Negli ultimi anni, più che in passato, si assiste a un progressivo aumento del numero di farmacisti che decidono di svolgere la propria professione come liberi professionisti, mediante contratto d’opera ex art. 2222 c.c., piuttosto che come dipendenti, con contratto di lavoro subordinato, considerando, evidentemente, per svariate ragioni, tale tipologia contrattuale più rispondente alle proprie esigenze personali e professionali.

Tale costante aumento di farmacisti liberi professionisti, a fronte, peraltro, di una sempre maggiore carenza di personale nel settore, rende oggi quanto mai opportuno chiarire quali siano le caratteristiche che contraddistinguono il rapporto di lavoro autonomo da quello subordinato nel contesto farmaceutico. Il fine è quello di evitare possibili riqualificazioni del contratto, con tutte le conseguenze che ne deriverebbero in termini sia di sanzioni sia di maggiori esborsi contributivi.

Quali criteri di distinzione

A tale proposito, i criteri normalmente dettati dalla giurisprudenza per distinguere le due tipologie contrattuali non appaiono direttamente applicabili con specifico riferimento alla professione dei farmacisti, stante le peculiarità di tale prestazione sanitaria, connotata da un’accentuata esigenza di perseguimento dell’interesse pubblico.

Ritenere, infatti, che il parametro distintivo del rapporto di lavoro autonomo sia da individuare nell’assenza di un vincolo di soggezione e subordinazione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, porterebbe di fatto a escludere la possibilità di stipulare tale tipologia di contratto con i farmacisti, che, necessariamente, devono sottostare alla direzione e al controllo del titolare o del direttore, il quale risponde personalmente dell’esercizio e della gestione della farmacia stessa, e ciò anche per soddisfare le esigenze di pubblico interesse, naturalmente connesse all’attività dagli stessi esercitata.

La questione oraria

Allo stesso modo, anche il rispetto di un determinato orario di lavoro o il coordinamento dei turni di attività dei farmacisti non può valere quale discrimine con riferimento alle due tipologie contrattuali. Ciò poiché tutti i farmacisti che prestino la propria attività in farmacia devono per forza attenersi al rispetto di determinati orari di lavoro prestabiliti e agli orari di apertura e chiusura della farmacia stessa, i quali sono definiti per garantire la continuità della prestazione nei confronti del pubblico.

L’orientamento del Tar

Ciò considerato, pare condivisibile l’orientamento del Tar del Lazio che, sul punto, con sentenza n. 7615 del 2001, fissa quali criteri per distinguere le due tipologie contrattuali, nel settore in esame, nella temporaneità, eccezionalità oppure occasionalità del rapporto di lavoro autonomo.

Quest’ultimo, rispetto al rapporto di lavoro subordinato, deve essere stato instaurato con la precisa volontà da parte del datore di lavoro di far fronte a determinate esigenze di carattere momentaneo e nell’assenza di un qualsivoglia vincolo di esclusività in capo al lavoratore libero professionista, che deve essere libero di poter svolgere la propria prestazione professionale contemporaneamente anche presso diverse farmacie.

Necessaria una legislazione più chiara

Tuttavia, in assenza di una chiara legislazione e di consolidate pronunce giurisprudenziali sul tema in ambito prettamente farmaceutico, i suddetti criteri non paiono essere definitivamente acquisiti come discrimine tra la libera professione e il lavoro subordinato del farmacista. Pertanto, potendo tali criteri essere oggetto di rivisitazione o di ulteriore specificazione, allo stato attuale persistono dubbi e ambiguità nella chiara distinzione tra le due fattispecie.