L’emicrania è una patologia di genere, con importanti differenze in termine di risposta al dolore, sia cronico sia in condizioni di normalità attestato da studi di letteratura sull’uomo e sull’animale, così come diversa è la reazione agli stimoli dolorosi. Al pari anche l’accesso alle cure e l’efficacia di un trattamento sono condizionati dal genere, da variabili psicosociali, economiche e di educazione/formazione. È quanto emerge dal Convegno “Tutta cuore e cervello” (Milano, 20 Aprile 2023), organizzato dalla Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano.

I meccanismi del dolore

Ormoni, sistema nervoso vegetativo connesso con la percezione e processazione del dolore, infiammazione e meccanismi di neuroinfiammazione responsabili della cronicizzazione del dolore, influenze psico-sociali sono alcuni dei fattori che impattano in maniera sensibile sulla reazione e risposta al dolore, con differenze tra sessi e generi.

«Studi su modelli animali – dichiara Grazia Devigli, neurologa, presso SC Neurologia I Malattia di Parkinson e Disturbi del Movimento del Besta – hanno dimostrato una riduzione della soglia dolorifica nel genere femminile che condiziona l’esperienza e le strategie di risposta al dolore emicranico, come anche verso altre sintomatologie più tipicamente femminili tra cui dolore muscoloscheletrico, colon irritabile, alcune forme di dolore neuropatico.

Test psicofisici che richiedono la collaborazione del paziente e l’applicazione di alcune fonti e strumenti di stimolazione (quali il caldo, impiegato come stimolo test e il freddo come stimolo condizionante, o i filamenti che danno una stimolazione meccanica molto leggera, utilizzati sia in maniera crescente per determinare la soglia del dolore o dinamica, ovvero in maniera ripetuta per valutare la sommazione temporale dello stimolo e meglio disegnare il profilo sensoriale del dolore), evidenziano una pain tolerance inferiore nella donna: iperalgesia, allodinia, la percezione del dolore sono percepiti più intensi rispetto all’uomo».

Complici alcuni meccanismi biologici correlati agli ormoni dove, ad esempio il testosterone ha un effetto antinocicettivo con azione inibitoria sul dolore all’opposto dell’estradiolo che determina a livello dell’ippocampo una aumentata espressione di questi recettori, la modulazione endogena del sistema inibitorio discendente, la neuroinfiammazione in cui anche le cellule immunitarie hanno un ruolo in alcuni processi di dolore cronico e di sensibilizzazione al dolore. «Le prime differenze di genere – conclude Devigli – iniziano con la pubertà; intorno ai 10-12 anni si evidenzia una ridotta soglia di tolleranza al dolore, un incremento della prevalenza del dolore cronico, senza specifiche differenze sui meccanismi endogeni, fino all’età adulta in cui si ha una specifica caratterizzazione».

I costi dell’emicrania

L’emicrania ha un alto impatto economico e sociale, in cui il burden disease è condizionato dal genere. «Le spese – spiega Rosanna Tarricone, Economista, SDA Bocconi di Milano – sono influenzate dal reddito: gli uomini che percepiscono, a parità di incarico e posizione, emolumenti più elevati delle donne, sostengono spese superiori per prestazioni sanitarie e non sanitarie e riportano maggiori perdite di produttività. Le donne, rispetto agli uomini, hanno sintomatologia più severa, che impatta sensibilmente sulla qualità di vita, peggiore rispetto a quella dell’uomo, valutata sia con scala specifica (Migraine QoL Questionnaire) sia con scala generica (Euroquol 5D5L). Le donne perdono un maggior numero di giornate lavorative e di attività sociale e di vita privata, fanno maggiore presenteismo sul posto di lavoro, con risultati poco o malamente performanti.

La rilevanza clinica e epidemiologica dell’emicrania nella donna è importante, al pari di quella economica e sociale, e mette in luce una disparità di accesso alle cure e di trattamento tra maschi e femmine per una questione di genere. Ad esempio le donne sarebbero le più bisognose di un caregiver, ma non se lo possono permettere sia in termini di spesa sia per il ruolo multitasking che le chiama ad essere loro stesse caregiver famigliari».

Sono le considerazioni che emergono da uno studio condotto da SDA Bocconi, in collaborazione con neurologi e con pazienti, su un campione di 607 emicranici, adulti, uomini e donne, con un numero medio di almeno 4 attacchi al mese portando a stimare un costo annuale dell’emicrania pari a 4.352 euro per paziente, esclusi i costi Ssn, con cifre pari al doppio nell’uomo rispetto alla donna, non indicative della severità della patologia ma di un “posizionamento” sociale. Tradotto in cifre l’emicrania in Italia ha un impatto annuo di quasi 4.6 miliardi.

«Sono importanti le differenze fra uomini e donne anche per quanto riguarda la disabilità che ricadono ulteriormente sul peso sociale. Se da un lato le donne soffrono di emicrania in misura molto maggiore ed hanno limitazioni in più aree – aggiunge Alberto Raggi, psicologo presso SC Neurologia, Salute Pubblica e Disabilità al Besta – compreso sulla vita famigliare e l’accudimento dei figli, dall’altro l’impatto sul lavoro sembra essere lievemente superiore negli uomini per qualità di lavoro e di tempo lavorativo perso e costo sociale di malattia, fortemente trainato dalle differenze salariali. Esiste tutt’ora uno stigma legato all’emicrania come una malattia tipicamente femminile; se ciò è vero presa in esame la popolazione emicranica (rapporto 1:3-1:4), non si deve ignorare che l’emicrania è la seconda malattia negli uomini di età inferiore ai 50 anni: occorre, dunque imparare a ribaltare lo stigma dell’emicrania, parlandone in maniera corretta e facendosi curare in maniera corretta».

Profilassi dell’emicrania

I pazienti emicranici arrivano spesso tardi alla cura. Uno studio condotto dall’ASST Spedali Civili di Brescia su oltre 700 pazienti dimostra che più della metà giunge alla prima visita senza mai avere fatto uso di una terapia di prevenzione in presenza di una diagnosi di emicrania ad alta frequenza, di forma cronica. «C’è resistenza alla terapia – chiarisce Renata Rao, neurologa presso la struttura bresciana – per un difetto di informazione e di formazione nel considerare l’emicrania come un evento possibile nella storia individuale e non come una malattia, per scarsa fiducia della popolazione nella classe medica e per la preferenza nell’uso di antidolorifici piuttosto che di una terapia di profilassi, lunga e articolato, a volte gravata da scarsa tollerabilità, per il bisogno di essere sempre performanti».

L’attacco emicranico è spesso preceduto da una sintomatologia anticipatoria, e da una possibile fase prodromica di alcuni giorni: manifestandosi nel periodo massima produttività della persona intervenire sul controllo dell’emicrania prima della cronicizzazione diventa prioritario. I mezzi di sono: farmaci e terapie preventive che devono essere scelti in funzione di una frequenza minima di attacchi, dopo un attento colloquio esplicativo con il paziente, la valutazione delle eventuali comorbidità presenti e le preferenze del paziente. Aspetti che di norma, insieme alle differenze di genere, non sono tenuti in debita considerazione, neanche nelle linee guida.

«I farmaci disponibili per la profilassi – prosegue Rao – quali betabloccanti, antiepilettici, antidepressivi, antiantagonisti sono spesso mutuati da altre patologie, utili anche nel controllo dell’emicrania, tuttavia non esenti da effetti collaterali come perdita/aumento di peso, alterazioni della sfera sessuale, difficoltà di concentrazione, in alcuni casi rischio cheratogeno. Un effetto quest’ultimo spesso non considerato, nonostante si abbia a che fare con un’ampia popolazione femminile».

Nel panorama terapeutico si sono affacciati nuovi farmaci: la tossina botulinica, nel 2013, indicata nel trattamento dell’emicrania cronica in prima linea, nel 2018 anticorpi monoclonali personalizzati sull’emicrania con e senza aura, o per la forma cronica, con limitazioni di utilizzo in popolazione refrattaria a precedenti standard of care. In nessun caso, tuttavia, si tiene conto anche del genere. Sono poi alle porte i gepanti, non utilizzabili in prifilassi, e altre terapie sono in arrivo.  «Sarebbe importante – sottolinea Rao – avviare studi di farmacocinetica e farmacodinamica delle molecole per valutare l’impatto di genere in termini di effetti collaterali delle terapie, quali il metabolismo renale o a livello di latri organi, il processo di assorbimento».

Così come andrebbe potenziata la presa in carico e la valutazione multidisciplinare della paziente emicranica da più figure professionali, primo fra tutti il ginecologo: «Il ginecologo ha il privilegio di seguire le donne dall’adolescenza alla menopausa – conclude Lara Tiranini, ginecologa presso U.O.S.D. Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia – e documentando una storia di emicrania nella sua pratica clinica, può contribuire alla comprensione delle periodicità ormonale, a modularne la sensibilità, a identificare le comorbidità ginecologiche legate alle diagnosi di emicrania, secondo il concetto dei pelvic brain, ovvero il coinvolgimento del sistema nervoso centrale in molte sindromi da dolore viscerale cronico».