Covid-19: qualche punto fermo sulla pandemia

Il quadro della situazione su Covid-19: origine, caratteristiche e prospettive di una pandemia che sta mettendo a rischio la salute pubblica  su più fronti

I Coronavirus sono una famiglia di microorganismi comuni a molte specie animali, alcuni dei quali hanno già fatto il salto di specie (spill over) e infettato l’uomo. Oltre al Sars-CoV-2, ricordiamo il virus della Sars (che presenta con la new entry numerose analogie, sancite anche nella nomenclatura), della Mers e di alcune forme di raffreddore. Il nuovo Coronavirus, responsabile del Covid-19, è stato identificato per la prima volta a Wuhan (Cina) nel dicembre 2019, dopo l’osservazione da parte dei medici degli ospedali locali di casi di polmonite atipica. La capacità di questo microorganismo di diffondersi rapidamente in tutti i continenti, mettendo in ginocchio i sistemi sanitari dei Paesi colpiti, ha imposto alle istituzioni sanitarie il monitoraggio continuo della situazione globale e successive decisioni a tutela della salute pubblica. Dopo l’annuncio dell’emergenza internazionale da parte dell’Organizzazione mondiale della Sanità, che risale al 30 gennaio 2020, l’11 marzo il direttore generale Ghebreyesus ha dichiarato la pandemia. Benché inizialmente la situazione, ancorché composta da tanti focolai disseminati, sembrava poter essere controllata nei singoli Paesi, nel breve volgere di qualche settimana le misure di controllo adottate sono apparse insufficienti o inefficaci.

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Le autorità hanno disposto la quarantena con sorveglianza attiva per le persone che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di Covid-19 e per tutti coloro che rientrano da un viaggio nella aree a rischio, da mantere per 14 giorni

L’origine del nuovo Coronavirus

Le alterazioni degli ecosistemi naturali modificano gli equilibri e acuiscono le possibilità dei microorganismi di effettuare lo spill over. Il Covid-19 non è che l’ennesima zoonosi comparsa sulla Terra negli ultimi anni. A precederla, il morbo di Creutzfeldt Jacob, Zika, Ebola, le stesse Sars e Mers e molte altre. Per quanto riguarda il nuovo Coronavirus, l’ipotesi, sostenuta anche da una pubblicazione apparsa su The Lancet lo scorso febbraio, è quella di una filogenesi che parte dal pipistrello e arriva all’uomo, con un passaggio intermedio in un mammifero. Il pipistrello è un serbatoio naturale per molti virus: il suo particolare sistema immunitario gli consente di essere infettato senza sviluppare la malattia. Malgrado a oggi non sia stata dimostrata la possibilità di acquisire la malattia dagli animali da compagnia, la raccomandazione è quella di osservare la massima igiene dopo il contatto con essi. Per quanto riguarda le carni importate in UE e destinate all’alimentazione, queste sono sicure perché seguono percorsi controllati.

Il Sars-CoV-2 è un virus altamente contagioso, con tasso di riproduzione di base Ro (definito come il numero medio di casi secondari prodotti da un’infezione primaria in una popolazione interamente suscettibile) pari circa a 2: ogni persona infettata ne infetta a sua volta altre due. Il suo potenziale diffusivo è massimizzato dall’elevata suscettibilità, dovuta alla completa assenza di immunizzazione nei confronti dei suoi antigeni nella popolazione. Dai primi comunicati su questa epidemia si sono spese parole e numeri sul suo tasso di letalità che, a oggi, assume ancora valori non definitivi, in costante aggiornamento. I tempi relativamente stretti sui quali ci troviamo a ragionare, l’esigua disponibilità di dati e l’impossibilità di conoscere l’esatto numero di persone infettate non consentono di stabilire, infatti, in maniera certa e precisa, i valori dei parametri epidemiologici. Nella continua evoluzione del quadro, qualche punto fermo. Come ampiamente espresso dai numeri prodotti finora dall’epidemia, la letalità del Sars-CoV-2 aumenta in specifiche popolazioni, per raggiungere il suo massimo nella fascia di età superiore agli 80 anni e nelle persone già colpite da patologie cardiovascolari, da diabete, da ipertensione e da malattie respiratorie croniche. La recettività dell’ospite nei confronti del microorganismo (suscettibilità) è alta in una popolazione priva di difese immunitarie dirette contro di esso, un assetto che tipicamente si realizza con i nuovi patogeni. Alta suscettibilità e relativamente bassa letalità portano ad ampia diffusione. Malattie come Ebola, drammaticamente più mortali, uccidono l’ospite prima che questi possa diffondere il contagio.

Come avviene la trasmissione

Il periodo di incubazione di Covid-19 è stimato intorno ai 5 giorni, ma l’intervallo ritenuto probabile oscilla fra i 2 e i 14 giorni. La sua trasmissione avviene per contatto stretto attraverso lo scambio di secrezioni respiratorie contenute nelle goccioline di saliva emesse durante i colpi di tosse e gli starnuti. Poiché il contagio può realizzarsi anche tramite il contatto con le mani, se queste sono state portate alla bocca, le norme di prevenzione impongono di tenere le mani il più possibile lontane dal viso e di lavarle frequentemente. Sulla base delle informazioni finora ottenute, sembra che il virus sopravviva sulle superfici per qualche ora. La detersione con disinfettanti a base di etanolo (al 75%) o cloro (all’1%) permette di neutralizzarlo. La trasmissione oro-fecale non è stata dimostrata, ma non può essere esclusa: pertanto, la raccomandazione a seguire norme di igiene quali lavarsi le mani prima della preparazione dei cibi e dopo essere stati alla toilette e usare taglieri diversi per alimenti cotti e alimenti crudi è sempre valida. I giovani fino ai 19 anni sono la popolazione meno colpita dalla malattia. Una possibile ipotesi fa riferimento alla presunta immunizzazione nei confronti di altri Coronavirus responsabili di forme di raffreddamento legata all’acquisizione durante la vita di comunità. L’aspetto più problematico di questo fenomeno sarebbe la possibilità dei giovani di diffondere il contagio con grande efficienza.

La sintomatologia della Covid-19

I sintomi più comuni della malattia da Sars-CoV-2 compaiono gradualmente e sono febbre, tosse secca e stanchezza. Alcuni pazienti possono manifestare sintomi quali disturbi articolari, congestione nasale, dolore di gola o diarrea. Una delle osservazioni più frequenti è quella della congiuntivite, piuttosto comune, per la verità, a molte infezioni virali. Nell’80% dei casi l’infezione è asintomatica, paucisintomatica o caratterizzata da sintomi simili a quelli dell’influenza. Nel 20% dei pazienti, tuttavia, con il trascorrere delle ore compaiono difficoltà respiratorie. Queste, insieme alla febbre, sono il sintomo che deve orientare verso il consulto medico e che richiede, in qualche caso, l’assistenza respiratoria in terapia intensiva. In un caso su 6 la malattia si complica, infatti, in polmonite interstiziale bilaterale, evenienza che mette a rischio la vita del paziente. Per evitare la contaminazione di ambienti e personale sanitario, in presenza di sintomi che destano attenzione occorre contattare i numeri verdi messi a disposizione dalla Regioni (o i numeri 112 e 118 in caso di emergenza) e informarsi sulle modalità con cui accedere all’assistenza sanitaria.

Guida Covid-19

Positività e malattia

La diagnosi della positività all’infezione da Sars-CoV-2 viene effettuata attraverso l’esecuzione del tampone nasale. Il campione delle secrezioni nasali, prelevato mediante il kit finora messo a disposizione dalle sole strutture ospedaliere riconosciute come laboratori di riferimento regionale, viene processato al fine di individuare e amplificare le sequenze virali. Perché la diagnosi di positività possa essere confermata e, quindi, contribuire ad alimentare le statistiche internazionali, deve costituire un dato riproducibile. A questo scopo, necessita della validazione da parte dell’Istituto Superiore di Sanità. La positività non coincide con la malattia, della quale esistono numerosi individui portatori sani. Così come la negatività del tampone non indica che la persona non ha contratto l’infezione in un periodo precedente: per dimostrare o escludere l’avvenuto contagio occorre effettuare il dosaggio degli anticorpi nel sangue. La scansione temporale della sintesi anticorpale può essere effettuata sulla base della presenza di IgG (indice di un’infezione pregressa) o IgM (testimoni di un contatto recente con il virus).

Antivirali: per ora l’unica risorsa

La corsa al vaccino è partita da tempo. Contrariamente alle aspettative, non sono molti i big della farmaceutica che hanno ingaggiato questa sfida contro Covid-19. La prima azienda ad avere ottenuto un candidato vaccino è Moderna, una biotech company statunitense, che ha raggiunto il risultato in soli 42 giorni. In ogni caso, saranno necessari almeno 12-18 mesi per i test di valutazione di efficacia e sicurezza. In attesa dello sviluppo di un vaccino, le risorse farmacologiche contro il nuovo Coronavirus sono limitate ad antivirali aspecifici attivi su diversi meccanismi di funzionamento comuni a molti virus. In particolare, sembra avere una certa efficacia il Remdesivir, molecola sviluppata a suo tempo per Ebola, che ostacola la replicazione intracellulare del virus e non è responsabile di reazioni avverse rilevanti. Il Remdesivir è oggetto di un trial clinico condotto dall’azienda produttrice Gilead Science, che dovrebbe fornire i primi risultati nei prossimi mesi. Attualmente, nei Paesi come l’Italia, nei quali è impiegato al di fuori dei trials clinici, viene fornito per uso compassionevole.

Stando alle ultime notizie, l’Italia dovrebbe partecipare ai due studi di fase 3 della sperimentazione di Gilead. I test italiani coinvolgeranno sicuramente l’ospedale Sacco di Milano, il policlinico San Matteo di Pavia, l’Azienda ospedaliera di Padova, l’Azienda ospedaliera universitaria di Parma e l’istituto Spallanzani di Roma. Inoltre, i centri di riferimento regionali stanno cercando di individuare, in collaborazione con Aifa, altre strutture sanitarie che potrebbero partecipare a queste valutazioni. Il Remdesivir è molto promettente: secondo Massimo Galli, direttore della Divisione clinica di malattie infettive AO-Polo universitario Luigi Sacco di Milano, «è uno dei pochi farmaci per cui esiste un’evidenza sperimentale di possibile efficacia, almeno in modelli di laboratorio, nei confronti dei Coronavirus, per sperimentazioni fatte sul virus della Mers». Prosegue Galli affermando che «Nei pazienti affetti da SarsCoV-2 non è facile determinare il grado di efficacia in un contesto di uso compassionevole e, quindi, sarà estremamente importante disporre dei dati di protocolli di sperimentazione clinica che si stanno avviando in queste ore». Impiegata, anche se pare con minori successi, l’associazione di Lopinavir e Ritonavir, due antivirali usati per il trattamento dell’Aids. È fresca di qualche giorno la notizia di uno studio in atto presso l’Istituto Nazionale dei Tumori IRCCS.

 

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