I dati presentati a ICAR delineano una svolta significativa per i pazienti affetti da HIV. Grazie alla terapia antiretrovirale, l’infezione potrebbe assumere lo status di malattia cronica garantendo sopravvivenza e qualità di vita sempre più simili alla popolazione generale. Inoltre, la regolare assunzione della terapia renderebbe il virus non trasmissibile.

«ICAR si conferma un momento centrale per il confronto scientifico della nostra società – ha dichiarato Roberto Parrella, presidente SIMIT – Le sfide legate all’HIV stanno cambiando: le terapie oggi consentono alle persone con HIV di vivere a lungo e con buona qualità di vita, ma l’invecchiamento della popolazione comporta un incremento delle comorbidità e delle interazioni farmacologiche da gestire con attenzione. È incoraggiante vedere una partecipazione crescente di giovani ricercatori, che dovranno affrontare questa nuova fase della lotta all’HIV con competenza e visione. Oggi disponiamo di strumenti di prevenzione efficaci come la PrEP e di terapie avanzate altamente efficaci dotate anche di caratteristiche che possono migliorare l’aderenza delle persone con HIV. Nonostante questi traguardi raggiunti, il Virus continua a rappresentare una minaccia reale».

Diversi studi presentati a Padova sono stati condotti in un contesto di real world e hanno evidenziato l’importanza dell’ottimizzazione terapeutica, con un approccio personalizzato nel trattamento a lungo termine dell’infezione. Dalle ricerche è, inoltre, emersa l’elevata efficacia e tollerabilità della terapia a base di bictegravir, emtricitabina e tenofovir alafenamide (B/F/TAF).

«L’opportunità di individualizzare il trattamento scegliendo tra due o tre farmaci apre nuovi scenari, ma va sempre valutata con attenzione – ha sottolineato Giovanni Di Perri, professore ordinario di Malattie Infettive, Università di Torino – In particolare, la triplice combinazione B/F/TAF rappresenta il punto di massima evoluzione della terapia antiretrovirale, grazie a una lunga emivita, elevata potenza e tollerabilità, che la rendono “forgiving”, ovvero capace di mantenere l’efficacia anche in presenza di una non perfetta aderenza. Ma per ogni scelta è essenziale una selezione attenta dei pazienti, basata sulla loro storia immuno-virologica: ottimizzazione significa infatti costruire un trattamento che tenga conto delle caratteristiche uniche di ogni persona».

Giovanni Di Perri, professore ordinario di Malattie Infettive, Università di Torino

Lo studio ICONA presentato sulla più ampia coorte italiana sull’HIV ha dimostrato come i risultati dei trial clinici abbiano dato riscontro anche nella pratica quotidiana.

«La terapia con B/F/TAF in una singola compressa giornaliera è oggi tra le più utilizzate in tutte le fasi dell’infezione da HIV – ha spiegato Antonella d’Arminio Monforte, presidente di Fondazione Icona – Questo studio, condotto sulla coorte ICONA, ha voluto verificarne efficacia e tollerabilità nel mondo reale. L’analisi ha incluso oltre 2.500 persone: 929 in prima terapia e 1.653 già in trattamento con altri regimi. A 192 settimane, solo il 7,7% (prima linea) e il 5,8% (linee successive) ha interrotto la terapia per tossicità o fallimento virologico: eventi rari e spesso legati a temporanee interruzioni nell’assunzione, non a inefficacia strutturale del farmaco. La maggior parte dei pazienti torna alla soppressione virale senza cambiare trattamento».

Antonella d’Arminio Monforte, presidente di Fondazione Icona

Invece, lo studio BICSTaR (Bictegravir Single Tablet Regimen), coordinato a livello internazionale, ha incluso oltre 4mila partecipanti in diversi Paesi. La coorte italiana ha analizzato l’andamento di 176 persone con HIV già in trattamento (experienced) per un periodo di due anni.

«I dati confermano un’efficacia molto elevata: oltre il 90% dei pazienti ha mantenuto la soppressione virale – ha illustrato Diana Canetti, specialista in Malattie Infettive, IRCCS San Raffaele, Milano – Inoltre, non sono emerse nuove mutazioni di resistenza al farmaco, e gli effetti collaterali sono risultati pochi, lievi e raramente sono stati causa di interruzione. Uno degli aspetti più interessanti è quello della persistence: la capacità della terapia di essere mantenuta nel tempo con sicurezza ed efficacia superiore al 90%, anche nei pazienti over 65, spesso affetti da comorbidità e sottoposti a politerapie. Questo dato è molto rassicurante e conferma l’affidabilità di questa strategia terapeutica nel lungo termine».

Diana Canetti, specialista in Malattie Infettive, IRCCS San Raffaele, Milano

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here