Presentato a Roma lo scorso 20 novembre presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati, il Libro Bianco di Fondazione Onda ETS, realizzato con il sostegno incondizionato di Farmindustria, dal titolo “Medicina e Farmacologia di genere. Evoluzione, traguardi, sfide”, ha delineato i grandi progressi normativi compiuti, mettendo al contempo in luce le criticità che oggi rallentano la trasformazione strutturale del sistema.
«Siamo grati a Farmindustria per il costante affiancamento nella pubblicazione annuale del Libro Bianco e siamo oggi ancora più soddisfatti della tematica trattata. Per la Medicina di Genere sono stati fatti grandi progressi negli ultimi anni con una legge dedicata e i relativi piani attuativi, con la fervida attività del Centro all’interno dell’ISS e con le tante iniziative delle Società Scientifiche. Permangono tuttavia delle criticità: la regionalizzazione della sanità rende l’applicazione della Medicina di Genere disomogenea, le donne non sono ancora sempre rappresentate nei trials, i medici non sono sempre formati adeguatamente e non esistono dati disaggregati per sesso e genere» ha sottolineato Francesca Merzagora, Presidente di Fondazione Onda ETS, nel rimarcare la necessità di promuovere un approccio di genere nella ricerca, nella clinica e nella formazione.
La legge c’è, ma manca omogeneità
Nella sua prima parte, il volume ripercorre il positivo percorso evolutivo italiano: dalla fondazione del Centro Studi Nazionale (2009) alla Legge sulla Medicina di Genere del 2018 e l’istituzione di organi di riferimento presso l’Istituto Superiore di Sanità – ISS.
Tuttavia, l’implementazione pratica sul territorio nazionale risulta lenta e faticosa. La regionalizzazione della sanità crea una disomogeneità nella sua applicazione, limitando la concretezza del cambiamento.
Per superare queste disuguaglianze vengono individuati alcuni capisaldi da applicare a livello normativo e finanziario:
- rendere innanzitutto obbligatoria la disaggregazione dei dati per sesso (e genere);
- rendere obbligatorio l’aggiornamento dei PDTA per ridurre i bias e garantire una formazione adeguata agli operatori;
- condizionare parte dei finanziamenti pubblici alla qualità della proposta in termini di integrazione di sesso/genere nella ricerca.
Farmacologia di genere: i rischi dei gender bias
La seconda parte del Libro Bianco ha puntato invece i riflettori sulla Farmacologia di Genere, analizzando i gender bias persistenti nella ricerca e le loro gravi conseguenze cliniche.
I dati AIFA relativi al 2024 mostrano una chiara differenza nei consumi di farmaci: la prevalenza d’uso dei medicinali è stata del 72,1% nelle donne contro il 63,6% negli uomini. Questa discrepanza si accentua nella fascia 15-54 anni, dove le donne risultano nettamente maggiori consumatrici.
Nonostante questo, il volume Onda denuncia che ancora oggi, gran parte degli studi sperimentali viene condotta prevalentemente su soggetti di sesso maschile. Un bias quest’ultimo che può portare a risultati fuorvianti, causando errori nei dosaggi, aumentando il rischio di eventi avversi nelle donne e compromettendo l’accuratezza dei dati di sicurezza ed efficacia.
Reazioni avverse e farmacovigilanza
Il rischio per le pazienti è quantificabile: numerosi studi evidenziano che le donne manifestano reazioni avverse con una frequenza di 1,5-1,7 volte superiore rispetto agli uomini. Le reazioni avverse, oltre a causare più frequentemente ospedalizzazioni nelle donne, portano a un’interruzione precoce delle terapie, riducendone i benefici.
L’analisi critica verte anche sulla farmacovigilanza: i sistemi di segnalazione a livello internazionale non sono standardizzati e spesso non raccolgono informazioni su sesso e genere, rendendo difficile una valutazione accurata delle differenze.
Il ruolo chiave dell’industria farmaceutica
L’industria farmaceutica ha ribadito il proprio sostegno al nuovo paradigma. Il Presidente di Farmindustria, Marcello Cattani, ha sottolineato l’impegno del settore: «Oggi in Italia gli studi clinici sono aperti 9 volte su 10 sia a uomini che donne, perché parlare di medicina di genere significa parlare di equità, di ricerca e di innovazione».
Un impegno quest’ultimo necessario in ogni ambito: dalla progettazione degli studi, alla raccolta dei dati, dalla formazione degli operatori ai percorsi di cura attraverso un impegno multistakeholder.
In conclusione, dopo numerosi traguardi raggiunti, la sfida ora è dare piena attuazione a quanto già costruito, assicurando omogeneità tra le Regioni e una forte integrazione tra ricerca, sperimentazione e pratica clinica per una sanità più giusta, efficace e centrata sulla persona.


