Si stima che siano oltre 200 mila gli italiani con infezione da Hcv (epatite C) non diagnosticata. Numeri che allontanano il nostro paese dall’obiettivo indicato dall’OMS di eradicazione totale dell’infezione entro il 2050, ma che sottolineano dall’altro il valore di progetti di educazione e sensibilizzazione come Hand (Hepatitis in Addiction Network Delivery), giunto alla quinta edizione.

L’iniziativa è da sempre patrocinata dalle società scientifiche quali SIMIT (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali), FeDerSerD (Federazione Italiana degli Operatori dei Dipartimenti e dei Servizi delle Dipendenze), SIPaD (Società Italiana Patologie da Dipendenza)e SITD (Società Italiana TossicoDipendenze) ed è nata con l’obiettivo di sensibilizzare anticipare la fase di screening dell’Hcv nella popolazione Pwid (People Who Inject Drugs) e in tutta l’utenza a rischio afferente ai Ser.D. Oggi questa opportunità vive un momento di stallo e gli esperti esprimono preoccupazione.

Un progetto che viaggia a diverse velocità

Lo Stato italiano ha stanziato un finanziamento di 71,5 milioni di euro per procedere allo screening dell’Hcv nella popolazione nata tra il 1969 e il 1989, oltre che in tutti i tossicodipendenti e detenuti nei Ser.D. e nelle carceri. In queste sedi il progetto Hand sembra procedere secondo gli intenti, soffre invece battute di rallentamento sul territorio, fra la popolazione generale e in gran parte delle Regioni.

Si auspica un “recupero” in termini di sommerso e di mancata intercettazione dalle tappe itineranti di Hand che nel corso dell’anno toccherà diverse città da Nord a Sud del Paese: Vicenza, Milano, Lecce, Torino e Roma, sostenuto anche un iter istituzionale importante che ha consolidato il Fondo nazionale per lo screening gratuito e le delibere attuative regionali.

Eppure manca ancora una “cultura” all’informazione e al recepimento dell’offerta di servizi per le dipendenze o comunque per il sistema di screening, diagnosi e cura dell’Hcv che progetti come Hand possono contribuire e seminare. «È fondamentale che ci siano queste tipi di iniziative – spiega Massimo Andreoni, direttore scientifico di SIMIT e professore emerito di Malattie Infettive dell’Università di Roma Tor Vergata – proprio perché, nonostante la disponibilità di screening gratuito, questa strada non viene percorsa. L’epatite C è una malattia estremamente subdola che può portare alla cirrosi epatica, all’epatocarcinoma, al trapianto di fegato, fino al decesso. In Italia abbiamo curato più di 200 mila soggetti, il 98% è guarito ed ha eradicato completamente l’infezione grazie ad armi fortissime. Oggi la cura dell’epatite C richiede solo due o tre mesi di terapia con poche comprese al giorno».

I gap

Partita bene, in linea con gli obiettivi stabiliti dall’OMS e tra i Paesi più virtuosi per l’esecuzione di screening e trattamenti efficaci di facile e libero accesso a farmaci a ogni persona positiva per l’infezione, l’Italia rischia ora di rimanere un passo indietro. «Per qualche ragione, la fluidità del processo – dichiara Andreoni- si è rallentata e per favorirne un nuovo impulso stiamo chiedendo una proroga per lo screening fino al 2025 e un allargamento della fascia di età sulla popolazione, estendendo lo screening anche ai soggetti nati tra il 1948 e il 1968».

Soprattutto è necessario che vengano attuati tutti i piani di screening regionali in maniera eterogenea, a tutt’ora avviati con modalità diverse: solo parzialmente in alcune Regioni, con linkage to care ai diversi centri in altri territori, con il risultato che il programma non si è avviato uniformemente ed efficacemente in tutto il Paese.

Come ri-mettere in moto il progetto Hand

Sono almeno 2 le azioni da avviare: la prima, coinvolgendo anche il personale infermieristico e tutti gli operatori sanitari in una partecipazione corale alla sfida, da vincere, del 2050 e in relazione al contesto italiano che, a livello europeo ha la più alta endemia dell’epatite C.

La seconda, inserendo questo specifico screening negli obiettivi aziendali dei Direttori Generali degli ospedali, ovvero offrendo a soggetti candidabili che accedono alla struttura il test per l’Hvc; iniziativa e che si è dimostrata efficace laddove applicata. «Ritengo che l’ottenimento di una percentuale significativa di persone screenate per l’epatite C all’interno dei propri ospedali – conclude il professore – sarebbe davvero un bell’incentivo per i Direttori Generali».