Sono diminuite nel corso dell’ultimo decennio le nuove diagnosi di Hiv (virus dell’immunodeficienza umana), a fronte invece della maggiore rilevazione di diagnosi tardive: oltre 2/3 riscontrate in presenza di sintomi dell’infezione già in atto o con patologie correlate che espongono al maggiore e più rapido rischio di evoluzione verso l’Aids (sindrome da immunodeficienza acquisita) conclamato. In 8 casi su 10 la diagnosi di malattia segue a 6 mesi di distanza la scoperta di positività per Hiv.

Sono i dati dell’ultimo Report dell’Istituto Superiore di Sanità che richiamano l’attenzione ad agire sul fenomeno, attraverso l’uso adeguato di terapie avanzate che consentono la cronicizzazione dell’infezione da Hiv e interventi di (in)formazione sulle figure professionali dedicate (infettivologi e medici di famiglia), sulle istituzioni e sul territorio.

Da un lato le terapie

L’attenzione deve estendersi oltre le singole manifestazioni della malattia, controllabili con terapie di maggiore efficacia, prendendo in carico la globalità delle condizioni cui l’infezione stessa espone e/o eventuali altre comorbidità. «Le terapie antiretrovirali di cui oggi disponiamo, efficaci e ben tollerate – dichiara il professor Marco Borderi, infettivologo SIMIT (Società Italiana di malattie Infettive e Tropicali) – permettono di azzerare la trasmissione dell’infezione da Hiv se il trattamento (U=U) viene eseguito con regolarità. Inoltre, il miglioramento delle terapie ha avvantaggiato anche il controllo di altri aspetti correlati all’Hiv: l’invecchiamento, la gestione delle comorbidità legate all’età e le terapie correlate senza che queste interferiscano con l’efficacia dei farmaci antiretrovirale. Tali necessità implicano un approccio multidisciplinare complesso al paziente e una adeguata formazione delle differenti figure professionali coinvolte nella gestione della malattia e della persona, di cui va rispettata e migliorata la qualità della vita. Aspetti e informazione ancora scarsi presso la gran parte dell’opinione pubblica».

L’approccio terapeutico può essere tuttavia limitato e/o condizionato da diversi fattori: diagnosi tardive e quindi anche di terapie tardive con il rischio che l’infezione possa essere trasmessa, involontariamente, dalla persona portatrice al partner, una scorretta percezione presso la popolazione/opinione pubblica del rischio Hiv associato al passato e/o problema relegato solo ad alcuni gruppi di popolazione. Barriere che possono essere abbattute da campagne di sensibilizzazione sulle nuove disponibilità diagnostico-terapeutiche e da iniziative che favoriscano la migliore informazione sulle Infezioni Sessualmente Trasmesse, a partire proprio dall’HIV e dai giovani.

Dall’altro la legge

Gli esperti chiedono la riforma della legge 135/90 che dovrebbe arrivare, con la nuova legislatura entro la fine del mese, calendarizzata in Commissione Affari Sociali secondo il dichiarato dell’On. Mauro D’Attis, già primo firmatario della pdl. Legge i cui punti salienti includono: il contrasto dello stigma sociale, l’accesso omogeneo alle cure, compreso alle terapie innovative, tenuto conto anche dei nuovi strumenti di diagnosi e dei più efficaci approcci alla prevenzione, l’assoluta garanzia alla riservatezza, la specializzazione nell’approccio terapeutico, l’educazione sanitaria in favore dei più giovani.

Parallelamente si intende favorire l’informazione e l’aggiornamento professionale del personale dedicato, la ricerca, la sorveglianza epidemiologica e il volontariato, l’adeguamento dei reparti di malattie infettive, il potenziamento dei servizi territoriali, il rafforzamento delle funzioni dell’Istituto Superiore di Sanità in materia di sorveglianza, raccolta di dati epidemiologici e presidio di nuove emergenze infettive.