È ancora dibattito aperto sulla cannabis light. Questa volta la querelle oppone la normativa nazionale che vieta l’uso di foglie e infiorescenze di cannabis, anche entro i limiti fissati dall’Unione Europea, e le disposizioni comunitarie che regolano la libera circolazione e l’impiego delle varietà agricole iscritte nel catalogo comune europeo.

L’ultima parola spetterà alla Corte di Giustizia UE, cui il Consiglio di Stato ha demandato la decisione. Al momento, questo rinvio a giudizio costituisce un nuovo “stallo” della sostanza, con ulteriori potenziali criticità associate.

Sotto sentenza

Il destino della cannabis light è ancora in bilico dopo l’ultima ordinanza, del 2 novembre scorso, in cui la Sesta Sezione del Consiglio di Stato si rimette al giudizio di Lussemburgo su un rinvio pregiudiziale, da cui anche l’Italia non è esclusa. In discussione la coltivazione e commercializzazione della canapa sativa a basso contenuto di THC (delta-9-tetraidrocannabinolo), il principale composto psicoattivo della cannabis.

In buona sostanza, sarà la Corte di giustizia dell’Unione europea a stabilire se sia lecito oppure no il mercato delle infiorescenze di canapa sulla base degli attuali regolamenti europei, delle sentenze italiane e internazionali e dei risultati degli studi scientifici ad oggi disponibili. Un pool di evidenze che schierano per il sì, legalità che è sostenuta anche da aziende e produttori, cui tuttavia si contrappone il fronte del no, espresso dal Governo che per rafforzare la propria posizione ha anche definito una legge per criminalizzare il fiore di canapa.

L’auspicio è che il giudizio della Corte UE ponga la parola fine all’annosa vicenda iniziata nel 2022 con l’approvazione in Conferenza Stato-Regioni, durante il governo Draghi, di un decreto che inseriva la canapa tra le piante officinali, limitandone tuttavia l’utilizzo a fibra e semi, quindi escludendo il fiore. Una restrizione che ha generato un florido movimento di opposizione, anche da parte delle associazioni di settore, fino a esitare in azioni legali.

Una vittoria di Pirro

A febbraio 2023 la questione sembrava risolta quando il Tribunale amministrativo annullava il citato decreto, ritenendo “illecito” limitare l’uso solo ad alcune parti della canapa sulla base di un generico principio precauzionale, senza robusti dati scientifici a giustificazione.

Il Tribunale amministrativo portava inoltre a sostegno della decisione anche specifiche sentenze europee, ad esempio del Consiglio di stato francese che ha consentito e legalizzato il commercio di CBD (cannabidiolo) e cannabis light nell’intera nazione.

In Italia, il decreto Sicurezza del 2025 ha posto, invece, un ulteriore ostacolo: in un emendamento specifico si dichiara, infatti, che “la legge sulla canapa industriale (la 242/2016) non si applica alle infiorescenze femminili della “Cannabis sativa L.” (dove L. sta per Linnaeus e non per light, ndr) e ai principali cannabinoidi estratti da esse, rimandando queste parti della pianta al Testo unico sugli stupefacenti del 1990”.

Il fiore, viene quindi valutato proibito e ciò significa che anche un olio di CBD ottenuto dai fiori di cannabis, indipendentemente dal contenuto di THC o dalla finalità d’uso, così come estratti full spectrum ricavati dalla infiorescenza (ad esempio resine, paste o cristalli di CBD) diventano illegale, al pari della materia prima da cui provengono. L’ultima misura, di questi giorni, richiede la rivalutazione dell’intera questione da parte della Corte di Giustizia europea, ma in attesa della decisione di Lussemburgo, il Consiglio di Stato ha disposto la sospensione del giudizio, seguendo la stessa linea adottata in un procedimento parallelo (n. 7267/2023) relativo agli stessi temi.

Le implicazioni

È possibile che questa “latitanza” incida oltre che sugli attuali processi in corso, rimandando il proseguimento ad altra data, anche su altri ambiti, compresi quelli produttivi e regolatori. Fattore rilevante, tenuto conto che nel nostro Paese lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze è l’unico produttore nazionale autorizzato dal Ministero della Salute alla coltivazione della pianta di cannabis per uso medico e alla produzione della infiorescenza essiccata macinata.

Qualora la Corte dovesse riconoscere la prevalenza del diritto UE, l’Italia sarebbe obbligata a correggere l’apparato normativo, ovvero sia la legge 242/2016 sia il Testo unico sugli stupefacenti nella parte in cui equiparano la cannabis light a quella ad alto THC, almeno quando si parla di varietà certificate e conformi ai limiti europei.

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