Oggi, 1° dicembre, ricorre la Giornata Mondiale contro l’AIDS, una malattia che nel 2024 ha fatto registrare, stando ai dati del Centro Operativo AIDS dell’Istituto Superiore di Sanità, 2.379 nuove diagnosi, un numero lievemente inferiore alle 2.507 del 2023.

Il dato è sostanzialmente stabile, ma l’appello, che in occasione della giornata di oggi risuona ancora più forte, è a impegnarsi maggiormente viste le possibilità sia terapeutiche sia preventive di cui oggi disponiamo.

La trasmissione dell’HIV nel 2024 è avvenuta principalmente per via sessuale: il 46% dei nuovi casi riguarda eterosessuali, mentre il 41,6% maschi omosessuali.

Diffusione sotto i 29 anni e ritardo diagnostico

A preoccupare è il numero elevato di contagio tra i giovani: circa il 20% delle nuove diagnosi riguarda persone sotto i 29 anni, segno che il virus continua a circolare.

Inoltre, a pesare sono le diagnosi tardive, che costituiscono il 60%, con l’83,6% delle nuove diagnosi di AIDS riferite a persone che hanno scoperto la sieropositività solo nei sei mesi precedenti.

«Rispetto allo scorso anno ci sono 128 casi in meno, ma questa sostanziale stabilità non deve illudere – afferma la prof.ssa Cristina Mussini, vicepresidente SIMIT – L’avere a disposizione la Profilassi Pre-Esposizione (PrEP) e il cosiddetto “treatment as prevention”, ossia l’uso dei farmaci antiretrovirali come strumento per ridurre il rischio di trasmissione dell’HIV, dovrebbero condurre verso una diminuzione più marcata. Invece il virus continua a circolare soprattutto tra i giovani, mentre fatichiamo a far emergere il sommerso. Serve una comunicazione mirata e la formazione nelle fasce d’età più a rischio, con un coinvolgimento di tutti gli attori che possano offrire un contributo sull’educazione sessuale e affettiva».

Dati incoraggianti sul piano terapeutico

Sul piano terapeutico, invece, i risultati sono incoraggianti: oltre il 95% delle persone in terapia antiretrovirale raggiunge la soppressione virale, trasformando l’HIV in una condizione cronica controllabile e non trasmissibile (U=U).

Tuttavia, una percentuale del 5% che non riesce a sopprimere la viremia, spesso per problemi di aderenza, un limite che i farmaci a lunga durata. La problematica potrebbe essere superata grazie ai cosiddetti “long acting”, possono contribuire a superare con un’iniezione ogni due mesi.

«Le terapie iniettabili a lunga durata d’azione rappresentano non soltanto una scelta innovativa e molto meno stigmatizzante della terapia orale, ma anche  una soluzione fondamentale per chi fatica ad assumere la terapia giornaliera – spiega Mussini – Da una parte garantiscono una gestione più semplice e un’opzione meno stigmatizzante per le persone in terapia; dall’altra aiutano i clinici a ottenere la soppressione virale anche nei casi più complessi, migliorando al tempo stesso la qualità di vita».

Anche dal punto di vista della prevenzione sono stati realizzati progressi importanti. La Profilassi Pre-Esposizione (PrEP) continua a dimostrarsi uno strumento altamente efficace. Oltre alla formulazione orale, utilizzabile quotidianamente o “on demand”, le novità più promettenti riguardano la PrEP long-acting, somministrabile per via iniettiva ogni due mesi: diversi studi ne mostrano l’efficacia, la tollerabilità e la maggiore aderenza che può garantire.

Come sottolineato da Mussini, è auspicabile un ampliamento dell’accesso alla PrEP, sia orale che iniettabile. «È necessario poterla prescrivere anche fuori dagli ambulatori di malattie infettive per raggiungere più persone, e offrire l’opzione iniettabile a chi non può assumere o non riesce a essere aderente alla PrEP orale».

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