L’emicrania attraverso le narrazioni

L’emicrania è una malattia invisibile, ma invalidante, in cui il dolore è soltanto un sintomo. Il suo impatto sulla vita delle persone che ne soffrono è tale da aver portato al riconoscimento giuridico della cefalea come malattia sociale (legge 14 luglio 2020, n. 81). In Italia colpisce tra il 25% e il 43% della popolazione, in prevalenza donne tra i 20 e i 55 anni.

Per fare luce sul vissuto dei pazienti affetti da questa patologia così diffusa è stato realizzato il progetto “DRONE: Dentro la Ricerca: Osservatorio sulle Narrazioni di Emicrania”. Si tratta della prima ricerca di medicina narrativa a livello nazionale, che ha previsto la raccolta di narrazioni provenienti da tutti i protagonisti coinvolti (pazienti, familiari e professionisti di cura) e che ha quindi offerto tre diversi punti di vista, confrontandoli anche tra loro. Il lavoro, condotto da Fondazione ISTUD e pubblicato su Neurological Sciences, ha coinvolto 13 centri diffusi su tutto il territorio nazionale e ha raccolto 178 narrazioni, suddivise tra storie di persone con emicrania (107), familiari (26) e neurologi (45).

I dati dello studio

Colpisce il dato che emerge dalle storie delle 89 donne e 18 uomini che hanno partecipato: 27 anni in media di convivenza con la malattia, pari a oltre la metà della loro vita con un così cattivo compagno. Attraverso le metafore, i pazienti descrivono l’emicrania con immagini che richiamano l’azione del fabbro che usa un martello, di una lama che entra nella tempia (49%), di natura violenta o di mostri (31%), di buio o di nebbia (20%); in almeno un caso su due sono citati strumenti di tortura.

Fortunatamente negli ultimi anni la cura dell’emicrania è cambiata molto, anche grazie alla terapia bersaglio con anticorpi monoclonali specifici per la profilassi e con farmaci sintomatici selettivi capaci di bloccare l’attacco. La medicina narrativa si affianca alla medicina tradizionale e diventa essa stessa strumento professionale terapeutico.

Lo studio rivela che i pazienti presi in cura in modo più ampio, non solo da un punto di vista strettamente clinico, e che si sentono compresi, conseguono migliori risultati e riescono a vederli e ad apprezzarli di più, ottenendo un miglioramento significativo della qualità della vita. L’assenza dal lavoro, stimata in 56 giorni di lavoro all’anno (e 15 dei caregiver che li assistono), si riduce della metà quando, accanto ai risultati tangibili, c’è anche l’accettazione della malattia, raggiunta proprio grazie all’”alleanza terapeutica” stretta con il proprio medico curante.

Il farmacista può essere di aiuto suggerendo al paziente di rivolgersi a un centro specializzato per la cura delle cefalee, senza rinunciare al tentativo di risolvere o attenuare il problema.