Generici, la sostituzione orizzontale diminuisce la compliance

Aderenza alla terapia e sostituzione orizzontale dei medicinali equivalenti sono inversamente proporzionali: cioè all’aumentare dello switch da un generico a un altro della stessa molecola, diminuisce l’adesione del paziente alla prescrizione terapeutica. Questi i risultati di uno studio osservazionale retrospettivo sui database amministrativi condotto in 2 Asl lombarde, a Pavia e Bergamo, presentati dall’Osservatorio nazionale sulla salute della donna (Onda).

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“Il farmaco generico si è dimostrato efficace e sicuro quanto l’originatore, aumentando l’aderenza alle terapie: affinché questi risultati vengano ottenuti, è però necessario che, una volta prescritto un farmaco generico, il medico si accerti che non venga sostituito con un farmaco equivalente di diverso produttore”, spiega Alberto Margonato, direttore della divisione di Cardiologia clinica, Irccs Ospedale San Raffaele di Milano. “Infatti”, prosegue Margonato, “è stato dimostrato che la variazione delle caratteristiche della confezione, della forma e del colore delle pastiglie possono inficiare questi risultati. Sì, pertanto, al farmaco generico tutte le volte che è possibile, purché si ponga la massima attenzione alla continuità terapeutica con lo stesso prodotto”.

L’analisi, condotta su un campione di oltre 14.500 pazienti, ha analizzato 6 aree terapeutiche, quali diabetologia, cardiologia, dislipidemia, reumatologia, psichiatria e ipertensione, con l’obiettivo di studiare gli effetti della sostituzione da parte del farmacista di un medicinale generico con un altro equivalente in termini di aderenza e persistenza al trattamento terapeutico in atto. In tutte e 6 le aree prese in esame si è riscontrato un progressivo trend di riduzione della compliance a seguito di un cambio di farmaco: in media, se una prescrizione di generico su due viene sostituita con un altro equivalente, per la dislipidemia e il diabete si registra la percentuale più alta di diminuzione dell’aderenza, rispettivamente il 48% e il 36%, seguita dall’area della reumatologia (21%) e della psichiatria (19%) e dall’ipertensione (10%).

“I dati confermano che la pratica della sostituzione di un generico con un altro farmaco equivalente è assai comune, interessando più della metà dei pazienti”, dichiara Enrico Agabiti Rosei, presidente della Società Europea dell’Ipertensione. “Inoltre, lo ‘switch’ spesso avviene ripetutamente, con una frequenza compresa fra un cambio ogni 3 e uno ogni 5 prescrizioni, in relazione alle diverse aree terapeutiche. I risultati evidenziano anche che nei pazienti con ripetuti ‘switch’ vi è una netta caduta dell’aderenza e della persistenza al trattamento, e ciò richiama l’attenzione sui possibili rischi connessi a frequenti variazioni del farmaco dispensato”.

Conclude Giorgio L. Colombo, docente del dipartimento di Scienze del Farmaco, Università degli Studi di Pavia: I medici e i responsabili amministrativi pubblici dovrebbero considerare l’impatto di frequenti sostituzioni generiche sulla persistenza e aderenza, che possono influenzare l’efficacia e la sicurezza dei trattamenti”.