Mi sta a cuore, survey di Cittadinanzattiva sulle patologie cardiovascolari

Sebbene gli indicatori degli ultimi anni mostrino un sistema sanitario che è stato in grado di ridurre il tasso di mortalità rispetto alle patologie cardiovascolari, riuscendo, in molti casi, a cronicizzarle, le stesse restano di gran lunga una delle principali cause di invalidità e di morbosità. A livello nazionale si riscontrano ancora forti disparità territoriali nella qualità dell’assistenza, lunghi tempi di attesa e una cultura della prevenzione ancora poco diffusa.

L’Italia è tra i paesi con la più lunga aspettativa di vita: a fronte di questo, tuttavia, i bisogni dei pazienti restano sovente insoddisfatti tanto che nella classifica Eurostat 2019, lo Stivale si colloca agli ultimi posti per qualità della vita degli stessi. Con il progressivo invecchiamento della popolazione, entro il 2050 verosimilmente 1 cittadino su 8 avrà oltre 80 anni, elemento questo che andrà a determinare maggiori bisogni di salute. Il costante invecchiamento della popolazione, abitudini e stili di vita scorretti, i nuovi fattori ambientali, stanno contribuendo all’aumento dell’incidenza di patologie che, grazie all’innovazione clinica, farmaceutica e tecnologica, riusciamo a cronicizzare, ma rispetto alle quali non abbiamo strumenti e modelli pienamente efficaci per rendere sostenibile il nostro sistema, soprattutto da un punto di vista economico”, si legge nel rapporto. Stando ai dati Istat 2020, nel nostro Paese oltre il 35% dei decessi avviene per patologie cardiovascolari o oncologiche. Inoltre, le profonde differenze di accesso ai servizi sul territorio generano, per alcune regioni, un abbassamento dell’aspettativa di vita anche di 5 anni rispetto alla media nazionale. Stili di vita scorretti, consumo eccessivo di alcol e tabacco – che interessa 1 cittadino su 5 – o l’obesità infantile – l’Italia è al 2° posto tra i Paesi Ocse – restituiscono l’immagine di una popolazione fragile. In questo scenario, le patologie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte e una importante causa di invalidità contando 9,6 milioni di pazienti.

Il progetto “Mi sta a cuore”

Il progetto “Mi sta a cuore”, promosso da Cittadinanzattiva con la Federazione italiana Medici di Medicina Generale – FIMMG – e la Società italiana di Cardiologia invasiva – GISE si basa sulla volontà di fotografare, attraverso una survey, la situazione esistente sia dal punto di vista dei clinici – medici di medicina generale e specialisti ospedalieri – sia da quello dei cittadini, cercando di far emergere le discrepanze tra le diverse percezioni e valorizzando i punti di contatto e di forza dei percorsi di cura. I temi al centro dell’indagine riguardano, da una parte, l’incapacità del Servizio Sanitario Nazionale di far fronte contemporaneamente alla gestione del Covid-19 e delle cronicità, che ha determinato un acuirsi delle criticità, e dall’altro temi più generali, come la capacità di organizzare modelli in grado di integrare al proprio interno non solo la riforma della medicina territoriale, principale portato innovativo della pandemia, ma anche tematiche storiche quali l’accesso all’innovazione tecnologica e farmaceutica che presentano livelli di avanzamento regionali significativamente diversi e distanti.

Le survey: il punto di vista dei professionisti

Le survey, lanciate a partire da luglio 2021, hanno raccolto complessivamente 3.073 risposte. Sono state 1.308 le rispondenze da parte di pazienti, a fronte delle 1.060 compilate da specialisti ospedalieri e ambulatoriali e 705 da parte di MMG. Il campione è composto per il 73% da soggetti di sesso maschile con una distribuzione per fasce d’età omogenea. Non è invece omogenea la distribuzione territoriale tra le diverse regioni, anche se la fotografia restituisce un quadro di sintesi esaustivo. Tra i professionisti, il 50,6% del campione esercita in una città in zona centrale, a fronte del 22,3% esercitante in zona cittadina periferica e del 25,1% in un piccolo centro. Solo il 2% esercita in zona rurale con scarsa popolazione.

 

La prevenzione primaria

La quasi totalità del campione dei professionisti dichiara di seguire linee guida internazionali e prescrive, in presenza di fattori di rischio, visite specialistiche dal nutrizionista-dietista e in alcuni casi una polisonnografia. Nell’ambito della prevenzione primaria e dell’educazione alla salute e alla prevenzione emerge con chiarezza la quasi totale assenza di programmi sperimentali di collaborazione tra MMG e specialisti per l’individuazione di pazienti con rischio cardiovascolare. Solo il 7,4%, infatti, dichiara di far parte di percorsi strutturati che vedono una interazione costante tra specialisti e medici di medicina generale, per la maggior parte dei casi grazie alla presenza di PDTA aziendali e non regionali, elemento questo che determina disuguaglianze di trattamento dei pazienti anche all’interno della medesima realtà regionale.

La prevenzione secondaria

In questo caso, così come per molte altre patologie, l’aderenza terapeutica dei pazienti italiani risulta sempre al di sotto degli standard richiesti. La mancata integrazione e l’assenza di un modello multidisciplinare condizionano fortemente la capacità del sistema e dei suoi attori di avere parte attiva nel percorso di aderenza terapeutica, nonostante una percezione e una dichiarazione di efficienza del proprio modello attivo da parte degli intervistati dalla survey”, si legge nel rapporto. La quasi totalità del campione ritiene inoltre importante un maggiore scambio tra MMG e specialisti, per favorire il quale i nuovi strumenti offerti dalla tecnologia rappresentano una importante risorsa.

La presa in carico

Il sistema sanitario nazionale riesce a garantire una piena presa in carico in oltre il 76% dei casi, anche se i tempi di attesa rischiano di essere particolarmente prolungati.  Visite ed esami specialistici sono garantiti entro 10 giorni in poco meno dell’8% dei casi; nel 12% circa dei casi i tempi di attesa vanno dagli 11 ai 20 giorni. “Più dell’80% degli intervistati dichiara che i tempi di attesa medi per la prima visita o esame specialistico per i loro pazienti vanno dai 21 giorni in su (il 54% riferisce di tempi di attesa che possono superare anche i 30 giorni). Anche se è vero che tali dati risentono di una percentuale più alta in alcune regioni del sud (Calabria e Sicilia), nessuna delle realtà regionali presenta tempi di attesa riconducibili ad una soglia accettabileemerge ancora dal rapporto.

Il parere dei pazienti e le principali criticità emerse

Lato pazienti, i questionari sono stati compilati da 1.308 soggetti con una prevalenza marcata di soggetti di sesso femminile (oltre il 60%) e una distribuzione territoriale estremamente disomogenea che vede il 70% delle risposte provenienti da Lazio, Campania e Veneto. Per quanto riguarda la prevenzione primaria, oltre il 46% del campione riferisce di affidarsi principalmente a fonti istituzionali riconducibili al sito del Ministero della Salute o ad altri Enti e Società scientifiche, solo il 16% fa riferimento ai servizi sanitari territoriali e quasi il 40% si affida ai social media, alla tv generalista o allo scambio di informazioni con conoscenti, amici o parenti. Per quanto attiene la prevenzione secondaria, se il 70% circa del campione dichiara di svolgere regolarmente controlli per tenere sotto controllo la propria situazione cardiovascolare, solo nel 30% dei casi si tratta di percorsi strutturati. I pazienti inoltre riconoscono alle associazioni un importante punto di riferimento e guida (53,9%). Il mancato o insufficiente rapporto MMG-specialista viene sottolineato anche lato paziente, laddove gli stessi hanno in molti casi difficoltà a seguire le terapie assegnate e questo dipende, spesso, dalla complessità di un quadro clinico non conosciuto nella maggior parte dei casi dagli specialisti.

Le principali difficoltà emerse riguardano il numero eccessivo di farmaci che i pazienti devono assumere e gli effetti collaterali che le terapie causano in presenza di morbidità e di altre terapie già esistenti. Altra criticità particolarmente manifesta è quella legata all’eccessiva burocrazia per il rinnovo dei piani terapeutici che limita la capacità, soprattutto dei pazienti fragili, di essere costanti nelle cure. La gestione del percorso diagnostico-terapeutico del paziente, a seguito della dimissione ospedaliera per acuzie, si evidenzia come una delle principali criticità che determinano disuguaglianze di trattamento e disomogeneità di accesso ai servizi. Solo nel 22,7% dei casi il percorso post dimissione è gestito tramite l’interazione diretta dei medici di base e le sedi di ricovero ospedaliero, a fronte di un 31,6% dei casi in cui è solo il medici di medicina generale a farsi carico dell’organizzazione del percorso e di un 45,7% a carico, invece, delle stesse sedi di ricovero che ne gestiscono e definiscono il percorso dedicato. Nel 35% dei casi i pazienti sottolineano la totale assenza di percorsi; questo elemento è più marcato nelle regioni del Sud, anche se la situazione è manifesta, a macchia di leopardo, in tutta la penisola. Le principali azioni da portare avanti, anche grazie ai fondi del PNRR, devono mirare a ridurre le disuguaglianze esistenti a livello territoriale e regionale e migliorare la prevenzione primaria e secondaria con un piano educativo incisivo a livello di sistema Paese.