Contratti di locazione: l’impatto del Covid e la rinegoziazione

La situazione emergenziale di questo periodo sta avendo importanti ricadute sul settore degli affitti dei locali commerciali. Anche le farmacie sono state interessate da questa difficile situazione, vediamo come il problema potrebbe essere risolto

Le misure straordinarie adottate, dal Governo e dalle Regioni, per contenere l’epidemia da Covid-19 hanno avuto e stanno tuttora avendo un enorme impatto sulle attività di impresa. In particolare, la situazione emergenziale in atto ha colpito duramente l’ambito dei contratti di locazione commerciale, dato che la disponibilità dei locali in cui si esercita un’attività commerciale è molto spesso acquisita, appunto, attraverso questi contratti. Il settore farmaceutico è stato anch’esso interessato da questa difficile situazione. Anche se le farmacie non sono state interessate da provvedimenti di sospensione delle attività, trattandosi di un’attività nevralgica direttamente attinente alla tutela della salute, l’evento epidemico ha inciso in modo marcato anche sulla loro redditività.

Questo per effetto, da una parte, della sensibile e generale flessione dei consumi scaturita dall’epidemia, come confermato dagli ultimi dati sul calo delle vendite dei farmaci, dall’altra, dai maggiori costi e dalle limitazioni operative derivanti dall’adozione delle misure di sicurezza che le stesse sono tenute ad adottare.

Di conseguenza, anche per molte farmacie i canoni di locazione dei locali nei quali esercitano la propria attività sono diventati, all’improvviso e in maniera imprevedibile, più onerosi e a volte non sostenibili.

Le risposte del legislatore

Su questo versante, la risposta del legislatore dell’emergenza è stata finora parziale e inadeguata.

Infatti, al di là delle agevolazioni fiscali previste dall’art. 65, D.L. n. 18/2020 (“Decreto cura Italia”), reiterate ed estese dal D.L. n. 34/2020 (“Decreto rilancio”) e dal recente D.L. n. 137/2020 (“Decreto ristori”), non sono state introdotte misure per la rideterminazione del quantum delle obbligazioni incise dall’evento pandemico (se si eccettua la riduzione dei canoni locatizi per i conduttori di impianti sportivi privati, contenuta nel “Decreto rilancio”).

Non appare nemmeno risolutiva la norma di cui all’art. 91, “Decreto cura Italia”, che, introducendo il comma 6-bis nell’art. 3, D.L. 23 febbraio 2020, n. 6, ha previsto che “il rispetto delle misure di contenimento è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”. Questa norma, infatti, oltre a essere di interpretazione molto incerta, data l’infelice formulazione, risulta inapplicabile nei casi in cui si tratti di adempiere a obbligazioni pecuniarie (quali, appunto, il pagamento del canone di locazione), non essendo configurabile, in questo caso, una impossibilità di adempiere (in virtù del principio genus numquam perit).

Codice civile e legge sulle locazioni

D’altra parte, si sono dimostrate scarsamente efficaci a venire incontro alle esigenze dei conduttori di immobili a uso commerciale, in difficoltà per effetto della contingenza epidemica, le norme contenute nel Codice civile e quelle della legge n. 392/1978 sulle locazioni. Queste norme prevedono, infatti, rimedi finalizzati a ottenere lo scioglimento del rapporto. Basti pensare, in particolare, alla risoluzione per impossibilità sopravvenuta ai sensi degli artt. 1256 e 1463, c.c., alla risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, ai sensi dell’art. 1467, c.c., o al recesso anticipato dal contratto per gravi motivi, ai sensi dell’art. 27, legge n. 392/1978.

Se, in alcuni casi, è possibile che i conduttori possano essere interessati allo scioglimento anticipato del rapporto locatizio, nella maggior parte dei casi gli stessi, questo vale in particolare per le farmacie, hanno in genere l’interesse a mantenere in essere il contratto di locazione. Di certo, ne rivedrebbero in modo temporaneo le condizioni, in particolare quelle di pagamento del canone, in attesa che la fase emergenziale cessi e, più in generale, il periodo di crisi economico-finanziaria collegato, al fine di evitare una dolorosa e dannosa dispersione dell’azienda. Quindi, questa situazione di emergenza economica, in cui il virus pandemico ha fatto precipitare in maniera brusca gran parte del mondo imprenditoriale e che ha interessato anche molti farmacisti conduttori di immobili a uso commerciale, richiede soluzioni atte a preservare la continuità aziendale, riequilibrando e rettificando i termini degli originari rapporti contrattuali. Non soluzioni, quali appunto quelle approntate dal Codice civile o dalla legge sulle locazioni, che provocano lo smantellamento o la distruzione del rapporto, favorendo la dispersione aziendale.

La rinegoziazione obbligatoria dei canoni locatizi

In questo quadro, la strada maestra, in realtà l’unica soluzione, per riequilibrare le prestazioni contrattuali intaccate dall’evento epidemico, con particolare riferimento a quelle locatizie, è la rinegoziazione delle condizioni contrattuali. Nessun problema si pone se la revisione dei canoni locatizi è raggiunta attraverso un accordo spontaneo tra proprietario e conduttore. L’esperienza, in particolare di questo periodo, dimostra che questa ipotesi si verifica raramente. Questo perché locatore e conduttore hanno di solito interessi contrapposti e il primo, spesso, si trova in una posizione di maggior forza contrattuale. Dunque, è evidente che il processo di rinegoziazione non può essere interamente rimesso all’autonomia privata. Si è delineata l’esistenza, quindi, di una negoziazione diversa da quella puramente volontaristica, ovvero di tipo obbligatorio. In tal senso, infatti, è stato affermato che nei contratti di durata, quale la locazione, quando insorgono delle sopravvenienze, cioè degli eventi successivi alla stipula del contratto che modifichino in misura significativa l’equilibrio iniziale delle obbligazioni delle parti (come è accaduto per l’epidemia), sorge un dovere di cooperazione delle parti per rinegoziare il contratto, in modo da renderne il contenuto più congruo rispetto agli interessi dei contraenti. Questo dovere di rinegoziazione si fonda sul principio di buona fede di cui all’art. 1375, c.c., che impone ai contraenti di attivarsi per adeguare il regolamento contrattuale, qualora l’originario equilibrio del contratto risulti snaturato da accadimenti successivi, non prevedibili ed estranei alla sfera di controllo delle parti. La soluzione è stata affermata dapprima da alcune pronunce giurisprudenziali, in particolare, da una sentenza del Tribunale di Bologna del maggio 2020, seguita dalla relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione dell’8 luglio 2020. Con un intervento molto approfondito e di ampio respiro, questa relazione ha affermato la vigenza nell’ordinamento italiano del principio generale in base al quale, nei contratti di durata, ogni qualvolta si verifichi una sopravvenienza perturbatrice dell’assetto giuridico-economico su cui si è basata la pattuizione negoziale, la parte danneggiata da questa sopravvenienza ha il diritto di rinegoziare il contenuto delle prestazioni, per salvaguardare il rapporto economico sottostante al contratto, nel rispetto della pianificazione originaria delle parti. Di conseguenza, il locatore, quale contraente avvantaggiato dalla sopravvenienza, ha il dovere, in base al principio di correttezza e buona fede, di avviare con il conduttore trattative finalizzate a rinegoziare i termini economici del rapporto di locazione in modo da riequilibrarlo alla luce della situazione pandemica in atto, operando con atteggiamento costruttivo e non ostruzionistico.

Qualora ciò non avvenga e, quindi, il locatore si rifiutasse di avviare le trattative oppure le conducesse in modo malizioso, senza una seria intenzione di addivenire alla modifica del contratto originario, lo stesso si renderebbe inadempiente nei confronti del conduttore.

Alcune indicazioni

Pur non avendo il provvedimento della Cassazione un’efficacia vincolante, costituisce in ogni caso una linea guida molto importante, sia per gli operatori sia per i giudici, i quali, come avviene sempre più spesso, sono chiamati a pronunciarsi su controversie inerenti ai canoni locatizi divenuti eccessivamente onerosi a causa della pandemia.

Anche le farmacie titolari di contratti di locazione inerenti ai locali in cui viene esercitata l’attività farmaceutica possono trarre utili spunti per vedere tutelato il proprio (legittimo) interesse a ottenere, qualora abbiano subito una netta contrazione di ricavi e/o siano incorse in maggiori rilevanti spese, una congrua, seppure temporanea, riduzione dei canoni di locazione. È molto difficile, per certi versi errato, fornire indicazioni generali ai farmacisti che si trovino in una simile situazione. Ogni soluzione, dal punto di vista giuridico, deve essere valutata in modo adeguato alla luce della concreta situazione di ogni singola farmacia (tenendo in considerazione, per esempio, la situazione reddituale, l’ubicazione dei locali, le eventuali agevolazioni fiscali ottenute etc.). In linea generale, appare sconsigliabile per i conduttori-farmacisti agire in via di “autotutela”, riducendo in modo unilaterale la misura del canone di locazione. Questo comportamento non è né previsto dalle norme di legge né conforme al principio di buona fede. Invece, è possibile suggerire di avviare una seria trattativa con il proprietario, proponendo, magari anche con l’ausilio di un consulente legale di fiducia, una soluzione equilibrata per una congrua riduzione del canone. Di fronte al silenzio o all’inerzia del proprietario dei locali, si potrà valutare, prima di adìre la giustizia ordinaria, di promuovere un tentativo di mediazione, davanti a un apposito organismo deputato a tale scopo. Questo anche in considerazione del fatto che le locazioni rientrano tra le materie in cui è previsto il tentativo obbligatorio di mediazione, quale condizione per poter poi iniziare una vera e propria azione legale.

D’altra parte, occorre evidenziare che, allo stato attuale, in assenza di un intervento chiaro da parte del legislatore, non è ben chiaro quali siano le conseguenze in caso di violazione, da parte dei proprietari, dell’obbligo generale di rinegoziare i canoni locatizi divenuti onerosi a causa della situazione emergenziale in atto. In particolare, è incerto quale sia il ruolo del giudice in sostituzione della volontà delle parti, ovvero se il giudice, adìto dal conduttore, debba limitarsi a condannare la parte inadempiente, quindi, il locatore, al risarcimento del danno in favore del conduttore, oppure possa spingersi fino a rideterminare, sostituendosi appunto ai contraenti, i termini del contratto, riducendo in maniera autonoma l’importo del canone in rapporto alle peculiarità del caso concreto.

Questa ultima soluzione è più consona alla situazione in cui versano molti conduttori e, dunque, più efficace, anche se viene a scontrarsi contro il principio della libertà di iniziativa economica, garantito costituzionalmente, e può incrinare pericolosamente la certezza dei rapporti giuridici. In attesa di un auspicabile intervento legislativo, non resta che attendere il consolidarsi dell’orientamento della giurisprudenza in proposito.