Lo scorso 28 luglio è ricorsa la Giornata Mondiale delle Epatiti. Sebbene siano condizioni prevenibili, trattabili e, nel caso dell’epatite C, curabili, le epatiti virali sono ampiamente sottostimate e causano danni al fegato, aumentando così il rischio di sviluppare scompenso epatico, cirrosi e in alcuni casi portano al cancro.
Si stima che ogni anno le epatiti virali causino circa 1,3 milioni di morti nel mondo.
Per quanto riguarda l’Epatite C, in Italia, è attivo un programma nazionale di screening gratuito, previsto per i nati tra il 1969 e il 1989, i detenuti e i cittadini con dipendenze.
Al 30 giugno 2024 le campagne hanno rilevato circa 15 mila infezioni attive. Tuttavia, solo il 12% della popolazione generale target ha effettuato il test dell’epatite C. Ampie fasce di popolazione, soprattutto quelle più fragili o che hanno difficoltà a essere raggiunte dal servizio sanitario nazionale, o quelle dove si stima una più alta prevalenza di infezione, sono escluse dalla possibilità di diagnosi e cura.
«Un focus particolare va fatto sullo screening per l’epatite C, capace di individuare questa infezione asintomatica che dovrebbe essere curata precocemente così riducendo le possibilità di trasmissione del virus e la progressione della malattia – ha spiegato Antonio Gasbarrini, direttore Scientifico della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – Uno screening allargato della popolazione generale sull’epatite C porterebbe a una riduzione in 10 anni di circa 5.600 decessi, 3.500 epatocarcinomi e/o oltre 3.000 scompensi epatici, rispetto a uno screening meno efficiente o semplicemente a una diagnosi tardiva».
Nell’ottica di allargare lo screening è nato il progetto “Test in the city”, iniziativa di screening e linkage to care promossa da Gilead Sciences in collaborazione con la Rete Fast Track Cities italiane e Relab, che coinvolge 14 città ed è rivolta alle popolazioni migranti e a persone che utilizzano sostanze.
«L’idea nasce dalla necessità di avvicinare queste persone nei luoghi che frequentano così da rendere più agevole l’esecuzione dei test rapidi per epatite C e B, e quindi anche delta, e HIV – ha spiegato Paolo Meli, pedagogista, presidente della Società Cooperativa Sociale Don Giuseppe Monticelli di Bergamo e coordinatore nazionale di “Test in the City”- Ognuna delle città aderenti al progetto offre test gratuiti nei più svariati contesti: ambasciate e consolati, eventi sportivi, luoghi di culto, nei Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti, nei Centri di accoglienza straordinaria».
Grazie al progetto sono stati eseguiti finora circa 4.000 test per HIV, HCV ed HBV. Il 2,48% circa delle persone testate è risultato positivo a una o più infezioni. Nei casi di positività, i pazienti sono stati indirizzati verso un centro di cura per effettuare un esame più specifico e, una volta confermato l’esito, in quasi tutti i casi è stato attivato un percorso di presa in carico.
Grazie al finanziamento della campagna di screening, l’Italia è stata uno dei primi Paesi a pianificare una strategia per raggiungere l’obiettivo di eradicare l’infezione entro il 2030 secondo quanto indicato dall’OMS.
Come dichiarato da Stefano Fagiuoli, direttore dell’Unità complessa di Gastroenterologia, epatologia e trapiantologia dell’ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo il raggiungimento dell’obiettivo è ancora lontano, ma «è importante favorire i test opportunistici negli ospedali, proponendo il test ai pazienti ricoverati anche in reparti diversi dalla gastroenterologia o dall’infettivologia o ancora coinvolgere i medici di medicina generale per capire quanti dei loro assistiti hanno aderito allo screening e proporlo a quelli che non hanno ancora aderito o non hanno mai effettuato il test».


