Ci confrontiamo con la carenza di farmaci già da qualche anno. Fenomeni del tutto imprevedibili come la pandemia, le guerre e la crisi internazionale hanno determinato carenza di materie prime da Cina e India e di altri materiali accessori che vengono lavorati principalmente nei Paesi Est Europei.

Problemi produttivi e forniture discontinue sono alla base della carenza, ma da anni sperimentiamo anche gli effetti di un fenomeno sempre più evidente e ormai cronico, quello dell’esportazione parallela dei farmaci in altri Paesi della comunità europea dove i prezzi sono più alti e i mercati più redditizi. Questa applicazione del principio di libera circolazione della merce ha avuto come conseguenza negativa le limitazioni del numero di confezioni immesse nel mercato italiano portando disagi ai cittadini. Una situazione di allerta ben nota in farmacia: dall’“emergenza Covid” in poi abbiamo gestito carenze di farmaci ad alto impatto emotivo.

Un problema spinoso

Sono stati carenti farmaci come ibuprofene, paracetamolo, amoxicillina e acido clavulanico e, nella maggior parte dei casi, siamo riusciti a sostituirli con farmaci altrettanto efficaci oppure con la preparazione galenica.

Un caso recente di carenza ha fatto particolare clamore a livello mediatico, vedendo coinvolto un noto personaggio dello spettacolo: mi riferisco al farmaco a base di enzimi pancreatici che manca da qualche mese nelle nostre farmacie e del quale non esiste un analogo sul mercato italiano. Per sopperire in parte al problema, l’azienda ha aperto un canale diretto con le farmacie per permetterne l’approvvigionamento alla fonte. Tuttavia, si stanno intensificando le segnalazioni da parte dei pazienti, preoccupati del perdurare dell’assenza fino al 2025.

Questo episodio ci mette di fronte a tutti gli effetti collaterali, anche mediatici, causati dalla mancanza di farmaci. Inoltre, ci deve far riflettere sulla gestione futura di un tema spinoso che, a mio avviso, dovrebbe prevedere una strategia di distribuzione del medicinale che tenga conto del numero di pazienti in terapia e della loro geolocalizzazione sul territorio nazionale, dando voce ai medici e soprattutto alle associazioni dei pazienti che possono risultare preziose perché conoscono i numeri reali del problema.

Le farmacie potranno dare un contributo importante dalla loro postazione privilegiata sul territorio, prendendosi cura dei pazienti che si vedono negato il farmaco salvavita e sono legittimamente in ansia, convincendoli a non fare scorte e assumere la minima dose efficace solo se strettamente necessario.

Credo che sia questo il profondo significato della presa in carico di un paziente: le farmacie sono al fianco del cittadino, non soltanto quando il farmaco è disponibile ed è tutto più semplice, ma soprattutto quando non c’è, offrendogli un aiuto concreto e un sostegno morale nel momento di difficoltà.