L’efficacia della disciplina cui sono sottoposti i claim dei cosmetici, il Regolamento 655/2013, è stata oggetto di verifica attraverso un’indagine della Commissione europea, che ha raccolto dati sulla correttezza delle dichiarazioni di prodotto da tutti gli Stati Membri. Nella propria relazione, la Commissione rileva una sostanziale adesione ai sei criteri per valutare la correttezza dei claim individuati dal Regolamento 655.
Riscontra tuttavia anche alcune criticità, che riguardano soprattutto il supporto probatorio che i claim devono avere, non sempre considerato sufficiente, quindi con violazioni del terzo criterio del Regolamento. Inoltre è stato giudicato non sempre corretto l’uso delle dichiarazioni “ipoallergenico” e “senza”, quest’ultima relativa a uno o più ingredienti autorizzati (es. senza alcol, senza conservanti ecc.). Abbiamo chiesto all’avvocato Sonia Selletti, dello Studio Legale Astolfi e Associati di Milano, un commento sull’applicazione del Regolamento 655 e sugli aspetti controversi delle aggettivazioni “ipoallergenico” e “senza”.
Qual è l’importanza del Regolamento 655/2013 per il mercato dei cosmetici?
Per quanto ispirato a principi già rinvenibili nella precedente normativa sulla comunicazione commerciale e nei codici nazionali dell’autodisciplina pubblicitaria, il Regolamento 655/2013, nell’averli ribaditi in forma di criteri comuni in un atto legislativo che si applica in tutti gli Stati membri, ha posto un richiamo forte sull’importanza dei principi di correttezza e comunicazione responsabile nell’informazione al consumatore, che allo stesso tempo soddisfa l’etica e promuove lo sviluppo del mercato. La Relazione della Commissione ha in effetti riscontrato una significativa adesione al disposto del Regolamento, pari a oltre il 90%. Un dato molto positivo, a conferma che il Regolamento è stato utile e che è stato correttamente applicato dalle aziende. Ciò si traduce in un elemento di qualità delle informazioni che vengono veicolate.
Le dichiarazioni del tipo “senza” e “ipoallergenico”, molto presenti sui cosmetici venduti in farmacia, sono però risultate problematiche…
I claim “ipoallergenico” e “senza” o “free of” (ad esempio: senza alcol, senza parabeni, senza glutine ecc.) restano controversi, ma sono sovente utilizzati perché c’è una domanda crescente da parte del consumatore di avere questo tipo di informazione. Questi claim da una parte hanno valore in termini di finalità informativa, un aspetto questo che è stato riconosciuto anche dalla giurisprudenza, che in Italia conta diverse pronunce sia del TAR sia dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria in cui si afferma che tali dichiarazioni forniscono informazioni utili al consumatore per compiere scelte informate, con risultati positivi per le aziende in merito all’ammissibilità di queste dichiarazioni. Ad esempio il claim “senza glutine” è stato giudicato ammissibile.
Dall’altro lato esiste la possibilità che queste dichiarazioni siano utilizzate per vantare una sorta di superiorità del prodotto rispetto ad altri che contengono l’ingrediente in questione, il che può risultare più controverso e anche eventualmente scorretto se l’ingrediente in questione è ammesso nell’uso cosmetico e soprattutto se vi sono elementi che comprovano il suo uso sicuro e consolidato.
La Commissione sta lavorando a una linea guida per l’uso di questi claim: ci sono novità in tal senso?
La Commissione ha prodotto due documenti ma, per ora, non si conosce se e in quale forma verranno adottati. Si tratta infatti di una materia difficile da disciplinare, perché la valutazione circa la correttezza dell’uso di questi claim può avvenire solo caso per caso.
Quando l’uso di tali dichiarazioni è da considerare scorretto?
Le aziende devono porre particolare attenzione a come questi claim sono spesi nell’equilibrio della comunicazione, affinché risultino in chiave di pura informazione e senza accezioni denigratorie, oltre che veritieri. Ad esempio “senza alcol” implica che il prodotto non contenga alcuna forma d’alcol, neanche il profumo. Inoltre, le informazioni devono essere precise, senza mettere in luce elementi di pericolosità della sostanza esclusa per scelta aziendale.
“Senza conservanti” deve effettivamente corrispondere all’assenza di qualsiasi tipo di sostanza classificata come conservante; se è uno specifico conservante a essere escluso, bisogna fare attenzione a non essere ingannevoli, ad esempio lasciando intendere che l’assenza di uno specifico conservante implichi una formulazione totalmente priva di sostanze con effetti conservanti. Sono i casi più controversi.
Emblematico è il claim “senza parabeni”, che molti in Europa considerano in sé scorretto. L’indice di rischio per questo claim è molto alto, perché potrebbe sottendere una denigrazione implicita a una sostanza specifica, va quindi gestito in un contesto più ampio di informazioni.
Trovare il giusto equilibrio non è facile, tuttavia la giurisprudenza aiuta molto: l’analisi della casistica, infatti, permette di fare un bilancio piuttosto preciso dei rischi, a supporto delle scelte delle aziende che vogliono usare il claim “senza”, anche in assenza della linea guida.