Antonello Mirone, presidente di Federfarma Servizi e membro del comitato scientifico di Tema Farmacia

Il preoccupante incremento di specialità medicinali irreperibili che si è registrato nel canale distributivo a cavallo della fine dello scorso anno e l’inizio del 2023 ha raggiunto numeri, sia in termini di referenze sia in giorni di mancata consegna, che vanno ben oltre i livelli fisiologici di carenze che saltuariamente accompagnano per brevi periodi i prodotti farmaceutici.

In realtà, alla base del fenomeno c’è sicuramente una molteplicità di fattori che hanno contribuito a generare quella che alcuni, molto opportunamente, hanno definito la “tempesta perfetta”. È evidente che una serie di concause si sono manifestate tutte contemporaneamente e hanno fatto esplodere in maniera esponenziale l’impossibilità a immettere nel circuito distributivo quantità adeguate di farmaci per soddisfare il bisogno della collettività, bisogno peraltro anch’esso cresciuto rapidamente in ragione del maggior consumo di alcuni prodotti particolarmente legati alle patologie stagionali come l’influenza invernale e a quelle che ormai sono diventate esigenze endemiche, come le specialità solitamente utilizzate nel fronteggiare i sintomi del Covid-19.

Quando, però, il numero dei prodotti mancanti finisce per occupare “pagine e pagine “virtuali dei gestionali delle farmacie ad ogni trasmissione di ordine e, al tempo stesso, “cartelle e cartelle” dei sistemi informatici dei distributori nei rapporti con l’industria, ecco che il fenomeno assume dimensioni tali da necessitare approfondimenti accurati e interventi anche delle autorità competenti, come ha opportunamente fatto il Ministero della Salute, che ha riunito attorno a un tavolo di lavoro tutti i soggetti della filiera coinvolti nella questione.

Alcune motivazioni delle carenze sono oggettivamente dovute a cause imprevedibili, come quelle legate in particolare al materiale di confezionamento dei farmaci (alluminio per i blister, vetro per i flaconi ecc.) che proveniva in larga parte da aziende di Paesi coinvolti nel conflitto russo-ucraino e che hanno avuto difficoltà nel mantenere inalterati i quantitativi da destinare al mercato europeo.

La dipendenza, poi, nell’approvvigionamento di principi attivi di molte aziende produttrici (ricordiamo a tal proposito che l’Italia è tra i principali produttori di farmaco in Europa) da Paesi come Cina e India ha confermato che, quando, in questo settore, prevalgono logiche esclusivamente commerciali, si corrono rischi maggiori dell’effettivo beneficio ottenuto. Infatti, nel corso degli anni si è voluta perseguire la strada del decentramento di molti siti produttivi, precedentemente in Italia, destinati al reperimento delle materie prime, che di sicuro ha favorito i profitti nell’immediato, ma ha compromesso di fatto quell’autonomia produttiva che è sinonimo di capacità di reazione in caso di crisi come quella che si è presentata nel nostro settore.

Sappiamo tutti che anche per l’industria non è facile operare in un mercato estremamente compresso tra costi e ricavi e con un committente principale, lo Stato, e le sue espressioni territoriali, le Regioni, che, costantemente alle prese con il contenimento dei costi, ha finito per fare come quel giardiniere che, con l’intento di curare la propria pianta, a furia di potarla, ne ha esaurito la sua linfa vitale. Non è un caso che, alle prese con lo stesso fenomeno, in altri Paesi europei, come la Germania, il primo provvedimento intrapreso dalle autorità governative è stato quello di svincolare dal giogo delle gare pubbliche, con prezzi costantemente al ribasso, quelle specialità che oggettivamente erano irreperibili sul mercato nazionale e non solo.

Ciò che è stato più difficile da comprendere è la logica commerciale che ha portato alcune aziende, non molte fortunatamente, a prediligere ancora una volta alcuni clienti preferenziali piuttosto che rendere disponibili i propri prodotti all’intera rete distributiva, un comportamento davvero poco condivisibile in presenza di un fenomeno, come quello delle carenze, che ha un elevato impatto sociale anche a causa dell’allarmismo che inevitabilmente genera nel cittadino che, con le sue ripetute richieste di prodotto, innesca un circolo vizioso dal quale è difficile venirne fuori.

È in risposta a questi atteggiamenti che la categoria dovrebbe riflettere e mettere in atto contromisure per evitare che in futuro possano ripetersi situazioni come questa, evitando in primis che non si possa assolvere al primo obiettivo del lavoro del farmacista: fornire risposte di salute al cittadino. Mi si obietterà che più di quanto ha fatto la farmacia, rispetto a situazioni così difficili, non poteva fare. Ha proposto alternative terapeutiche finché sono state reperibili, in alcuni casi ha fatto addirittura ricorso alle preparazioni galeniche laddove possibile. Tutto giusto, ma rendiamoci conto che quanto si è verificato ha determinato, oltre al danno imprenditoriale derivante dalle mancate vendite, anche e soprattutto un danno all’immagine del farmacista che non ha potuto fornire le giuste informazioni e, quindi, il giusto servizio ai propri clienti-pazienti. Ancor più grave è che questo sia accaduto proprio quando, come dimostrato nel periodo pandemico, la nostra categoria, con grande sacrificio e impegno straordinario, sta cercando di riaccreditare la figura del farmacista come professionista sanitario, scrollandosi di dosso quell’aura commerciale che poco futuro avrebbe dato alla nostra attività.

Alla luce di quanto accaduto, conclusa ci auguriamo quanto prima, la fase emergenziale, la farmacia potrà e dovrà fare alcune scelte, chiedendo con chi condividere un nuovo percorso che non svilisca il ruolo di nessuno dei protagonisti del settore: di ciascun segmento della filiera, industria, distribuzione intermedia e farmacia, chi è disposto a progettare insieme nuovi scenari. Ecco perché urge, come vado dicendo da tempo, un patto di filiera che garantisca il giusto ruolo a ciascuno degli attori del nostro comparto, con regole chiare e trasparenti per tutti, e che porti, in piena collaborazione tra i vari soggetti, a riaffermare un modello che, seppur attualizzato anche attraverso l’utilizzo di nuove tecnologie, permetta a ognuno di svolgere il proprio compito nell’interesse comune: rispondere ai bisogni di salute della collettività. Lo devono sottoscrivere tutti, perché nessuno può sottrarsi ai propri doveri e poi rivendicare un ruolo nello scenario futuro.

Nessuno può ritenersi esente da colpe in un comparto nevralgico come quello della Sanità in rapido e profondo cambiamento e che tutela il principale patrimonio di una comunità: la salute. Tutti sono chiamati, con senso di responsabilità, a tracciare i contorni di quello che è stato da sempre un punto di riferimento fondamentale per il cittadino bisognoso di cure, la farmacia territoriale, e che potrà ancora esserlo solo a condizione che ognuno faccia al meglio la propria parte mirando al bene comune.