Nel nostro Paese, una persona su cinque ha una patologia cronica: ne soffre il 18% degli adulti italiani tra i 18 e i 69 anni. Percentuale che tocca il 57% tra gli over65, con un anziano su quattro che convive con due (oppure più) malattie. Sono i dati dell’Istituto Superiore di Sanità inerenti il biennio 2023/2024: numeri, quelli delle sorveglianze Passi e Passi d’Argento, che attestano quanto il carico delle patologie croniche sia significativo nella popolazione, soprattutto in quella anziana.
Nella fascia di età 18-69 anni, le patologie più frequenti sono: malattie respiratorie croniche (6%); malattie cardiovascolari, diabete (5%); tumori (4%). E la condizione di cronicità risulta più frequente al crescere dell’età: interessa il 7% degli adulti con meno di 34 anni, il 12% fra i 35-49enni e il 29% delle persone fra 50 e 69 anni.
Oltre all’aspetto anagrafico, ad impattare sulla cronicità è il livello socioeconomico: il 29% di chi ha importanti difficoltà finanziarie e il 33% di chi ha un basso livello di istruzione (nessun titolo o solo licenza elementare) riferisce almeno una patologia. Capitolo policronicità: la presenza contemporanea di due o più patologie interessa il 4% degli adulti tra 18 e 69 anni. La percentuale aumenta dell’8% tra i 50-69enni e raggiunge l’11% nelle persone che hanno particolari difficoltà economiche e il 13% tra quelle meno istruite.
In particolare, la policronicità coinvolge un anziano su quattro, con un incremento rilevante tra chi ha superato quota 85 anni (37%) e tra coloro che hanno uno status socioeconomico svantaggiato: il 38% contro il 19% tra chi dichiara nessuna difficoltà, e 30% contro il 19% tra chi ha bassa istruzione.
Cronicità: una condizione divenuta strutturale
In Italia, le patologie croniche più diffuse sono: cardiopatie (27%), diabete (20%), malattie respiratorie croniche (16%) e tumori (13%). Per la prima volta, poi, si osservano anche differenze di genere: una stima più alta tra gli uomini (il 24% contro il 21% tra le donne). Un ulteriore capitolo riguarda le differenze regionali, con la prevalenza di patologie croniche che, a livello territoriale, varia significativamente.
Restando sui numeri, tra gli under70, le regioni con i valori più elevati sono la Sardegna (26%), le Marche (23%), il Friuli-Venezia Giulia (22%) e il Lazio (20%). In questa fascia della popolazione, la policronicità è minore fra le regioni del sud e maggiore fra le regioni del nord Italia. Negli over65, la cronicità è più diffusa al centro (60%) e al sud (60%) rispetto al nord (53%). Un trend simile si riscontra per la stessa policronicità: 25% al centro, 24% al Sud, 19% al nord.

«Questi dati ci confermano un quadro già evidente nella pratica quotidiana: la cronicità è una condizione ormai strutturale nella popolazione italiana – spiega Paolo Levantino, farmacista clinico e consulente scientifico – Circa un terzo degli adulti e oltre la metà degli over65 convive con una o più patologie croniche. Ciò significa che una porzione ampia di cittadini richiede non solo cure, ma una presa in carico continuativa, personalizzata e multidimensionale».
In tale scenario, grazie alla capillarità sul territorio e al rapporto fiduciario costruito con i pazienti, i farmacisti possono svolgere un ruolo strategico? «Certamente – replica – e ciò avviene monitorando l’andamento clinico, sostenendo l’aderenza terapeutica, gestendo le interazioni farmacologiche e contribuendo attivamente al follow-up, in sinergia con gli altri professionisti della salute».
Promuovere la consapevolezza terapeutica
La necessità di promuovere il miglioramento dell’aderenza ai trattamenti degli eventi acuti che determinano ricoveri ospedalieri e della mortalità, può incidere in modo significativo sulla riduzione di complicanze e recidive. «Ritengo sia fondamentale per garantire l’efficacia delle cure, soprattutto nelle patologie croniche come il diabete, l’ipertensione e la dislipidemia. Nel momento in cui il paziente segue correttamente la terapia, i farmaci possono prevenire complicanze, stabilizzare la malattia e migliorare la qualità della vita», ammette Levantino, che ricopre il ruolo di segretario Fenagifar, la Federazione nazionale associazioni giovani farmacisti. «Al contrario – prosegue – una scarsa aderenza porta spesso a un peggioramento clinico, a un incremento dei ricoveri e alla perdita progressiva dell’autonomia».
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, in Europa il costo della mancata aderenza alle terapie è stimato in circa 125 miliardi di euro all’anno, di cui circa 2 miliardi in Italia. Un ipotetico aumento dell’aderenza del 15% potrebbe ridurre i costi sanitari di oltre 18 miliardi in Europa e di 300 milioni in Italia, senza considerare il vantaggio sociale. «È bene precisarlo: non si tratta semplicemente di rispettare una prescrizione, ma di sviluppare una consapevolezza terapeutica, costruita attraverso il supporto e il dialogo costante con i professionisti sanitari», riprende Levantino.
Che quindi puntualizza: «Uno studio recente condotto negli Stati Uniti ha dimostrato che un intervento strutturato da parte del farmacista, basato su consulenze personalizzate, può portare a un netto miglioramento dell’aderenza, di oltre il 5% nei pazienti con diabete, più del 6% in quelli con ipertensione e quasi l’8% nei soggetti con ipercolesterolemia. Questi risultati confermano non solo l’efficacia clinica dell’intervento, ma anche il suo impatto economico. L’incremento dell’aderenza è stato infatti associato a una riduzione della spesa sanitaria superiore a 60 milioni di euro l’anno, considerando solo la popolazione coinvolta nello studio».
Ruolo del paziente nella gestione delle cronicità
Parte delle energie e delle risorse indispensabili a guidare il cambiamento necessario devono (e sempre di più, dovranno) essere orientate ad una corposa attività di empowerment che riguarda tutti: farmacisti, specialisti, medici di medicina generale, infermieri e – non da ultimi – i rappresentanti delle organizzazioni dei pazienti. E il ruolo attivo di quest’ultimi nella gestione delle cronicità emerge evidente. «Direi che è indispensabile – interviene Levantino –, dati recenti dimostrano che quasi un paziente su due tende a saltare dosi o modificare autonomamente il proprio regime terapeutico, e oltre un terzo non conosce nemmeno le indicazioni dei farmaci che assume».
Questo rimarca quanto sia decisivo rendere il paziente non solo consapevole, ma anche coinvolto e protagonista della propria salute. «È proprio così. Inoltre è essenziale esporre il senso della terapia, intercettare i dubbi e utilizzare strumenti, come il metodo ask-tell-ask, per aiutare il paziente a comprendere perché assume un farmaco e come integrarlo nella sua quotidianità».

In tal senso, il segretario dei giovani farmacisti tratteggia – a titolo di esempio – «un ambito emblematico: quello dei pazienti con asma e rinite allergica, dove l’efficacia terapeutica dipende fortemente dalla partecipazione attiva del paziente. Spaziando dalla corretta tecnica d’uso degli inalatori, al monitoraggio dei sintomi, fino al riconoscimento dei segnali di allarme. In questo contesto, favorire l’auto-monitoraggio con strumenti digitali e rafforzare l’educazione terapeutica sono strategie efficaci per aumentare la persistenza al trattamento».
Tra prevenzione, innovazione e sostenibilità
Tutti temi, quelli affrontati da Levantino, che hanno creato confronto nell’ambito dell’evento a Roma “La gestione del paziente cronico nel territorio: prevenzione, innovazione e sostenibilità”. L’appuntamento ha riunito professionisti sanitari, referenti istituzionali, società scientifiche, ordini professionali e rappresentanti di organizzazioni civiche.
“In Italia, una mancata aderenza alle terapie nelle patologie croniche può generare fino a 2 miliardi di euro di costi sanitari aggiuntivi ogni anno. Ciò nonostante, oltre all’impatto economico, c’è un costo umano: peggioramento degli esiti, diseguaglianze, aumento dei ricoveri evitabili”, è stato il commento di Francesco Saverio Mennini, Capo Dipartimento della programmazione, dei dispositivi medici, del farmaco e delle politiche in favore del Servizio Sanitario Nazionale del Ministero della Salute. “Ragione per cui – ha proseguito – dalla Programmazione sanitaria stiamo lavorando a un modello predittivo di presa in carico, che tracci in modo strutturato l’effettiva adesione del paziente al trattamento, integrando dati clinici, prescrittivi e di outcome”.
In particolare, secondo le società scientifiche, l’aderenza terapeutica rappresenta oggi il vero termometro della qualità del nostro SSN: non è responsabilità del paziente, ma esito diretto dell’organizzazione delle cure. I dati dell’Osservatorio Nazionale sull’Impiego dei Medicinali (OsMed) dell’Agenzia Italiana del Farmaco parlano chiaro: fino al 50% dei pazienti cronici non segue correttamente le terapie, con tassi di aderenza che crollano al 43% per dislipidemici e poco sopra il 50% per antipertensivi e anticoagulanti.
La scarsa aderenza determina un incremento dei ricoveri ospedalieri tra il 30% e il 50%, un costo di oltre un miliardo di euro in farmaci prescritti ma non usati, un impatto clinico importante (con oltre 47 mila decessi evitabili in Italia per patologie cardiovascolari). Proprio in materia di costi, studi recenti stimano che per ogni aumento del 10% dell’aderenza terapeutica si potrebbe ottenere una diminuzione fino al 9% dei costi sanitari annuali totali.
Nuove tecnologie per riorganizzare l’assistenza
Il panel “Patologie croniche e territorio: coinvolgimento attivo del paziente e digitalizzazione” ha rappresentato un ulteriore momento di dibattito. Nell’evidenziare come un sistema sanitario digitale e integrato possa migliorare la prossimità al paziente e la presa in cura delle cronicità, la professoressa Cristina Masella (Politecnico di Milano) ha rimarcato il ruolo decisivo delle nuove tecnologie nella riorganizzazione dell’assistenza.
Oggi, infatti, la gestione del paziente cronico sta evolvendo grazie all’integrazione progressiva di strumenti digitali nella pratica clinica e nella farmacia dei servizi. L’approccio è sempre più continuo, personalizzato, con il supporto di tecnologie che rinsaldano, e non sostituiscono, la relazione con il paziente.
A questo proposito, riprende Levantino, «un esempio concreto è il progetto pilota Diabetes-Team, che ha coinvolto pazienti con diabete di tipo 2 non controllato attraverso un programma di messaggi settimanali personalizzati e interattivi, supervisionati dai farmacisti. Il risultato è stato una riduzione dell’HbA1c (l’emoglobina glicosilata) di almeno 0,5 punti nel 58,3% dei pazienti e il raggiungimento di valori inferiori al 7% in oltre un quarto dei casi».

Ciò dimostra quanto un intervento digitale, se ben progettato e integrato con l’attività professionale del farmacista, possa generare benefici clinici misurabili. “Allo stato attuale possiamo contare su app per il monitoraggio dei sintomi e dell’aderenza terapeutica, promemoria digitali per l’assunzione dei farmaci, piattaforme di farmacovigilanza attiva, e soprattutto sul Fascicolo Sanitario Elettronico, che rappresenta una risorsa strategica per favorire la continuità delle cure e il dialogo tra professionisti. In prospettiva, sarà fondamentale anche l’integrazione dell’intelligenza artificiale, del machine learning e dei real world data, che potrà aprire nuove strade per una gestione sempre più personalizzata e predittiva delle cronicità», conclude il segretario Fenagifar.
 
             
		