Lo scorso 9 giugno presso il Rettorato Unimi è stata promossa la riunione plenaria delle U.O. aderenti al programma “Ospedale Territorio per la continuità assistenziale nella rete socio sanitaria milanese”, un’iniziativa che si è proposta di riflettere sulla medicina territoriale di prossimità e sulla formazione dei futuri professionisti che faranno parte di questo network. Tante le criticità emerse, in particolare la carenza di personale

Il programma “Ospedale territorio per la continuità assistenziale nella rete socio sanitaria milanese” è un progetto avviato nel maggio 2015 cui partecipano numerose unità operative e servizi socio-sanitari del territorio. Lo scorso 9 giugno è stata promossa una riunione plenaria, ospitata presso il Rettorato dell’Università Statale di Milano (Unimi), per riflettere sulla medicina di prossimità e sulla formazione dei futuri professionisti che saranno protagonisti di quest’area.

L’importanza della prossimità

La medicina territoriale si è imposta con l’avvento della pandemia Covid-19 come una delle necessità più stringenti del nostro Ssn. Tuttavia, passata l’emergenza, la sua centralità è rimasta cruciale, tanto più in un Paese come l’Italia caratterizzato da un progressivo e continuo invecchiamento della popolazione, un aumento delle cronicità (basti pensare che già oggi le malattie croniche interessano il 40% della popolazione, pari a 24 milioni; 12,5 milioni i pazienti con più cronicità), che pesano sempre più sul bilancio sanitario.

A ciò si aggiunge un’aspettativa di vita sempre più lunga per i pazienti oncologici, per i prematuri e per altre condizioni patologiche come l’obesità, anche pediatrica, che hanno un peso sempre più importante.

Puntare a una medicina preventiva e personalizzata

Di fronte a questo scenario certamente mutato rispetto a soli 50 anni fa, appare sempre più lungimirante puntare su una medicina preventiva, più efficace e meno costosa, a un sistema sanitario innovativo, che integri ricerca e sviluppo, utilizzo di tecnologie, big data, AI, machine learning, stampa 3D, telemedicina, cure personalizzate e crescente domiciliarizzazione del paziente. Elementi, questi che richiedono tuttavia percorsi formativi continui per il personale sanitario.

Percorsi di formazione continua per il personale

Per quanto l’Università intenda rispondere con un’offerta formativa più allineata allo scenario e ai nuovi saperi, si riscontra una mancanza di vocazione soprattutto per alcune professioni, in primis quella infermieristica. Stando ai dati relativi all’anno accademico 2022/2023, è stato riscontrato un calo del 7% a livello nazionale nelle domande di iscrizioni alla facoltà di scienze infermieristiche; -15,2% nelle 5 Università statali della Regione Lombardia. A un imbuto formativo determinato dalla carenza di borse di specializzazione, oggi parzialmente risolto, ha fatto seguito un imbuto lavorativo, con la conseguente fuga dei cervelli.

A ciò si aggiunge l’assoluta mancanza di appeal di alcune aree mediche: dalla medicina di emergenza-urgenza alla virologia e microbiologia, dall’anatomia patologica alle cure primarie e un richiamo crescente del settore privato anche per ragioni squisitamente remunerative.

Ridare centralità al Mmg e puntare alle nuove tecnologie

Di fronte a questo scenario, nei prossimi anni ci si scontrerà con il problema dei pensionamenti. Di fronte a un’evidente carenza di personale c’è da chiedersi come verranno riempite le nuove strutture introdotte con il PNRR, a partire dalle case di comunità. Soprattutto, c’è da chiedersi se abbia senso eliminare il medico “sotto casa” di fronte ad una popolazione che invecchia sempre di più.

La proposta è quella invece di assegnare una nuova centralità al medico di medicina generale all’interno di un network di specialisti raggiungibili anche grazie alla telemedicina. Questa formula consentirebbe di ridurre le liste di attesa, garantire visite anche nelle aree più remote del paese, ridare centralità al medico di famiglia nonché essere in caso di fronteggiare anche possibili future pandemie.