Celiaci non responder

celiachiaPuò succedere: un soggetto neo diagnosticato, nonostante la dieta senza glutine e il trascorrere dei mesi, non vede migliorare la sua sintomatologia legata alla celiachia. In effetti, si tratta di una minoranza di casi affatto trascurabile che può oscillare dal 7 al 30%.

Quando il celiaco anche a distanza di anni non migliora sul piano clinico alla dieta aglutinata si parla di celiachia non responder, una condizione che erroneamente in passato è stata spesso confusa con la celiachia refrattaria, una delle forme più temute perché può facilitare l’insorgenza di linfoma intestinale.

Ma perché non si risponde alla dieta? Nel tempo sono svariate le risposte che si sono trovate. La prima, forse la più ovvia ma non certo trascurabile, imputa la non remissione dei sintomi a una diagnosi sbagliata. Ovvero, il “celiaco” non migliora semplicemente perché non è celiaco. In effetti, in un lavoro dello scorso anno (Pallav K e al, Noncoeliac enteropathy: the differential diagnosis of villous atrophy in contemporary clinical practice, Aliment Pharmacol Ther. 2012 Feb;35(3):380-90) su 30 casi di presunta celiachia che non migliorava ben 21 non erano celiaci! Svariate sono risultate le cause delle enteropatie che sono state confuse per intolleranza al glutine, dal morbo di Crohn alla sindrome da contaminazione batterica dell’intestino tenue (SIBO), dall’immunodeficienza comune variabile alla giardiasi o all’enteropatia autoimmune. Se ne desume, quindi, che il primo passo da compiere quando un neodiagnosticato non risponde alla dieta è un’attenta valutazione della diagnosi iniziale e quindi dei test immunologici e genetici, la biopsia intestinale e così via.

Condizioni associate

Ma se delle patologie intestinali possono essere la causa di una diagnosi non corretta, in altri casi possono essere associate alla celiachia e risultare, perciò, la causa stessa della non remissione dei sintomi. Condizioni frequentemente associate alla celiachia non responder sono l’intolleranza al lattosio, l’insufficienza pancreatica esogena, la SIBO e la sindrome dell’intestino irritabile. Quest’ultima, rispetto alle altre patologie che vengono facilmente diagnosticate tramite esami specifici di laboratorio, come il breath test al lattosio e al lattulosio o gli esami colturali intestinali, può essere di più difficile identificazione. Si pensa che sia presente in più del 20% dei casi di celiachia non responder e si manifesta con dolori addominali, meteorismo, stipsi e diarrea alternate. Tuttavia, una volta trattate queste condizioni, l’efficacia della dieta aglutinata permette la ricrescita dei villi e la ripresa funzionale dell’intestino. Può accadere, però, che l’intolleranza al lattosio – spesso secondaria alla celiachia – non sparisca. In questi casi si parla di intolleranza al lattosio primitiva, riscontrata in circa l’8% dei casi di celiachia non responder. In misura minore è stata riscontrata anche un’intolleranza al fruttosio secondaria alla celiachia che, se non diagnosticata tramite il relativo breath test, può giustificare la persistenza dei sintomi intestinali. È importante però sottolineare che le condizioni associate alla celiachia sono in realtà più numerose di quelle elencate (anche se presenti in misura minore) e possono comprendere altre malattie infiammatorie dell’intestino o dell’apparato digerente, allergie oppure disturbi del comportamento alimentare, in particolare anoressia e bulimia.

Per fortuna, la maggioranza dei casi di celiachia non responder non sono dovuti ad altre patologie, ma a errori nella dieta.

Si arriva alla refrattaria

Solo quando vengono escluse tutte le precedenti cause, delle quali si è vista una breve panoramica, si può sospettare una forma di celiachia refrattaria. Questa è una condizione caratterizzata dalla persistenza sia di danno alla mucosa sia di malassorbimento  con una sierologia debole o appena marcata. Le manifestazioni più frequenti sono calo di peso e steatorrea, anemia e ipoalbuminemia. Si divide in due forme, con un diverso impatto sulla salute. La forma 1 risponde bene a una terapia farmacologica, mentre la 2 peggiora con lo stesso trattamento e, come già accennato all’inizio, può evolvere verso il linfoma. Negli anni scorsi la sua presenza è stata decisamente sovrastimata, fortunatamente però oggi la sua frequenza è stata decisamente ridimensionata.

Restando in Italia, nel centro di riferimento per la celiachia di Bologna diretto dal professore Umberto Volta, su 670 diagnosi eseguite dal 1999 le percentuali di celiachia non responder sono risultate dell’11% (70 pazienti), ma solo 1,3% (9 pazienti) presentavano un’effettiva celiachia refrattaria. Un dato che si va a inserire in una più ampia indagine organizzata dalla Fondazione Celiachia nei diversi centri di riferimento per la celiachia nazionali che ha riscontrato la presenza della refrattaria solo nello 0,75% dei casi (Biagi F e t al, The prevalence of complicated coeliac disease among coeliac patients, Dig Liver Dis 2012; 44(Suppl.2):S155).

Errori nella dieta aglutinata

Secondo dati americani della Mayo Clinic, gli errori nella dieta questi casi si aggirerebbero tra il 30 e il 50%. Ecco qualcuna delle ragioni più frequenti di assunzione involontaria di glutine: non sufficiente conoscenza degli alimenti privi di glutine, consumo frequente di pasti consumati fuori casa, difficoltà nell’individuare il glutine nei prodotti confezionati. La continua ingestione di glutine mantiene, in un certo senso, la condizione del soggetto nello stesso stato rilevato alla diagnosi: alta positività degli anticorpi antitransglutaminasi e antiendomisio e danni alla mucosa rilevati dalla biopsia intestinale.

Barbara Asprea