Dopo la parziale inversione di marcia del Governo Monti, sembra vivere un momento di tregua la battaglia sulle liberalizzazioni introdotta dal decreto legge 201/2011.
Il Ministero della Salute, sentito il parere di AIFA, dovrà individuare entro 120 giorni dall’entrata in vigore della legge l’elenco dei medicinali di fascia C che resteranno soggetti all’obbligo di ricetta e continueranno a essere venduti esclusivamente in farmacia (stupefacenti, iniettabili, ormoni, farmaci già soggetti a RNR).
È confermata invece la possibilità di praticare sconti su tutti i farmaci di fascia C, come già avviene per i farmaci di automedicazione. Non ci è facile comprendere come questo provvedimento potrà favorire l’occupazione e incrementare lo sviluppo del Paese, anche se probabilmente risolverà le contraddizioni di una classificazione (amministrativa) che esiste solo in Italia, svuotando la fascia C di molti medicinali che non ha più senso tenere sotto obbligo di ricetta.
Ci sembra invece legittimo che i titolari difendano le loro aziende. Non è corretto pensare che le 16mila farmacie italiane siano solo un terminale del SSN sul territorio: sono imprese che danno occupazione e lavoro a migliaia di farmacisti collaboratori, che creano volumi d’affari importanti non solo all’industria del farmaco, ma anche a quella accessoria.
Non sono solo lobby, ma una realtà molto più complessa, alla quale la riduzione del margine sul SSN, i ritardi nei pagamenti, l’uscita dei farmaci innovativi dal canale farmacia, i crescenti adempimenti burocratici, hanno oggettivamente determinato una progressiva erosione della redditività.
Malauguratamente però, non tutti i farmacisti hanno captato la grande rivoluzione culturale ed economica avvenuta nel mondo della salute (e non solo) negli ultimi anni, e questo ci ha tolto consenso sociale, finendo per trasformare le farmacie nel capro espiatorio dei movimenti anti-casta.
Per questo motivo, pur non condividendo l’atto di forza del nuovo Governo, vorremmo raccomandare ai titolari di farmacia di farsi carico seriamente del problema e pensare a un progetto di riforma del sistema che accolga i suggerimenti della società in cui viviamo.
Ci aspettiamo che rompano gli indugi: la loro proposta dovrà prevedere che tutti i farmacisti abilitati che lo desiderino possano aprire la loro farmacia, pur tutelando quelle già esistenti (il libero esercizio condizionato alla distanza ci sembra un’ipotesi convincente) e si dovranno togliere quei vincoli anacronistici sugli orari di apertura delle farmacie che penalizzano la concorrenza e il libero mercato.
Dalle ceneri della farmacia italiana si tenta di far sorgere un nuovo modello di assistenza farmaceutica basato sul business. Perché ciò non avvenga, i farmacisti dovranno, in tempi brevi e in sintonia con le altre forze in campo, lavorare concretamente alla vera riforma della farmacia italiana.