Cannabis terapeutica: perché continua a mancare?

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Il problema della carenza di  cannabis terapeutica persiste. Allo squilibrio tra domanda e offerta si potrebbe rimediare introducendo un adeguato sistema di gestione elettronica del fabbisogno e  avviando una produzione nazionale consistente

Fino ad oggi il Ministero della Salute ha garantito una distribuzione di cannabis inferiore ai 1.000 kg annui a fronte di una domanda che con tutta probabilità è superiore. Secondo i dati del ministero, nel 2017 il totale distribuito è stato complessivamente di 351 kg e nel 2018 di 578 kg. Questi quantitativi comprendono sia la parte prodotta dallo stabilimento farmaceutico miliare di Firenze (unico ente autorizzato a produrre cannabis terapeutica a livello nazionale), sia quella importata da Canada e Olanda. Un’offerta che appare insufficiente, considerando che già nell’ottobre 2017 il ministero dell’Economia e delle Finanze stimava che “il fabbisogno dell’Italia arriverà a breve a 2.000 kg, visto che le Regioni si stanno muovendo a favore dell’aumento delle prescrizioni”.

Perchè la cannabis continua a mancare?

La cannabis terapeutica continua a mancare “perché il metodo di gestione non funziona”, spiega Annunziata Lombardi, farmacista esperta di galenica e cannabis terapeutica. “All’inizio dell’anno il Ministero stima una quantità potenziale di consumi e quando si rende conto che questi superano le stime, corre ai ripari con un bando di urgenza. Il quale, però ha tempi burocratici eccessivi per un intervento di emergenza: trasporto, permessi di importazione, verifiche ecc. richiedono mesi”.

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Stime errate sul fabbisogno

Il fabbisogno nazionale viene erroneamente stimato anche perché gli strumenti per calcolarlo sono del tutto inadeguati. La quantità comunicata all’International Narcotics Control Board  per l’anno 2019 (i governi hanno l’obbligo di fornire ogni anno la previsione del fabbisogno di sostanze stupefacenti necessarie per l’anno successivo, NdR) è di 1.650 kg ma questo dato, che include anche la quota dei medicinali con AiC   è da considerarsi poco attendibile: “Deriva dalle comunicazioni delle singole Regioni che, però, non disponendo di un sistema elettronico per gestire queste movimentazioni, basano la stima del fabbisogno su dati incompleti e difficilmente verificabili; non si conosce il numero dei pazienti trattati, la quantità media di consumo, il consumo in termini delle singole varietà di cannabis; non c’è un monitoraggio selettivo né la possibilità di verificare l’incidenza economica delle prescrizioni magistrali”.

Aumentare le importazioni o la produzione nazionale

Per affrontare la soluzione vi sono principalmente due strade: aumentare le importazioni o accrescere la capacità produttiva nazionale. Al momento solo lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare è autorizzato a produrre cannabis terapeutica, ma riesce a fornirne solo 200 kg/anno (sebbene sia appena stato annunciato un aumento della capacità produttiva che porterà lo stabilimento a produrre 300 kg/anno dal 2020). Un’alternativa, dunque, è autorizzare la produzione da parte di altre realtà. “Avere una produzione nazionale sarebbe l’ideale, ma certamente al momento mancano strutture necessarie a soddisfare il fabbisogno nazionale. L’importazione quindi rappresenta la sola soluzione dato che i consumi superano la produzione interna”. Il ministero ha più volte aperto, almeno teoricamente, alla possibilità di indire un bando di produzione analogo a quello in corso in Olanda o a quello già conclusosi in Germania.  “Le capacità in Italia per introdurre un processo analogo ci sono tutte: la cannabis è sempre stata considerata un medicinale per cui la qualità della filiera di produzione è ai massimi livelli mondiali, per cui la base di partenza è molto solida”, conclude Lombardi.

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Perché la cannabis continua a mancare
sul numero di giugno di Farmacia News