Nel mondo, sempre più persone vivono in condizioni di sovrappeso o obesità. Dal 1980 il loro numero è più che raddoppiato, tanto da coinvolgere oggi 650 milioni di soggetti e rappresentare la causa primaria di quasi 2,8 milioni di decessi ogni anno.
L’obesità rappresenta uno dei principali problemi di salute pubblica a livello mondiale e di spesa per i servizi sanitari nazionali sia perché la sua prevalenza è in costante e preoccupante aumento, non solo nei Paesi occidentali ma anche in quelli a basso‐medio reddito, sia perché rappresenta un rilevante fattore di rischio rispetto all’insorgenza di varie malattie croniche, quali diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari e alcuni tipi di tumore.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità –OMS, ha stimato che circa il 58% dei casi di diabete mellito di tipo 2, il 21% delle malattie coronariche e quote comprese tra l’8 ed il 42% di alcuni tipi di cancro siano attribuibili a questa patologia multifattoriale.
Senza contare problemi artrosici, depressione, infertilità, apnee notturne. E purtroppo anche la pandemia Covid-19 ha confermato la fragilità della persona obesa.
In questo modo l’obesità contribuisce in modo significativo allo sviluppo delle malattie non trasmissibili causa, in Italia, del 92% di decessi e dell’85% di anni persi per disabilità. Non a caso un obeso riduce di circa 10 anni la propria aspettativa di vita, trascorrendone peraltro quasi 20 in condizioni di disabilità, con un aggravio sociale, sanitario ed economico che rischia di diventare insostenibile per il nostro SSN.
La situazione italiana
Nel nostro Paese l’obesità rappresenta una sfida irrisolta di salute pubblica.
Sovrappeso e obesità interessano il 46% degli over18: di questi, 17 milioni (34,2%) sono in sovrappeso mentre ben 6 milioni (12%) vivono in condizioni di obesità, con una prevalenza molto più marcata nelle regioni meridionali e nelle Isole – con la Campania, bollino nero – e una correlazione forte rispetto al livello di istruzione e a fattori di carattere socio-economico.
A destare maggiore preoccupazione la condizione di bambini e adolescenti, con 1 su 3 in eccesso ponderale.
Lo stigma e il difficile accesso alle cure
Nonostante i passi avanti compiuti e le campagne di sensibilizzazione promosse negli ultimi anni, forte rimane ancora oggi lo stigma nei confronti dei pazienti obesi. Quasi l’obesità fosse una colpa. Il problema dello stigma è tuttavia solo una faccia della medaglia.
L’altra è rappresentata dal difficile accesso alle cure. Il mancato riconoscimento dell’obesità come malattia, unitamente al suo mancato inserimento nei Livelli Essenziali di Assistenza e nel Piano Nazionale delle Cronicità determina l’impossibilità, per molti pazienti, di accedere a farmaci e trattamenti. Trattamenti però riconosciuti in caso di comorbidità.
Di fronte ad una situazione così drammatica, non è più possibile attendere. La presentazione del 4° Italian Barometer Obesity Summit, tenutosi a Roma lo scorso 3 ottobre, promosso da IBDO Foundation, è stato l’occasione per affrontare lo stato dell’arte e i tanti temi ancora in agenda. Altresì, è stato richiesto, con una lettera aperta firmata da IBDO, Open Italy e SIO, un patto di legislatura al governo che verrà, per non vanificare il lavoro fatto sinora.
La necessità di agire subito: il patto di legislatura
Durante la scorsa Legislatura, da poco conclusasi, era stato raggiunto un importante obiettivo: il 13 novembre 2019, la Camera dei Deputati aveva votato all’unanimità la Mozione, sottoscritta da tutti i gruppi politici, per il riconoscimento dell’obesità come malattia cronica e per dare avvio ad un piano nazionale di prevenzione finalizzato a promuovere interventi basati sull’unitarietà di approccio.
Si trattava di un ‘patto’ che si era sostanziato in iniziative, di concerto con il Ministero della Salute, l’Istituto Superiore di Sanità, Regioni ed Enti Locali, per la ricerca di soluzioni volte a inserire l’obesità all’interno del Piano Nazionale delle Cronicità, dei LEA, nel sistema nazionale delle Linee Guida e delle reti regionali di assistenza. Un patto tuttavia interrottosi per l’anticipata fine Legislatura.
Tutelare il paziente obeso alla stregua di tutti gli altri
L’obesità è una malattia multifattoriale cui concorrono fattori sia genetici sia ambientali che favorisce l’insorgenza di altre malattie.
Il mancato riconoscimento della stessa come patologia cronica è tuttavia causa per molti di esclusione, di mancato accesso alle terapie, erogate attraverso il SSN solo alla comparsa di comorbidità.
A ciò si aggiunge il perdurante stigma, che si riverbera sulle diverse fasi della vita del paziente obeso, dal bullismo in età adolescenziale a discriminazioni nella vita lavorativa, disparità salariali e rischi di licenziamento, o ancora all’emarginazione sanitaria, con un impatto grave sulla qualità della vita.
I diritti delle persone con obesità devono essere tutelati alla stregua di quelli di tutti gli altri. Per questo – si legge nella lettera – “si chiede alla XIX Legislatura di assicurare continuità, rinnovando un patto di legislatura basato su 6 punti cardine: lotta allo stigma clinico e istituzionale; considerare l’obesità come malattia cronica; promozione di linee guida; garantire il pieno accesso alle cure e ai trattamenti farmacologici alle persone con obesità; realizzazione di reti regionali di assistenza per la patologia; porre attenzione all’obesità infanto-giovanile e a quella di genere”.
La prevenzione difficile
Per troppi anni il problema è stato ignorato, dai medici così come dai pazienti e troppo poco è stato fatto a livello preventivo.
Basti considerare che l’Italia investe in attività di prevenzione appena lo 0,7% della spesa sanitaria complessiva, trattandosi di un’attività che richiede un investimento immediato ma che dà risultati solo nel medio-lungo periodo.
Tuttavia, occorre ricordare che la mortalità tra pazienti obesi di appena 25-30 anni è di 11-12 volte superiore a quella di pazienti normopeso e che la spesa sanitaria degli stessi è superiore alla media del 3%.
Ma se la prevenzione è difficile – è stato da più parti ribadito nel corso della presentazione – l’inerzia appare ormai insostenibile.
Se non è possibile tassare i cibi spazzatura e la loro pubblicità, è comunque fondamentale insegnare alle persone a scegliere meglio cosa mangiare, a partire dalle scuole.
Senza dimenticare che prevenzione vuol dire anche modifica degli stili di vita e promozione dell’attività fisica.
Un’attività fisica che dovrebbe essere garantita a tutti, a partire dai più piccoli – anche se, stando ai dati più recenti, sono circa 550mila i bambini nel nostro Paese senza palestre.
Garantire una vita sana vuol dire anche permettere agli adulti di svolgere attività fisica con regolarità, una pratica che, per essere garantita, implica una necessaria e conseguente riorganizzazione del mondo del lavoro. Ad oggi sono però circa 20 milioni gli adulti che non praticano né sport né attività fisica.
Inoltre, per quanto riguarda i più piccoli, all’inattività si aggiunge un’alterata percezione dei genitori, tanto che quasi il 60% delle madri di bambini poco attivi ritiene che il proprio figlio svolga sufficiente attività fisica. E lo stesso accade per quanto riguarda l’alimentazione.
La necessità di una maggiore consapevolezza
Occorre partire da una maggiore consapevolezza, sia da parte di medici – con counseling motivazionali, monitoraggi e follow-up – sia da parte dei pazienti.
Basti in tal senso pensare che l’11,1% degli adulti con obesità e il 54,6% degli adulti in sovrappeso ritiene di essere normo peso, e oltre il 40% di genitori di minori sovrappeso o obesi reputa i propri figli in peso-forma, rischiando con questo atteggiamento di favorire l’insorgenza di importanti complicanze.
Le reti, per una presa in carico globale
L’obesità è la malattia cronica che presenta il più alto tasso di recidive nel tempo: torna difatti più spesso di un infarto o di un tumore.
Oltre alla prevenzione, che rimane un tassello imprescindibile, è necessario dunque promuovere alleanze e reti di patologia, superare i sylos, proporre confronti sulle buone pratiche, approcciando il paziente obeso in modo olistico, multi-specialistico e multidisciplinare.
Una strategia integrata passa per una presa in carico globale, garanzia di una continuità assistenziale che inizia in centri specializzati e prosegue sul territorio, con un’integrazione socio-sanitaria, reti di volontariato ed educazione terapeutica costante.
L’obesità nei più piccoli: è allarme
Come accennato in precedenza, sovrappeso e obesità rappresentano un problema molto grave anche tra bambini e adolescenti, tra i quali l’eccesso ponderale interessa 1 soggetto su 3, con punte di quasi 1 su 2 in Campania, dove la prevalenza è del 44%.
Peraltro un bambino obeso assai sovente si traduce in un adulto obeso e le complicanze si sviluppano già nell’infanzia con: fegato grasso (50%), dislipidemie e prediabete (30%).
Il Covid-19 poi, non ha fatto altro che peggiorare questo trend: basti pensare che nel periodo pandemico il diabete di tipo 2 nei bambini obesi è aumentato del 77% rispetto ai 2 anni precedenti anche perché le restrizioni hanno incentivato sedentarietà e consumo di cibo consolatorio.
Il problema spesso è l’assenza di consapevolezza da parte dei genitori, è stato ricordato – il 44% delle madri non è consapevole della condizione di sovrappeso-obesità del figlio, il 70% non pensa che il figlio mangi tanto.
Si deve dunque partire dall’educazione dei genitori, in quanto i pediatri, senza il supporto e la collaborazione di scuola e famiglia, non possono nulla.
L’approccio all’obesità pediatrica deve essere strutturato su tre livelli, con al primo i pediatri di famiglia, chiamati a fare informazione e identificare i bambini a rischio; quindi il livello territoriale, in cui il bambino deve essere supportato nutrizionalmente e psicologicamente fino al terzo step, in centri specialistici per la cura dell’obesità grave.
Nel mentre la scuola dovrebbe favorire l’eliminazione di distributori di merendine e le istituzioni promuovere spazi per l’attività motoria. Alla base di tutto deve comunque esserci un cambio radicale di stili di vita e di alimentazione, altrimenti percorsi altri – da quelli farmacologici a quelli di chirurgia bariatrica – sono destinati a fallire.
La discriminazione di genere e il necessario intervento sulle determinanti culturali
Anche nell’obesità si evidenzia una disparità di genere.
L’obesità nelle donne rischia di essere un fardello più pesante da portare: ha ricadute negative sia sulla fertilità sia sul lavoro, ma soprattutto le espone maggiormente al body shaming.
L’immagine corporea è difatti il perno cruciale perché l’ideale di bellezza è più forte nelle donne e il non corrispondere al modello dominante rappresenta un elemento dirompente di devianza, all’origine dello stigma.
Proprio per questa ragione – è stato ribadito – agire sulla dimensione culturale appare strategico, riconoscendo a questa condizione lo status di malattia così da farla finalmente uscire dalla dimensione di condanna sociale.