Dalla diffidenza che spesso incontra il farmaco equivalente, al valore sociale e al risparmio che questa categoria di medicinali può generare. Il punto della situazione con Salvatore Butti, presidente di Assosalute e General Manager e Managing Director di EG Stada Group

Il mercato dei farmaci equivalenti e dei biosimilari nel nostro Paese è in progressiva crescita, anche se le due tipologie di prodotti hanno ricevuto una risposta molto differente. Se i biosimilari, di più recente introduzione, hanno trovato da subito un ampio favore di medici e pazienti, gli equivalenti, introdotti in Italia ormai da un ventennio, si sono a lungo scontrati con pregiudizi e luoghi comuni.

Esiste, dunque, un differente approccio rispetto alle due tipologie di prodotti, equivalenti e biosimilari, che denota una maggiore diffidenza nei confronti dei primi che, al contrario, in altri Paesi europei, detengono ormai la quota maggioritaria del mercato.

«In Italia i farmaci equivalenti sono partiti decisamente in ritardo rispetto ad altri Paesi europei e molto in ritardo rispetto ai Paesi dell’Est Europa – spiega Salvatore Butti, presidente di Assosalute e General Manager e Managing Director di EG Stada Group – È pur vero che sono passati oltre 20 anni dalla loro introduzione e oggi ci troviamo con un’Italia che viaggia a due velocità: un centro Nord in cui l’utilizzo del farmaco equivalente è mediamente in una percentuale quasi doppia rispetto al centro Sud». Una situazione questa, che potrebbe essere determinata da resistenze di carattere culturale o, più probabilmente da abitudini consolidate che si fa fatica a scardinare, anche se, lentamente si stanno abbattendo, su tutto il territorio nazionale, una serie di luoghi comuni. Decisamente diversa, invece, la situazione che riguarda i biosimilari, accolti da subito con favore.

Il valore sociale di questi farmaci

I farmaci equivalenti e biosimilari consentono un ampio margine di risparmio per il sistema sanitario nazionale, liberando risorse che possono essere reinvestite nel sistema o investite nello sviluppo di farmaci innovativi. «I farmaci equivalenti da una parte producono valore sociale, liberando risorse nel nostro sistema sanitario da investire o reinvestire per lo sviluppo di farmaci innovativi. Dall’altra garantiscono un maggiore e migliore accesso alla salute come il nostro sistema sanitario, universalistico, fa con i nostri concittadini».

In tal senso occorre ricordare che la quota di co-payment del farmaco a carico dei cittadini è di circa 1,4-1,5 miliardi di euro l’anno, risorse importanti che potrebbero essere utilizzate per fare prevenzione o per altri scopi.

Risparmio e quote di mercato

Il risparmio prodotto dall’utilizzo di farmaci equivalenti e dei biosimilari è in effetti molto marcata. «Uno degli ultimi studi condotti da Eguaglia ha evidenziato che se non fossero entrati nel mercato i farmaci equivalenti ormai circa 20 anni fa, oggi il nostro sistema sanitario avrebbe necessità di 4 o 5 miliardi di costi in più per garantire lo stesso accesso alla salute – ha rimarcato Butti – Per quanto riguarda i biosimilari, entrati nel mercato più di recente, non esistono ancora stime precise, ma parliamo di risparmi molto importanti. I 4-5 miliardi risparmiati grazie agli equivalenti sono proprio quell’impatto, quel valore sociale del farmaco equivalente che consente di mantenere un altissimo accesso alla salute».

Parlando di quote di mercato, il farmaco equivalente oggi in Italia rappresenta circa il 30%. Questo considerando tutto il mercato retail, cioè tutto quanto passa attraverso la farmacia, che si traduce in circa 400 milioni di confezioni annue di farmaci equivalenti. «Per quanto riguarda i biosimilari, si tratta di dati in continua evoluzione che cambiano in relazione alla scadenza dei patent dei vari originator. Quest’anno ce ne sono un paio almeno, forse anche tre, molto importanti, che entrano a far parte dei biosimilari, con quote molto importanti. Parlare di market-share di tutto il mercato di biotecnologici e biosimilari è oggi prematuro. Sarebbe più opportuno fare un’indagine molecola per molecola».

Campagne di sensibilizzazione e prospettive future

«Ormai da qualche anno, le aziende più rappresentative del farmaco equivalente sono tornate a visitare il medico di medicina generale e alcuni specialisti – spiega Butti – Se il paziente riceve lo stesso tipo di informazioni da parte del proprio medico oltre che dal proprio farmacista, ciò incentiverà un maggiore utilizzo del farmaco equivalente. Per noi è molto importante parlare con tutte le figure professionali e gli operatori sanitari che sono a contatto con il paziente, per fornire loro lo stesso tipo di informazioni ed evitare molti luoghi comuni che creano inevitabilmente sfiducia».

Anche se lentamente, la crescita degli equivalenti appare ormai inarrestabile, anche se lontana da quote di mercato, come quelle di UK e Stati Uniti, che si attestano ad oltre l’80%, e le prospettive future fanno ben sperare in un loro utilizzo crescente. «Noi siamo certamente fiduciosi anche perché, per tutte le ragioni succitate, i farmaci equivalenti e i biosimilari, danno più salute alla salute» conclude.