Ogni anno, il 19 maggio si celebra la Giornata Mondiale delle Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino (MICI), detta anche “World IBD Day”. Negli ultimi 10 anni, le diagnosi di nuovi casi e il numero di pazienti sono aumentati di circa 20 volte e il numero di malati a livello globale si attesta intorno ai 7 milioni. Le stime in Italia parlano di circa 250 mila pazienti con un’incidenza stimata intorno ai 10-15 nuovi casi su 100 mila abitanti all’anno e una prevalenza calcolata dello 0,2%-0,4% circa. Si pensa che nel prossimo decennio la prevalenza possa aumentare di oltre il 30%-40%.

Le malattie infiammatorie croniche intestinali interessano l’apparato gastrointestinale e colpiscono il sesso femminile con una frequenza leggermente superiore a quello maschile. La comparsa dei sintomi avviene di solito tra i 15 e i 45 anni di età.

Le due MICI più diffuse sono la malattia di Crohn e la colite ulcerosa, che contano rispettivamente 150 mila e 100 mila pazienti in Italia. La prima può interessare quasi tutto il tratto digerente, mentre la seconda interessa quasi sempre solo il colon. A oggi, le cause non sono del tutto chiarite, ma sembra entrino in gioco diversi fattori, tra cui complesse interazioni tra il sistema immunitario dell’ospite, il suo microbiota e l’ambiente, in persone predisposte geneticamente. In sostanza, gli studi di letteratura scientifica suggeriscono che la chiave della patogenesi sia una reazione immunitaria anomala contro la propria flora intestinale.

Patologie invalidanti


Queste patologie sono spesso causa di disabilità invisibili e possono incidere in modo pesante sulla qualità di vita. Una loro caratteristica è l’andamento cronico-recidivante, con un’alternanza di periodi di remissione e di riacutizzazione. I periodi di benessere possono dare false illusioni di guarigione ai pazienti e indurli a non intraprendere o a sospendere le terapie prescritte, con conseguenti danni nel tempo.

Obiettivi terapeutici

In passato, il trattamento delle MICI si basava su una regolazione antinfiammatoria e del sistema immunitario attraverso l’impiego di farmaci antinfiammatori non steroidei, corticosteroidi immunosoppressori e anticorpi monoclonali contro il fattore di necrosi tumorale (TNF). In alcuni pazienti, però, questi approcci davano effetti indesiderati significativi e recidive.

Più di recente, la ricerca si è focalizzata sulle alterazioni della flora intestinale nei pazienti MICI, correlate proprio con la presenza della patologia. Si è quindi ipotizzato un approccio basato sull’impiego di probiotici come misura terapeutica più sicura ed economica. Sono stati impostati studi clinici ad hoc per verificare l’efficacia di questo intervento e studiare l’impatto diretto della loro assunzione sulla microflora intestinale e l’impatto come terapia adiuvante o alternativa ai farmaci tradizionali.

Come conseguenza, gli obiettivi dei trattamenti sono andati incontro a una rivoluzione e si concentrano oggi sulla remissione clinica dei sintomi, sulla “riparazione” della mucosa intestinale e sull’evitare la disabilità al paziente, migliorandone la qualità di vita ed evitandogli un intervento chirurgico, se non indispensabile.

La disbiosi

Si parla di disbiosi quando il microbiota produce effetti dannosi per la salute a causa di alterazioni nella sua composizione, nella diversità delle specie che lo compongono (che diminuisce), nello squilibrio tra ceppi batterici e nella diversa attività metabolica che ne consegue. Un microbiota disbiotico perde la capacità di mantenere l’omeostasi intestinale, ma può anche esacerbare l’infiammazione. La disbiosi, infatti, induce l’attivazione del sistema immunitario che cercando di difendere l’epitelio dell’intestino ne causa infiammazione.

L’eubiosi invece si verifica quando la composizione del nostro microbiota è ben diversificata e tale da mantenerlo in buona salute: condizione che sussiste quando c’è una grande varietà di specie con una prevalenza di quelle buone rispetto a quelle che possono indurre patologie (ceppi batterici protettivi>dannosi).

La flora intestinale benefica compete con i batteri nocivi in quattro modi diversi:

1) producendo sostanze in grado di inattivarli;

2) sottraendo nutrienti che hanno in comune;

3) alterando il pH intestinale;

4) mantenendo l’integrità della barriera mucosa.

Diverse tipologie


Le disbiosi possono essere classificate in tre grandi categorie in base alle cause. Un primo tipo deriva da un eccesso di patobionti, batteri potenzialmente patogeni che, pur colonizzando il nostro organismo normalmente, possono proliferare in modo eccessivo rispetto alle altre specie presenti e provocare disturbi o patologie. La famiglia degli Enterobatteri (Enterobacteriaceae) ne è un esempio.

Ci sono le disbiosi dovute a perdita di batteri commensali, benefici e normalmente presenti nell’intestino (es. L. reuteri). La deplezione può essere dannosa, infatti questo ceppo batterico viene inserito in diversi alimenti e integratori.

Il terzo tipo vede una riduzione della diversità batterica, legata a un’alimentazione non corretta, assunzione di farmaci (es. antibiotici), infezioni, processi infiammatori, fattori genetici.

Le conseguenze


Le conseguenze della disbiosi possono essere locali, come le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI) o extra-intestinali. Tra quelle locali, la principale è l’aumento di rischio di malattia di Crohn o Colite ulcerosa. Molti studi confermano una generale riduzione della ricchezza e varietà del microbiota nei pazienti con MICI e una risposta immunitaria non appropriata.

Nelle persone con morbo di Crohn, per esempio, il coinvolgimento del microbioma è ormai assodato. Per esempio, si osserva una forte riduzione di Firmicutes (soprattutto F. prausnitzii) e un aumento di Bacteroidetes. Tuttavia, non è ancora chiaro se le alterazioni incidano nello sviluppo di queste patologie, e ne siano quindi causa, o se la disbiosi ne sia una conseguenza.

Gli effetti nocivi possono ripercuotersi anche sull’intero organismo. Per esempio, a livello cutaneo attraverso l’asse intestino-pelle: questa può essere la concausa di una dermatite atopica.

Che cosa preoccupa i pazienti MICI*

Il 71% dei pazienti Crohn intervistati è preoccupato di una successiva riacutizzazione
Il 40% ha modificato la propria vita lavorativa (es. richiesta di lavoro da casa o part time)
Il 67% verifica la disponibilità di servizi igienici prima di partecipare a un evento
Il 45,9% (Crohn) e il 60,8% (colite ulcerosa) in Italia, non riesce a modificare la propria attività a causa dell’urgenza intestinale
L’11,3% dei pazienti Crohn non ben controllati deve usufruire di giorni di malattia rispetto all’1,9% dei pazienti con controllo ottimale
Il 7,8% dei pazienti con colite ulcerosa non ben controllati deve usufruire deve usufruire di giorni di malattia rispetto al 9,4% dei pazienti con controllo ottimale.
In Italia, il 23% dei pazienti con malattia di Crohn e il 26% dei pazienti con colite ulcerosa riferiscono una perdita di produttività lavorativa

*Dati emersi da indagini condotte in Europa e in Italia (https://www.osservatoriomalattierare.it)

I sintomi delle MICI

Morbo di Crohn Colite ulcerosa
Diarrea cronica Dolore addominale intermittente
Dolore addominale Diarrea emorragica
Perdita di peso
Denutrizione
> rischio tumore locale
> infiammazione articolazioni, occhi, bocca, fegato, cistifellea, cute

Fonte: Manuale Merck di diagnosi e terapia, 7° Edizione italiana

Un po’ di nomenclatura

Microbiota      L’insieme degli organismi viventi che colonizzano uno specifico habitat corporeo in un determinato periodo
Microbiota intestinale      Comunità microbica presente nell’intestino
Microbioma   Contenuto genetico della comunità batterica considerata

 

Probiotici, prebiotici, simbiotici e postbiotici

Probiotici: microrganismi vivi che, se somministrati in quantità adeguate, conferiscono un beneficio per la salute dell’ospite (es. Bifidus regularis, Lactobacillus rhamnosus).
Prebiotici: costituenti degli alimenti non vitali in grado di conferire un beneficio alla salute mediante una modulazione del microbiota [es. inulina, frutto-oligosaccaridi (FOS), i galatto-oligosaccaridi (GOS)].
Simbiontici: prodotti che contengono sia probiotici sia prebiotici studiati per migliorare la sopravvivenza e l’impianto nell’intestino della componente microbica viva.
Postbiotici: prodotti batterici non vitali o sottoprodotti metabolici di microrganismi probiotici, capaci comunque di esercitare attività biologica nell’ospite intensificando gli effetti positivi dei probiotici stessi.

 

Tre tipologie di batteri

Simbionti batteri benefici per l’organismo ospite
Commensali batteri che non arrecano né danni né vantaggi
Patogeni

(o patobionti)

batteri pro-infiammatori opportunistici potenzialmente dannosi di solito presenti nell’ecosistema intestinale adulto in numero ridotto

 

Alcuni agenti che influiscono sulla composizione del microbiota intestinale sono:

• Farmaci
• Dieta
• Peristalsi
• Sistema immune
• Esercizio fisico
• Fumo

Quando i patogeni aumentano rispetto ai simbionti, anche a parità di commensali, si crea una situazione di disequilibro chiamata disbiosi che innesca una reazione infiammatoria cronica nociva che prelude o concorre all’instaurarsi di varie patologie.

Il trapianto di microbiota fecale

Nonostante la ricerca continui sul fronte dell’integrazione di probiotici, della modificazione della dieta, dell’uso di antibiotici altamente selettivi o di una combinazione di questi approcci, per trattare disbiosi e di patologie correlate si sta sperimentando anche il trapianto di microbiota fecale. Si tratta di somministrare la componente batterica “buona” a persone con patologie associate a un disequilibrio della flora intestinale attraverso le feci di un donatore sano. Questa tecnica ha già dimostrato di esse efficace contro infezioni da Clostridium difficile e, in Italia, è approvata solo con questo fine. Seppure abbastanza sicura nel breve termine, mancano dati circa eventuali effetti avversi nel lungo periodo.

Contro le malattie croniche intestinali (MICI), i risultati di questa pratica sono ancora in fase di consolidamento. Sono in corso studi per capirne l’eventuale utilità sia nella malattia di Crohn sia nella Colite ulcerosa. Oggi il trapianto di microbiota fecale è autorizzato in situazioni gravi senza alternativa terapeutica, ma c’è già chi ipotizza, in un futuro, un impiego per patologie diffuse e insidiose e non strettamente “intestinali” come obesità sindrome metabolica, diabete, malattie neuro degenerative, Parkinson e Alzheimer, ansia e depressione.

Fonti: https://static.tecnichenuove.it/farmacianews/2025/04/02150012/FOnti.pdf