembo materno e perso con la morte), accompagnato naturalmente da sguardi, sorrisi, silenzi; nulla può sostituire la complessità e ricchezza del confronto umano.
Quale il vero rischio? Non tanto quello che l’IA inserita in un pupazzo potrebbe comunicare, ma ciò che potrebbe dire troppo “bene” in tono rassicurante eppure privo di reale reciprocità di comprensione, con rovesciamento definitivo di logica ed utilità del gioco simbolico.
I ragazzi non hanno bisogno di algoritmi “anestetizzanti” che confermano ogni loro pensiero, ma di menti e cuori che sfidano, contraddicono quando necessario ed accompagnano nella fatica della crescita autentica. Tanto più l’IA si affida al ragionamento computazionale, tanto più la sensibilità umana si dovrebbe esprime e manifestare con la capacità emotiva che le è propria.
Cosa accade nell’individuo quando l’incorporeo digitale, da strumento, viene percepito come un sostituto relazionale che falsamente compensa la solitudine senza risolverla? Gli esperti della Stanford School of Medicine hanno identificato nei cervelli adolescenziali, con la corteccia prefrontale ancora in sviluppo, una peculiare vulnerabilità specifica alle relazioni senza attrito offerte dall’IA che si palesa con una falsa intimità priva di confronto.
Non è certo l’IA che disintegra e uccide (i recenti casi di cronaca lo confermano), ma la solitudine e la mancanza di senso lasciati dal vuoto di relazione umana e dalla mancata risposta di un bisogno emotivo gridato nell’assordante rumore di fondo della comunicazione social.
Mai lo strumento in sé, ma l’intenzione del suo utilizzo, contraddistingue realmente ciò che è proprio per l’essere umano; oggi, ancor più che in passato, tanto più la digitalizzazione ci avvolge, tanto più siamo chiamati a ad essere umanizzati e riumanizzanti, in particolare verso coloro che richiedono il nostro aiuto e sono più fragili.
Ancora una volta, la farmacia di comunità, luogo privilegiato di ascolto e di promozione di salute di prossimità, può esprimere le proprie potenzialità in termini di mediazione comunicativa anche nella sfida digitale a favore delle fasce di popolazione che proprio dallo strumento digitale dovrebbero trarne maggiori benefici, ma che faticano invece ad usufruirne al meglio, a causa della involontaria poca competenza.
Non possiamo non ricordare che anche nell’incarnazione di quel Bimbo nella mangiatoia della stalla di Betlemme che ci chiama per lasciarsi abbracciare, siamo invitati a riscoprire ancora una volta la verità della nostra umanità e delle profondità delle relazioni.
Buon Natale agli affezionati lettori di Tema Farmacia News.
