La cannabis terapeutica è una opportunità che non può e non deve essere negata ai pazienti aventi diritto, portatori di specifiche patologie in cui la sostanza ha dimostrato comprovata efficacia.

È il messaggio corale, emerso dalle due giornate del 1st CBD & Medical Cannabis Forum, tenutosi a Firenze il 12 e 13 settembre. I massimi esperti della materia, clinici, farmacologi, farmacisti, farmacisti galenici preparatori, avvocati, associazioni pazienti, istituzioni, si sono radunati, in un “Summit” per condividere esperienze, scambiare know-how, portare conoscenza scientifica, mettere sul tavolo proposte finalizzate a fare “cultura” sul CBD (cannabidiolo), in tutte le sue declinazioni, formulazioni, applicazioni, integrazioni, quale cruciale opportunità per la gestione del dolore, attorno a cui vertono ancora luci e ombre.

Il “core” del convegno

Una due giornate ricche di contenuti: studi di letteratura, casi clinici, dati di real word e pratica clinica, “Linee Guida”, ovvero expertise e consigli per un corretto utilizzo della cannabis terapeutica. Sebbene aumentino le attestazioni sulla “qualità” della cannabis, quindi su sicurezza e efficacia di questa sostanza impiegata nella gestione del dolore, ancora, in alcuni contesti vigono, diffidenza, disinformazione, difficoltà di accesso alla cura.

«La cannabis terapeutica ha raggiunto livelli di sicurezza scientifica – dichiara Marco Bertolotto, specialista in Anestesia e Terapia del dolore – tali da richiedere una revisione della Legge Lorenzin, del 2005, da allora mai aggiornata nonostante le premesse di un adeguamento ogni due anni».

Bertolotto ha poi continuato parlando dello stati attuale come di uno «stallo che non risponde alle evidenze scientifiche di questi ultimi anni e alle evoluzioni che hanno coinvolto e che ha subito il mondo attorno alla cannabis terapeutica e di tutti i suoi attori: dalle aziende produttrici alla logistica, per comprendere l’intera filiera. Il forte messaggio che desideriamo emerga da queste due giornate di lavori è che senza una modifica, chiara e definita alla “vecchia” norma, forse la prima al mondo a introdurre la cannabis terapeutica all’interno della medicina tradizionale, questa opportunità non potrà essere applicata e sfruttata a pieno titolo per il benessere dei pazienti. Pertanto, è nostra intenzione portare una proposta al Governo, una sorta di summa degli atti di quanto emerso dal confronto fra tutti gli specialisti partecipanti, comprensivo di evidenze scientifiche, outcome clinici, nuove prospettive della ricerca, per far leva sui decisori politici promuovendo un “cambio di passo” di decreto ormai obsoleto».

I farmacisti, figure chiave

Cruciale nel favorire la possibilità di impiego della cannabis, il farmacista preparatore in tutte le fasi del preparato galenico, dall’allestimento al monitoraggio. «Serve una sinergia di squadra, una partita che si gioca fra più attori – il clinico, il paziente, il farmacista e la logistica – prosegue il dottor Bertolotto – inclusi gli aspetti di produzione della cannabis, di tracciamento, di strategie per farla arrivare alle farmacie e dai presidi ai pazienti. Sarà fondamentale promuovere la strutturazione di un ecosistema che, oltre a sostenere l’importanza del dato scientifico, metta a punto soluzioni e sinergie per la sostenibilità dell’intero processo. Solo così si potrà confidare in una adegua e appropriata prescrizione e utilizzo della cannabis».


(In)formazione a tutti i livelli

Scarsa, scorretta, senza basi scientifiche: è la comunicazione sul tema. «Il tema della cannabis – precisa Paolo Scarsella, terapista del dolore e Presidente della Onlus Vincere il dolore – è molto delicato, su cui ancora aleggia una generale disinformazione, anche in contesto internazionale: dalle notizie secondo cui negli Stati Uniti la cannabis viene prescritta con maggiore facilità, all’abolizione nello Stato dell’Oregon delle tassazioni per il cittadino a fronte di una iperproduzione dei cannabis (sebbene questo aspetto non possa costituire un criterio prescrittivo della cannabis terapeutica), alle difficoltà e criticità italiane. Non sono insoliti casi in cui arrivano all’osservazione del clinico, in Ospedale, pazienti che dopo aver provato la cannabis per vie traverse e avendo avvertito benefici su dolore e sonno, richiedono al medico una prescrizione su un assioma di fantasia».

Female scientist wearing disposal cap carrying laptop and inspecting at gratifying cannabis plants in curative indoor cannabis farm. Concept of cannabis product for medical purpose in grow facilities.

Secondo Scarsella, la cannabis va prescritta con «appropriatezza e adeguatezza; fondamentale è dunque fare (in)formazione scientificamente corretta finalizzata alla comprensione e sensibilizzazione del giusto utilizzo di questa sostanza, impiegata fin dall’antichità come terapia, divenuta negli Anni 60-70, uno “strumento” ad uso ricreativo. Gli sforzi devono essere orientati alla riappropriazione del valore terapeutico della cannabis».

L’esperto fa poi presente che sono in corso nuovi studi riguardanti l’utilizzo di altre sostanze allucinogene che potrebbero esser impiegate nel trattamento del dolore. «Non deve esistere alcuna preclusione – conclude Scarsella – purché tali sostanze vengano studiate o in maniera rigorosa e non naïf come a volte è successo e ancora succede. Esistono linee guida internazionali, facciamone buon uso e promuoviamo incontri e iniziative che contribuiscano a fare chiarezza e (in)formazione».

Le richieste

Sono molti gli unmet need da risolvere, fra i prioritari: rendere equità di accesso alla cannabis a livello nazionale a tutti i pazienti che hanno indicazione alla prescrivibilità, favorire la rimborsabilità del prodotto sull’intero territorio nazionale, ad oggi possibile solo in alcune regioni, tra cui la Toscana che è stata la capofila, seguita da Lazio e poche altre, evitando che i costi della terapia ricadano sul paziente, riprendere mano, oltre che alla norma del 2012, all’ultimo decreto sulle patenti, che penalizza gli utilizzatori di cannabis a scopo terapeutico, fino a lederne le dignità personale e, non ultimo, promuovere la ricerca scientifica.