Il fabbisogno di cannabis medica, legato all’uso nella terapia del dolore, è in costante aumento, in accordo agli usi per i quali è consentita la sua prescrizione. È tuttavia ostacolato dalla carenza della materia prima, una criticità che si ripresenta ciclicamente, con grosse ripercussioni soprattutto sui pazienti

La farmacista Annunziata Lombardi, specializzata in Galenica Tradizionale e Clinica, Clinical Pharmacy, Quality Assurance & Regulatory Affairs, impegnata nella ricerca di evidenze scientifiche dell’efficacia della cannabis medica, affronta ogni giorno il problema della sua carenza. Un problema strettamente legato al costante aumento, in Italia, del suo fabbisogno. «È difficile riuscire a stimare il fabbisogno in Italia della cannabis. Sono numerosi i medici che ne hanno riconosciuto l’utilità e, dopo aver rivalutato il principio attivo dal punto di vista clinico e farmacologico, la prescrivono» spiega.

L’apporto dei farmacisti

Inizialmente, in assenza di linee guida che ne garantissero la sicurezza e l’efficacia, i medici erano scettici. Ora gli operatori sanitari si stanno approcciando in modo sempre graduale, con un trend crescente. Infatti, alla luce dell’efficacia della sostanza e anche della tollerabilità, vi è un utilizzo sempre più ampio come terapia.

Anche la figura professionale del farmacista, che negli ultimi anni ha subito un’evoluzione, assumendo anche competenze sempre più specifiche, ha avuto un ruolo importante in questo cambio di rotta. «Non siamo solo distributori di farmaci, ma nasciamo anche come preparatori di medicinali – prosegue la farmacista – L’attività galenica resta ancora oggi l’attività unica, essenziale e peculiare della nostra categoria e l’allestimento dei medicinali in conformità alle Norme di Buona Preparazione (NBP) garantisce la qualità, supporto imprescindibile alla sicurezza dei preparati allestiti. Rispetto al tema dei cannabinoidi, quindi, la farmacia è autorizzata a fornire, dietro prescrizione dello specialista o del medico di famiglia, il medicinale galenico magistrale a base di cannabis».

Il decreto ministeriale

In accordo al Decreto Ministeriale e alle successive pubblicazioni della National academies of sciences, engineering and medicine review (Nasem) del 2017, della European pain federation (Efic) del 2018 e della British National institute for health and clinical excellence guideline (Nice) del 2019, «gli utilizzi delle preparazioni a base di cannabis – chiarisce la dottoressa – riguardano l’analgesia in patologie che implicano spasticità associata a dolore, l’analgesia nel dolore cronico, l’effetto anticinetosico e antiemetico nella nausea e vomito causati da chemioterapia, radioterapia, terapie per Hiv. Inoltre, i cannabinoidi hanno effetto stimolante dell’appetito nei casi di cachessia, anoressia, perdita dell’appetito in pazienti oncologici o affetti da Aids e nell’anoressia nervosa. La cannabis è prescritta anche per l’effetto ipotensivo nel glaucoma resistente alle terapie convenzionali, nonché per la riduzione dei movimenti involontari del corpo e facciali nella sindrome di Gilles de la Tourette».

Il ruolo del medico

In tutti questi casi, il medico è autorizzato a prescrivere cannabis solo se il paziente non ha adeguatamente risposto ai trattamenti tradizionali e il trattamento con altri farmaci si sia rivelato inefficace. Il medico può altresì prescrivere le suddette preparazioni per altri impieghi ai sensi dell’art. 5 della Legge n. 94 dell’08/04/1998. «Tuttavia – prosegue Lombardi – trattandosi di prescrizione off label, l’accesso alla terapia resta condizionato alla sottoscrizione di un “patto di cura” tra medico e paziente, ovvero di un “consenso libero e informato” da parte della persona interessata al trattamento.

Difficoltà di approvvigionamento

Le richieste dei pazienti, in aumento esponenziale, si scontrano con il problema della carenza della materia prima. «In Italia sono tre le fonti di approvvigionamento di cannabis. Oltre al Ministero della Salute olandese, dal quale importiamo circa 900 kg di cannabis ogni anno, allo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, che ne produce due varianti, la FM1 e la FM2, entrambe utilizzate per scopi medici e disponibili in Italia, dal 2018 il Ministero della Salute ha istituito dei bandi di importazione. Dopo aver individuato la qualità e le caratteristiche necessarie, nel rispetto di un capitolato tecnico, le aziende vincitrici si aggiudicano l’importazione. Tra il 2018 e il 2020, per esempio, l’azienda canadese Aurora ne ha importati circa 500 kg».

È evidente che, in Italia, ci siano difficoltà del calcolo del fabbisogno, sottostimato rispetto alla richiesta. A fronte di un fabbisogno di circa 3 tonnellate annue di cannabis, solo 500 Kg vengono assegnati all’Istituto Farmaceutico Militare, mentre l’altra quantità arriva da importazioni. Da qui, la carenza di prodotto.

La discontinuità terapeutica

La mancata continuità di approvvigionamento provoca carenza di prodotto e in alcuni casi interruzione della terapia. «Purtroppo le numerose varietà di cannabis non sono intercambiabili e questo rappresenta un grosso limite per noi farmacisti, ma anche per il paziente – spiega la dottoressa Annunziata Lombardi – Può capitare che il medico che ha prescritto a un paziente una terapia a base di una varietà di cannabis, per esempio l’FM2, sia costretto, per indisponibilità del primo, a cambiare il prodotto e consigliare un’altra varietà».

Si tratta di una soluzione di compromesso, perché la terapia deve essere personalizzata e i vari fitocomplessi non sono sovrapponibili. «In Campania, per esempio, i medici, oltre ad avere l’elenco delle farmacie che hanno dato disponibilità ad allestire preparati a base di cannabis, sono aggiornati anche sulla disponibilità delle sostanze. Quindi la disponibilità influenza la prescrizione, meccanismo decisamente non corretto, in funzione anche del fatto che di questo cambio il paziente possa risentirne o non avere alcun effetto».

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