Un farmaco contro il diabete potrebbe prevenire l’infarto

Un nuovo approccio alla prevenzione degli episodi ripetuti d’infarto e ischemia cardiaca in pazienti ad alto rischio, già soggetti a un evento acuto, potrebbe arrivare dall’uso del pioglitazone in pazienti insulino-resistenti non affetti da diabete. La resistenza all’insulina, infatti, è una condizione presente in più del 50% dei pazienti soggetti a infarto ischemico e non diabetici.

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Il pioglitazone è approvato e già ampiamente utilizzato per il trattamento del diabete di tipo 2; il suo uso off-label per la prevenzione dell’infarto è stato testato nello studio randomizzato IRIS (Insulin Resistance Intervention after Stroke), i cui risultati sono stati pubblicati su New England Journal of Medicine. Lo studio ha coinvolto più di 3 mila pazienti in sette paesi, sottoposti a terapia con pioglitazone o placebo in aggiunta alla normale terapia per un periodo fino a cinque anni dopo l’episodio cardiaco.

L’occorrenza di un secondo episodio d’infarto o ischemia ha riguardato il 9% dei pazienti nel gruppo trattato con pioglitazone rispetto all’11,8% del gruppo placebo, con una variazione relativa del rischio pari al 24%. Lo studio ha evidenziato anche il maggior rischio di fratture ossee nei pazienti trattati con pioglitazone, a conferma del già noto effetto collaterale del farmaco.

Lo studio IRIS sembra supportare il fatto che la resistenza all’insulina sia collegata a un maggior rischio d’infarto, una condizione tipica anche di molti pazienti diabetici. “Questo studio rappresenta un nuovo approccio alla prevenzione degli episodi vascolari ricorrenti attraverso l’inversione di una specifica anomalia metabolica che si pensa sia responsabile dell’aumento del rischio di futuri episodi cardiaci o d’infarto”, ha dichiarato Walter J. Koroshetz, direttore del National Institutes of Health’s National Institute of Neurological Disorders and Stroke (NINDS) che ha finanziato lo studio.

I ricercatori hanno in previsione nuovi studi che permettano di approfondire i meccanismi molecolari dell’azione preventiva e della comparsa degli effetti collaterali, per giungere a identificare le persone a maggior rischio di frattura ossea da pioglitazone e ottimizzare, quindi, la scelta della terapia per ciascun paziente. L’uso del farmaco nello studio IRIS è al di fuori delle indicazioni autorizzate dalla Food and Drug Administration, l’ente regolatorio americano.

Nel commentare i risultati ottenuti, Walter N. Kernan, professore di medicina generale alla Yale University School of Medicine e primo autore della pubblicazione, ha sottolineato anche come i risultati ottenuti nello studio IRIS supportino il valore di un’ulteriore ricerca per verificare i benefici vascolari di altri tipi d’intervento, come l’esercizio fisico, la dieta e l’uso di farmaci con effetti simili al pioglitazone sul metabolismo.

New England Journal of Medicine, 2016; 160217112012002 DOI: 10.1056/NEJMoa1506930