L’Alzheimer e le demenze interessano nel nostro Paese circa 2 milioni di persone con dati in costante crescita anche a causa del progressivo invecchiamento della popolazione. In occasione della Giornata Mondiale dell’Alzheimer, che si celebra il 21 settembre, due rapporti hanno indagato la percezione e il vissuto di pazienti e caregiver, mostrando uno scenario non esattamente incoraggiante.

Le evidenze del rapporto globale su “Cambiamenti globali negli atteggiamenti verso la demenza”

Il rapporto, curato da Alzheimer’s Disease International e Federazione Alzheimer Italia rappresenta la più vasta indagine mai condotta al mondo sulle convinzioni, i comportamenti e gli atteggiamenti nei confronti della demenza.

La survey, che ha coinvolto 40mila intervistati tra persone con demenza, caregiver, personale sanitario e assistenza e pubblico in generale provenienti da 166 Paesi ha analizzato i cambiamenti rilevati rispetto alla prima rilevazione effettuata nel 2019.

In crescita la discriminazione e opinioni scorrette sulla demenza

Dai dati, analizzati dalla London School of Economics and Political Science (LSE), è emerso che l’80% dell’opinione pubblica a livello globale ritiene la demenza una componente normale dell’invecchiamento piuttosto che una condizione medica, dato questo in forte aumento rispetto al 66% del 2019. Ancor più preoccupante il fatto che a essere dello stesso avviso siano il 65% degli operatori sanitari e assistenziali (+3% rispetto al 2019).

Ancora, il report mette in luce una allarmante crescita delle discriminazioni nei confronti delle persone con demenza, subite dall’88% degli intervistati, con il risultato che il 31% evita situazioni sociali mentre il 47% dei caregiver ha smesso di accettare gli inviti di parenti e amici.

A preoccupare in particolare sono lo stigma – che porta a isolamento sociale, un fattore di rischio che può concorrere al peggioramento dei sintomi e, più in generale, della salute mentale di pazienti e caregiver – ma anche le opinioni scorrette degli operatori sanitari che rischiano di ritardare la diagnosi e l’accesso al trattamento, all’assistenza e al supporto adeguati.

Il rapporto evidenzia anche elementi positivi, ossia una accresciuta sicurezza nello sfidare stigma e discriminazione rispetto al 2019, una maggiore consapevolezza di quanto lo stile di vita incida sul rischio di malattia piuttosto che l’importanza di una diagnosi medica.

Il progetto Dementia Friendly Italia per combattere lo stigma

«È giusto sottolineare anche questi aspetti incoraggianti – ha sostenuto Katia Pinto, Presidente della Federazione Alzheimer – La vita di una persona non finisce con la diagnosi di demenza, ed è confortante sapere che questa affermazione è sempre più condivisa.

La Federazione Alzheimer ha avviato il progetto Dementia Friendly Italia per combattere lo stigma e costruire una società in cui le persone con demenza e le loro famiglie possano sentirsi sempre accolte e comprese. Continueremo su questa strada, ma serve l’impegno di tutti: governi, istituzioni, professionisti sanitari, semplici cittadini. Solo così potremo abbattere il muro di vergogna ed errate conoscenze che ancora troppo spesso impedisce alle persone con demenza di ricevere un’assistenza adeguata e completa e di vivere una vita piena e dignitosa».

I risultati del rapporto Censis-Aima sulla condizione dei pazienti con Alzheimer nel post Covid

A 25 anni dalla prima ricerca condotta da Censis-Aima sulle persone con malattia di Alzheimer, la nuova indagine, realizzata con il contributo non condizionante di Roche Spa dal titolo “L’impatto economico e sociale della malattia di Alzheimer dopo la pandemia da Covid-19”, ha confermato un quadro di solitudine e abbandono.

La solitudine dei caregiver

Nell’assistenza alle persone con Alzheimer, la famiglia è sempre stata il perno centrale. Dall’indagine è emersa, tuttavia, una maggiore solitudine dei caregiver: 1 su 5 (in crescita rispetto alle precedenti rilevazioni) ha riferito di non ricevere alcun aiuto e si è abbassata anche la quota di chi può contare sull’aiuto di altri familiari.

Il ricorso alla badante coinvolge il 41,1% delle famiglie, in linea con le precedenti rilevazioni, ma si è invertita la proporzione tra badanti conviventi e badanti non conviventi, in favore di questi ultimi. Altresì, dopo la pandemia non è stata riscontrata alcuna variazione nell’offerta di servizi per le persone con Alzheimer, giudicata anzi peggiorata dal 29,8% degli intervistati.

Costi economici dei soggetti con Alzheimer e divario dei servizi offerti tra Nord e Sud

La survey ha rivelato un aumento dei costi economici e sociali della malattia, con un costo complessivo per paziente che ha raggiunto i 72mila euro e perduranti divari Nord-Sud per quanto riguarda l’offerta di servizi sanitari.

Negli anni i tempi per diagnosticare la malattia sono variati di poco, aumentando negli ultimi anni: da una media di 1,8 anni nel 2015 si è passati a 2,0 anni nel 2023.

I soggetti con disturbo cognitivo lieve e la speranza nei farmaci innovativi

Oltre alla situazione delle persone con Alzheimer, in prevalenza donne (62,2% pazienti e oltre 70% caregiver) il rapporto ha indagato anche le condizioni delle persone con un disturbo lieve (Mci). Si tratta di pazienti abbastanza giovani (l’età media è di 71 anni, il 45,1% del campione ha meno di 70 anni).

In questi casi, il rapporto con i servizi assistenziali risulta praticamente inesistente e il supporto psicologico fornito dal SSN appare largamente insufficiente per molti tra gli intervistati. Eppure, il 68,5% ha denunciato la presenza di difficoltà nella propria quotidianità e quasi 2 pazienti su 3 hanno indicato di aver bisogno di una qualche forma di sostegno.

I trattamenti per persone con Mci

Per quanto riguarda i trattamenti di questi soggetti, al 54,4% è stato consigliato un percorso basato su stile di vita e terapie non farmacologiche, mentre il 41,2% è entrato a far parte di un protocollo sperimentale e il 38,2% assume farmaci per il trattamento dell’Mci.

La paura dominante nella quasi totalità di questi pazienti è relativa al peggioramento della propria condizione; al contempo, l’88,2% ripone le proprie speranze nella disponibilità di terapie farmacologiche efficaci.

Nonostante l’impegno, la condizione delle famiglie con Alzheimer resta drammatica

«È grande l’amarezza nel constatare che la condizione delle famiglie colpite dalla malattia di Alzheimer continua a essere drammatica» ha dichiarato Patrizia Spadin, Presidente di Aima. «Ancora una volta il Paese si è arenato sui “pannicelli caldi”. Politica e istituzioni non riescono a intervenire adeguatamente nonostante gli incessanti appelli che Aima, in 40 anni di pressante attività, ha continuato a lanciare.

La preoccupazione aumenta di fronte a una vasta platea di persone con deterioramento cognitivo lieve (Mci) che vanno individuate, valutate e prese in carico. Il nostro sistema di servizi non ha né personale, né spazi temporali e fisici, per accogliere altri pazienti. La politica si trincera dietro le solite scuse, le istituzioni divagano e traccheggiano, le famiglie sono sole. Eppure, la ricerca ci ha condotto a un passo dal futuro: chissà quando riusciremo a fare questo passo».

«Nonostante gli innegabili progressi nella conoscenza della malattia e della ricerca di questi 25 anni, quel che colpisce è la sostanziale staticità della condizione dei pazienti e dei loro caregiver: i 2 anni per arrivare alla diagnosi, le difficoltà ad avere un punto di ricevimento unico e costante nelle cure, l’accesso limitato ai farmaci, la carenza storica di servizi di assistenza a domicilio e sul territorio, la crescente solitudine dei caregiver» ha sottolineato Ketty Vaccaro, Responsabile Ricerca biomedica e Salute del Censis.

«È poi emersa la complessità della condizione delle persone che già sperimentano un disturbo cognitivo e che vivono nella costante paura di un peggioramento, e che hanno nei nuovi farmaci, che dovrebbero essere presto disponibili, l’unica speranza concreta».