Ipertensione e COVID-19: “Non modificare la terapia”

SIMG (Società Italiana di Medicina Generale e delle cure primarie) interviene in merito alle notizie diffuse sul presunto ruolo dei farmaci per l’ipertensione quali facilitatori dell’infezione da COVID 19, raccomandando ai pazienti in cura di non modificare la terapia antipertensiva per proteggerli dal rischio di gravi complicanze cardiovascolari

In questi giorni si sono diffuse notizie sul presunto ruolo dei farmaci per l’ipertensione (Ace inibitori e Sartani) quali facilitatori dell’infezione da Coronavirus. A tal riguardo è intervenuto il Prof. Claudio Cricelli, Presidente SIMG, affermando che: “Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, la relazione tra l’assunzione di queste classi di farmaci e l’infezione da Covid 19 è ad oggi solo un’ipotesi da verificare attraverso specifici progetti di ricerca. Non esistono elementi tali da giustificare la modificazione di terapie che comprendano l’utilizzo di tali farmaci”.

ipertensioneI dati attuali mostrano come quasi 19 milioni di italiani (il 30,3% della popolazione) siani affetti da ipertensione arteriosa. Questa patologia rappresenta un fattore di rischio primario, da sola o in comorbilità con altre patologie acute e  croniche,  di malattia e di mortalità cardiovascolare. I farmaci ACE costituiscono il 36,7% delle prescrizioni, mentre i sartani il 32,5%. In termini numerici, un terzo dei pazienti trattati assume un farmaco Ace Inibitore.

Notizie basate su ipotesi non suffragate da evidenze possono mettere a rischio l’aderenza terapeutica e la continuità del trattamento dell’ipertensione arteriosa. “Riteniamo dunque il buon controllo clinico di queste patologie rappresenti un fattore protettivo in più nei riguardi della mortalità da COVID 19, prevalente nella popolazione di  soggetti anziani e  portatori di più patologie croniche – aggiunge il Prof. Cricelli. – Gli Ace inibitori e i Sartani sono infatti utilizzati nella terapia dell’ipertensione arteriosa, dello scompenso cardiaco, della cardiopatia ischemica dopo sindrome coronarica acuta, con solidi dati di efficacia con riferimento alla riduzione di incidenza della mortalità e della insorgenza di nuovi eventi cardiovascolari. Sono contenuti in prodotti equivalenti e quindi on impatto assai modesto sulla spesa farmaceutica. La rimozione di questi farmaci rappresenterebbe dunque un pericolo sia in termini di aumento del rischio cardiovascolare che nell’ottica di una infezione intercorrente da COVID 19”.