La lista Belfrit aumenta le tutele per consumatori

In Italia, con il decreto del 27 marzo 2014, il ministero della Salute, aggiornando gli elenchi degli ingredienti vegetali ammessi negli integratori alimentari, ha affiancato alla lista italiana delle piante autorizzate in questa categoria di preparati anche la cosiddetta lista Belfrit. Dopo l’Italia, il Belgio ha promosso un’iniziativa analoga: è di quest’estate, infatti, la notizia che questo Paese ha notificato alla Commissione europea, ai sensi della procedura TRIS (Dir. 98/34/CE), il regio decreto che, modificando il precedente decreto del 29 agosto 1997 riguardante la preparazione e la commercializzazione degli alimenti composti da o contenenti piante o preparati vegetali, include anche la lista Belfrit.

Rosa canina

In sostanza nel regio decreto sono inserite tre liste di piante:

lista 1: elenco negativo di piante vietate nei prodotti alimentari, tra cui gli integratori alimentari;

lista 2: elenco positivo di funghi commestibili, il cui uso come tali o come alimenti è consentito;

lista 3: elenco positivo di piante, il cui utilizzo è consentito solo in integratori alimentari (questo elenco sarà probabilmente la lista Belfrit).

Il progetto Belfrit in sintesi

Il progetto Belfrit, dal nome dei tre Paesi partecipanti: Belgio Francia Italia. Il lavoro, partito nel 2009, è terminato da qualche anno e sta dando i suoi frutti.

Il professor Mauro Serafini dell’Università la Sapienza di Roma spiega a quali conclusioni sono giunti il team di esperti di cui ha fatto parte.

Professore, da dove parte questo progetto che è un primo tentativo di armonizzazione europea sulla qualità e sicurezza degli integratori a base di botanical?

Considerata la diffusa presenza sul mercato di Francia Belgio e Italia di integratori alimentari contenenti botanical, e la mancanza di armonizzazione sull’utilizzo di questi componenti per la quale si deve applicare il mutuo riconoscimento sui prodotti legalmente commercializzati da altri Stato membri, ma non in linea con la nostra legislazione, le Autorità competenti di questi tre Paesi hanno deciso di semplificare tale procedura iniziando dalla definizione di una lista comune di piante ammissibili negli integratori alimentari. Così è stato avviato il progetto Belfrit, dalle iniziali dei loro nomi (BEL-gio, FRancia, IT-alia).

Riguardo alla valutazione degli aspetti scientifici che traguardo è stato raggiunto?

Dopo un lavoro durato circa un anno e mezzo, siamo arrivati alla definizione della lista comune di piante impiegabili. La lista identifica con precisione le piante che possono essere impiegate nella fabbricazione di integratori alimentari e indica nel contempo quali elementi monitorare in fase di produzione, a partire dalla natura dei costituenti chimici presenti nella specie considerata.

Su quali criteri si basa il lavoro condotto?

Il lavoro si fonda sull’analisi della letteratura scientifica concernenti le specie vegetali esaminate e di quanto, su dati derivanti dall’uso tradizionale, valutato scientificamente può essere recuperato. In questo senso non vuole essere esaustivo nei suoi contenuti e nella sua portata.

Ma sicuramente vuole innalzare il livello di tutela dei consumatori?

Sicuro e non solo, all’aumento del livello di tutela dei consumatori che è già un importante obiettivo si unisce l’aumento delle garanzie offerte agli altri Stati membri per favorire la libera circolazione dei loro prodotti.

Al momento attuale, cosa prevede il quadro normativo dell’UE?

L’ordinamento giuridico dell’UE non stabilisce alcun tipo di procedura di autorizzazione centralizzata a livello comunitario per l’uso negli alimenti di prodotti botanici e preparazioni da essi derivate. Il loro impiego nei cibi deve tuttavia soddisfare i requisiti generali previsti dal regolamento che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare e che istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (regolamento (CE) n. 178/2002). Tale regolamento, tra l’altro, da un punto di vista giuridico, assegna agli operatori del settore la responsabilità primaria della sicurezza dei prodotti immessi sul mercato.

È in questo senso che il progetto Belfrit si può definire uno strumento di orientamento?

Direi che rappresenta uno strumento utile per orientare i gestori del rischio e gli operatori nelle decisioni da prendere. Se per la commercializzazione di un prodotto, la sicurezza d’uso rappresenta il pre-requisito essenziale e prioritario, allora la gestione della qualità, non può prescindere dal portare avanti un’analisi dei rischi meticolosamente approfondita e globale fino ad adottare misure adeguate, rispettando anche, all’occorrenza, le norme specifiche in vigore. La questione a mio parere, dovrebbe essere posta in questi termini: le piante possono essere utilizzate sia come alimenti sia come farmaci. Ma occorre un severo lavoro scientifico nella valutazione della loro sicurezza, e coerenza con il tipo di uso e proprietà dei prodotti finali ai quali esse vengono finalizzate. La tradizione d’uso dovrebbe essere uno degli argomenti per verificare.

Così il progetto Belfrit, abbinato anche ad altri strumenti, può rispondere ai dubbi e alle perplessità sollevati dall’impiego di prodotti a base di botanical, ma non è ancora la soluzione a tutto?

Certamente per garantire totale trasparenza e sicurezza, c’è ancora molto lavoro da fare. Ciò che è stato fatto finora nell’ambito del progetto Belfrit può rappresentare un punto di partenza da cui proseguire avvalendosi di dati scientifici e monografie disponibili.

Quali tasselli mancano ancora in questa fase d’avvio del progetto?

Per completare questa prima fase si dovranno aggiungere alcune specifiche restrizioni d’impiego, sotto forma di tenori massimi in metaboliti secondari o di avvertenze per fasce di popolazione a rischio. Comunque, un’armonizzazione dei dati essenziali per il controllo della qualità e della sicurezza dei prodotti a base di piante dovrebbe ugualmente essere proposta.

E guardando al futuro quale obiettivo s’intende raggiungere continuando a lavorare di questo passo?

Le strade da esplorare a più lungo termine riguardano ulteriori ricerche su piante non incluse nella lista comune, su nuove preparazioni che si discostano da quelle tradizionali, sugli oli essenziali, sulle miscele o su certi composti poco conosciuti.

In ogni caso, l’armonizzazione delle piante ammesse o vietate rappresenterebbe senza dubbio un importante passo in avanti per l’Unione europea, perché permetterebbe una migliore gestione dei rischi a beneficio dei consumatori e la creazione di un contesto giuridico più sicuro e definito.

In questo senso ci auguriamo anche che si possa recuperare l’uso tradizionale come prova di efficacia per la valutazione dei claims sulla salute degli integratori alimentari a base di botanicals e che quindi l’armonizzazione a tre del progetto Belfrit possa diventare un’armonizzazione europea per tutti gli aspetti legati alla qualità e alla sicurezza di questi prodotti.

Elisabetta Calabrese