Dal 2015, in Italia sono stati trattati circa 260mila pazienti con Epatite C che hanno eliminato del tutto il virus, riducendo in modo significativo il peso ‘sociale’ e ‘sanitario’ della malattia.

Tutto questo ha portato a centrare l’obiettivo fissato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità – OMS, di ridurre del 65% la mortalità correlata all’epatite C, ponendo l’Italia al primo posto in Europa per numero di pazienti trattati.

L’obiettivo di eliminare l’HCV entro il 2030 rappresenta dunque un traguardo raggiungibile, anche se il tasso di screening ancora basso rischia di comprometterlo.

E’ quanto emerso dalla conferenza “Un patto di collaborazione: dall’eliminazione regionale dell’epatite C alle nuove sfide per la salute del fegato” organizzata dall’Istituto Superiore di Sanità – ISS, con il patrocinio del Ministero della Salute e la collaborazione dell’Associazione Italiana per gli Studi sul Fegato – AISF, e della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali – SIMIT.

Screening e differenze regionali

Il convegno ha consentito di ottenere una fotografia della situazione italiana regione per regione: nella maggioranza delle Regioni e P.A. risulta siano stati avviati screening nelle popolazioni chiave e, sovente anche nella popolazione generale.

Nonostante i progressi compiuti, la situazione evidenzia però una forte eterogeneità quanto alle modalità di invito, aderenza e modelli organizzativi tra le diverse regioni italiane. 

Più in generale, in media appena il 30% della popolazione è stata invitata attivamente allo screening dell’epatite C e solo il 21% degli invitati ha effettuato lo screening, rappresentando mediamente il 6,6% di tutta la popolazione da testare. 

Per quanto concerne le popolazioni target, l’invito e l’adesione allo screening hanno raggiunto percentuali più elevate: il 50% e 60% rispettivamente nella popolazione carceraria e il 69% e l’86% tra gli utenti dei Servizi per le Dipendenze – SerD. 

Estendere lo screening

Quella italiana è una situazione quasi unica in Europa rispetto alle popolazioni target, tuttavia «le grandi potenzialità di questa iniziativa si concretizzeranno al massimo solo raggiungendo la maggior parte della popolazione target, estendendo inoltre lo screening alle fasce di età più anziane e garantendo ai soggetti con infezione da HCV identificati l’intera cascata di cura», ha ribadito Homie Razavi – Direttore del Center for Disease Analysis degli Stati Uniti.

Inefficacia delle campagne di comunicazione

I rappresentati di quasi tutte le regioni hanno evidenziato l’inefficacia delle campagne di comunicazione, chiedendo a gran voce una campagna di comunicazione e sensibilizzazione centralizzata che possa stimolare ad aderire allo screening una platea di soggetti molto più ampia.

«Al 30 giugno 2023 lo screening nazionale gratuito avviato in Italia, seppure con una estensione ancora limitata, ha consentito di testare quasi 1 milione di persone e di identificare oltre 10.000 casi di infezione attiva ovvero persone che possono accedere alle terapie ed eliminare il virus prima che si manifestino le gravi conseguenze dell’infezione – ha evidenziato Sabrina Valle dell’Ufficio 5 – Prevenzione delle Malattie Trasmissibili e Profilassi Internazionale del Ministero della Salute – Questi dati, nonostante più bassi rispetto alle stime dimostrano ancora un cospicuo sommerso dell’infezione da epatite C nel nostro paese».

«La diagnosi e il trattamento per eliminare totalmente l’infezione attiva da HCV devono essere considerati come un traguardo raggiungibile e in cui credere. Questa rappresenta la nostra vera sfida del prossimo futuro», ha sottolineato il Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Rocco Bellantone.

Cruciale puntare anche ad un più efficace coordinamento tra Stato e Regioni che miri ad estendere lo screening e migliorare i risultati di salute pubblica.

La piattaforma PITER ha compiuto 10 anni

La Piattaforma Italiana per lo studio delle Terapie delle Epatiti viRali – Piter, nata come collaborazione tra Iss, Aisf e Simit ha compiuto 10 anni di attività.

Si tratta di una piattaforma cui hanno aderito oltre 100 centri a livello nazionale dedicati alle malattie del fegato e alle malattie infettive; proprio grazie al contributo dei centri coinvolti è stato possibile creare due coorti di pazienti, quella dell’epatite C e, più di recente, quella della B/Delta.

L’arruolamento è stato di 12mila soggetti nella coorte dell’epatite C e oltre 5.500 nella coorte B/delta. Questo ha consentito di seguire i pazienti nel tempo, valutando esiti clinici, qualità della vita e impatto economico delle infezioni virali e della malattia del fegato per il SSN.

In 10 anni la rete Piter ha consentito di portare alla luce importanti risultati che hanno contribuito a scelte politiche e sanitarie importanti per il trattamento dell’epatite C, lo screening e le terapie per l’epatite Delta. 

Attualmente, numerose sono le nuove sfide: diverse società scientifiche hanno stretto collaborazioni con l’Istituto Superiore di Sanità con l’obiettivo di sconfiggere la malattia dismetabolica del fegato, evidenziando le iniquità nella diagnosi e cura, con l’obiettivo di creare evidenze scientifiche utili per orientare le politiche sanitarie nel ridurre l’impatto delle malattie del fegato in Italia.