Pubblicata dal Ministero della Salute la Relazione sulla celiachia relativa all’anno 2020. Nonostante si sia trattato di un anno particolarmente difficile a causa dell’epidemia da Covid-19 quanto ad accesso alle diagnosi e alle cure, in Italia sono state registrate 7.729 nuove diagnosi di celiachia

La celiachia è una patologia cronica che colpisce circa l’1% della popolazione e si sviluppa in soggetti geneticamente predisposti. Le complicanze possono essere estremamente gravose; proprio per questo è fondamentale che il celiaco escluda, per tutta la vita, il glutine dalla propria dieta.

La relazione 2020 sulla celiachia di recente pubblicazione da parte del Ministero della Salute ha evidenziato la presenza, in Italia, di 233.147 celiaci, di cui il 30% appartenente alla popolazione maschile (70.264) e il 70% a quella femminile (162.883). Nell’anno 2020 sono state registrate 7.729 nuove diagnosi. Osservando l’andamento delle diagnosi nell’ultimo quadriennio (2017-2020) la media annuale si è assestata sulle 8.680 nuove diagnosi

A livello regionale, le Regioni che registrano più celiaci sono la Lombardia (42.440), seguita da Lazio (23.633) e Campania (22.542). La prevalenza più elevata, nell’anno in oggetto, si è registrata nella Provincia Autonoma di Trento, in Valle D’Aosta e in Toscana con lo 0,49% seguite dalla Sardegna con lo 0,48%.

La dieta senza glutine

Ad oggi, l’unico trattamento ritenuto scientificamente valido per le persone affette da celiachia è la dieta senza glutine. La completa esclusione del glutine dalla dieta oggi è una pratica più semplice rispetto al passato grazie alla vasta gamma di prodotti senza glutine offerti dal mercato e alle etichette degli alimenti molto dettagliate.
I cereali contenenti glutine maggiormente utilizzati nella produzione degli alimenti sono: il grano tenero e duro, il farro, la segale e l’orzo. L’avena rappresenta un caso particolare: nonostante possa essere inserita nelle diete dei celiaci senza produrre effetti negativi, la stessa viene considerata dalla normativa europea un cereale contenente glutine a causa delle frequenti contaminazioni e delle ibridazioni riscontrate.
Ai fini di una dieta varia ed equilibrata, è consigliabile un apporto energetico giornaliero da carboidrati almeno del 55% di cui un 20 % da alimenti naturalmente senza glutine ( riso, mais, patate) e per il restante 35% da alimenti senza glutine specificamente formulati (pane, pasta, biscotti, pizza, cereali per la prima colazione e alimenti similari).

Il supporto economico del Ssn

In Italia, il Servizio sanitario nazionale (Ssn) garantisce al celiaco un supporto economico mensile per l’acquisto dei prodotti senza glutine specifici, il cui ammontare cambia a seconda del sesso e dell’età del soggetto. I limiti di spesa sono stati aggiornati nel 2018 sulla base dei Livelli di Assunzione Raccomandati di energia e Nutrienti per la popolazione italiana (2014), dei prezzi rilevati al consumo nel canale farmaceutico maggiorati del 30% per tener conto di particolari esigenze nutrizionali. Essi comunque oscillano dai 56 Euro in favore di soggetti dai 6 mesi ai 5 anni di età, fino ai 124 Euro mensili in favore di adolescenti maschi in età compresa tra 14 e 17 anni.

Dai dati raccolti, nel 2020 il Ssn ha speso 209.688.912,20 Euro per l’acquisto dei prodotti senza glutine con un contributo pro-capite medio di circa 1.000 Euro, mantenutosi stabile rispetto agli anni precedenti.
Nell’esercizio finanziario 2021, sulla base dei dati del 2020, sono stati stanziati in favore delle Regioni 325.346,80 Euro per garantire la somministrazione dei pasti senza glutine e 521.024,97 euro per le iniziative di formazione per un totale complessivo di 846.371,77 euro.

Celiachia, la formazione sul tema

Oggi sono diverse le Regioni che promuovono corsi di formazione dedicati alla celiachia e che prevedono anche ore di formazione pratica svolte in apposite cucine didattiche dove è possibile sperimentare sul campo le modalità operative corrette per ridurre al minimo i rischi di contaminazione. In Italia nel 2020 sono stati realizzati 313 corsi di formazione che hanno visto coinvolti 5.783 operatori del settore alimentare. Le Regioni che hanno attivato più percorsi formativi sono state il Piemonte (88), l’Abruzzo (50) e l’Emilia Romagna (50). I dati inevitabilmente riflettono le problematiche legate alla pandemia, tanto è vero che i corsi di formazione realizzati risultano dimezzati rispetto al 2019 con una riduzione di 2/3 anche del numero di operatori formati rispetto all’anno precedente e numerose sono le regioni che non hanno attivato corsi di formazione.