“Farmaci orfani, ricerca & sviluppo “Made in Italy”: il punto su progressi ed ostacoli” è stato il tema al centro del 1° Orphan Drug Day, evento organizzato dall’Osservatorio Malattie Rare che si è svolto a Roma mercoledì 8 luglio.
“Da quando questa designazione è stata introdotta, in Europa le designazioni orfane sono state ben 1.163. La ricerca ha, però, tempi particolarmente lunghi e peculiari difficoltà: solo 93 di queste 1.163 molecole (cioè l’8%) hanno a oggi avuto l’Autorizzazione all’Immissione in Commercio (AIC)”, ha spiegato Laura Bianconi, coordinatrice dell’evento, realizzato grazie al contributo non condizionato di Alexion, Biomarin, Celgene, Genzyme, Orphan Europe e Shire.
“L’Italia in questo settore è molto attiva: il 20 % della sperimentazione clinica nel nostro paese è effettuata con farmaci orfani. Secondo i dati AIFA del 2014, su 117 trial clinici aperti, l’80% circa è arrivato alla fase II o alla fase III della sperimentazione. Tuttavia, di 93 farmaci con l’AIC, il 78% è già a disposizione dei pazienti, mentre il restante 22% sta ancora aspettando la fine dell’iter di prezzo e rimborso con Aifa e l’inserimento nei prontuari regionali”, ha aggiunto Ilaria Ciancaleoni, direttore di Osservatorio Malattie Rare.
“Quella che manca è una cultura diffusa intorno a questo tema, e uno sviluppo concreto di partnership tra accademia, industria, fondazioni di ricerca e associazioni di pazienti che siano strutturate e durature, e che possano accelerare e affinare sia il disegno di farmaci innovativi che il processo clinico necessario al loro utilizzo sui pazienti”, ha spiegato Clementi del dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche “L. Sacco” dell’Università degli Studi di Milano e direttore dell’UO di farmacologia clinica dell’azienda ospedaliera L. Sacco.
Durante l’Orphan Drug Day sono stati poi presentati alcuni esempi eccellenti della ricerca italiana, attraverso le esperienze di aziende come Chiesi Farmaceutici, Celgene, Shire e Dompé. Nel corso di una successiva tavola rotonda, le istituzioni presenti hanno interrogato le aziende e i ricercatori sulle modalità con cui la ‘politica’ può essere di supporto a questo settore. Dal dibattito sono emerse tre nuove ipotesi di lavoro:
1) Standardizzazione dei costi e riduzione dei tempi legati al lavoro dei comitati etici
“Dobbiamo lavorare sui costi e sui tempi per le autorizzazioni. Sarebbe auspicabile un tariffario delle prestazioni comune a tutti i centri di ricerca clinica, così da ridurre i tempi di negoziazione dei contratti. I tempi, poi, si potrebbero ridurre anche prevedendo che la valutazione amministrativa sia contestuale all’approvazione del comitato etico. È necessaria poi una standardizzazione delle procedure dei CE, delle documentazioni da questi richieste, dei moduli dei Consensi Informati”, ha spiegato Gianni De Crescenzo, direttore medico di Celgene .
2) Programmi “Name Patient”
“Sul piano dell’accesso alle terapie in fase di sperimentazione, nel caso in cui l’arruolamento di un paziente negli studi clinici in corso non sia possibile, sarebbe necessaria una valutazione specifica del rischio/beneficio per poterne valutare l’accesso al trattamento. Occorre tenere in considerazione l’enorme rilevanza che, nel campo delle patologie rare, può avere il dato clinico anche del singolo paziente, se raccolto nell’ambito di una sperimentazione controllata”, ha affermato Marcello Allegretti, direttore scientifico di Dompé. La proposta in questo caso sarebbe quella d’istituire un processo di valutazione formale da parte dell’Ente Regolatorio delle richieste di accesso al “named patient basis” (secondo il quale i medici possono richiedere fornitura di medicine all’azienda produttrice, usandoli poi per il trattamento dei pazienti sotto la propria responsabilità) per i pazienti affetti da patologie rare.
3) Il tema dell’Hospital Exemption
“La compresenza di Hospital Exemption, sviluppo clinico regolatorio e produzione industriale crea una serie di problemi alla sperimentazione di terapie avanzate L’esperienza clinica in Hospital Exemption non è raccolta in studi formalizzati con dati interpretabili, lasciando lacune informative potenzialmente pericolose. Inoltre l’incertezza dell’ambiente nel lungo periodo scoraggia ulteriori investimenti nel settore”, ha spiegato Andrea Chiesi, direttore R&D Portfolio Management di Chiesi e CEO Holostem Terapie Avanzate. Occorre dunque ricercare una più chiara gestione a livello europeo, attraverso una definizione degli ambiti dei vari approcci possibili.