Il controllo dell’iperuricemia cronica

 

In alcuni casi i livelli di acido urico nel sangue possono essere insolitamente elevati: questo disturbo è detto iperuricemia. L’acido urico presente nell’organismo in eccesso formerà dei cristalli di urato monosodico, proprio come avviene quando si versa troppo sale in un bicchiere d’acqua. All’inizio il sale si scioglie e si mescola con l’acqua ma, aggiungendone ancora, la soluzione si satura e si possono formare cristalli che precipitano sul fondo del bicchiere. Al microscopio i cristalli di acido urico sono appuntiti e assomigliano a minuscoli aghi. In alcune persone i cristalli di acido urico si depositano nelle articolazioni, i tessuti che si trovano nelle giunzioni ossee, mentre in altre si accumulano sottopelle, prevalentemente nel tessuto cartilagineo formando una massa che in certi casi può essere avvertita anche dall’esterno e che prende il nome di tofo.

 

 

Il sistema immunitario, che protegge l’organismo da tutto ciò che riconosce come estraneo, avverte la presenza anomala dei cristalli e inizia ad attaccarli; la conseguenza è che il paziente soffrirà dolori articolari, gonfiore e dolorabilità generalizzata. L’acido urico in eccesso può anche depositarsi nei reni e provocare la formazione di calcoli renali.

La precipitazione dell’acido urico è frequente nell’acidosi urinaria provocata da diabete mellito, dieta iperproteica, digiuno o da insufficienza renale cronica. Una tipica malattia ascrivibile alla precipitazione dei cristalli di acido urico è la gotta.

I fattori di rischio

La gotta colpisce circa 840 persone su 100.000 e gli uomini sono leggermente più a rischio delle donne e anche alcune malattie ereditarie possono provocare un accumulo di acido urico. Un’alimentazione troppo ricca di purine a base di crostacei o di fegato, reni e cervello bovini o suini ma anche di fagioli secchi, piselli, acciughe può indurre l’organismo a produrre una maggiore quantità di acido urico. Ugualmente l’alcool riduce la capacità dell’organismo di smaltirlo. Inoltre anche l’esposizione prolungata al piombo tende a far aumentare i livelli di acido urico nel sangue. Il sovrappeso rappresenta un ulteriore fattore di rischio. Alcuni farmaci, infine, come i diuretici, le ciclosporine e la levodopa fanno aumentare il rischio di iperuricemia.

Il trattamento dell’iperuricemia e della gotta

Uno degli obiettivi prevalenti nel trattamento dell’iperuricemia e della successiva gotta è una riduzione a lungo termine della concentrazione di acido urico nel siero. Questa riduzione, se mantenuta nel tempo, può prevenire la formazione e la deposizione dei cristalli di urato. Tuttavia la patologia viene combattuta su più fronti con farmaci che:

  • alleviano il dolore provocato dagli attacchi;
  • diminuiscono l’infiammazione alle articolazioni;
  • diminuiscono il livello di acido urico nel sangue.

Per alleviare il dolore causato dalla gotta viene spesso adoperato il paracetamolo. L’acido acetilsalicilico, al contrario, dovrebbe essere evitato, perché può impedire ai reni di eliminare l’acido urico. Se il dolore è molto intenso, potranno essere adoperati analgesici più potenti come l’indometacina. La terapia della gotta inoltre si prefigge di tenere sotto controllo il dolore durante gli attacchi e prevenire ulteriori attacchi nonché la formazione di nuovi tofi e calcoli renali.

I farmaci antinfiammatori non-steroidei (FANS) o i corticosteroidi rappresentano il trattamento di prima scelta. Tuttavia, essi debbono essere adoperati con cautela a causa dei noti effetti collaterali quali irritazione dell’apparato digerente, ulcere gastriche e intestinali, sanguinamento intestinale, gravi reazioni allergiche. La colchicina è un altro farmaco efficace per diminuire il gonfiore e il dolore e per far cessare un attacco. Esso è più efficace se assunto entro dodici ore dall’inizio dell’attacco. Nel paziente anziano, che presenta una soglia di tossicità più bassa, tutti i farmaci devono essere somministrati con particolari cautele.

Per la riduzione dei livelli di acido urico sono disponibili diverse classi di farmaci: farmaci uricosurici (probenecid e sulfinpirazone) e inibitori della xantina-ossidasi (allopurinolo e febuxostat). L’allopurinolo blocca l’enzima xantina-ossidasi in due delle tappe fondamentali della sintesi delle purine, mentre il probenicid ed sulfinpirazone sono agenti uricosurici e limitano il riassorbimento degli urati a livello renale. Le dosi giornaliere raccomandate per la somministrazione di allopurinolo sono comprese tra 100 e 800 mg al giorno. Gli effetti avversi del farmaco, sebbene poco comuni, si verificano specialmente in pazienti affetti da grave insufficienza renale. Sfortunatamente molti pazienti trattati con allopurinolo non raggiungono i livelli sierici di acido urico prefissati, spesso a causa di una intolleranza al farmaco stesso alle dosi già di 300 mg.

Mentre per molti decenni l’allopurinolo è stato l’unico inibitore della xantina ossidasi disponibile, recentemente è stato approvato in Europa e negli USA un nuovo farmaco, il febuxostat che rappresenta una valida alternativa nei pazienti con intolleranza o ipersensibilità all’allopurinolo, o in caso di scarsa efficacia di questo nel ridurre i livelli di acido urico, anche nel migliorare la qualità di vita e l’autonomia funzionale.

Febuxostat, alternativa farmacologica

Il febuxostat è un nuovo farmaco non-purinico, agonista dell’enzima xantina-ossidasi; secondo uno studio recente il farmaco avrebbe un’efficacia simile all’allopurinolo nell’ottenere una diminuzione dei livelli di acido urico. Il febuxostat, diversamente dall’allopurinolo, non presenta una struttura purino-simile, viene metabolizzato principalmente a livello epatico e solo in parte a livello renale. In un ampio trial clinico si è visto come il febuxostat a un dosaggio di 80 e 120 mg riesce a ridurre i livelli di acido urico a valori inferiori ai 6 mg/dl nella maggioranza dei soggetti in 52 settimane, obiettivo non raggiunto dall’allopurinolo al dosaggio fisso di 300 mg. Attualmente il febuxostat è approvato nei Paesi europei al dosaggio di 80 e 120 mg giornalieri, mentre l’FDA ne ha approvato l’uso nel febbraio 2009 a una dose di 40 mg (dosaggio non disponibile in Italia), da aumentare fino a 80 mg, se non si riducesse l’uricemia.

Gli effetti avversi comuni di tale farmaco comprendono il rash nell’1,2% dei pazienti, un aumento degli enzimi epatici nel 5% dei casi, cefalea nell’1,2%, nausea nell’1,3%, diarrea nell’2,7%, con possibilità di interazioni farmacologiche, come avviene per l’allopurinolo. Non è inoltre necessario l’aggiustamento della dose nei pazienti con insufficienza renale lieve e moderata. Negli studi clinici e stato inoltre riscontrato un lieve aumento del rischio di eventi cardiovascolari, sebbene non significativo, motivo per il quale non è raccomandato l’utilizzo nei pazienti con scompenso cardiaco congestizio o cardiopatia ischemica. Viene inoltre raccomandata cautela nei pazienti con alterata funzione tiroidea, in relazione all’osservazione di incremento dei valori di TSH in alcuni pazienti trattati con febuxostat. Ulteriori studi mirati sono necessari per definire la reale entità di tali rischi. È stata recentemente pubblicata la nota AIFA 91, che autorizza la prescrizione del febuxostat a carico del SSN con la seguente indicazione: «trattamento dell’iperuricemia cronica con anamnesi o presenza di tofi e/o di artrite gottosa in soggetti che non siano adeguatamente controllati con allopurinolo o siano a esso intolleranti».

Antonio Lavecchia