Prevenzione e contrasto delle infiammazioni per mantenere una buona salute anche nella terza età

Uno stile di vita sano, una corretta alimentazione e un uso giudizioso dei farmaci sono gli elementi chiave per una vita lunga e in salute

Sono oltre 14 milioni gli over 65 nel nostro Paese e quasi 15mila quelli che hanno raggiunto i 100 anni di età. Sintomo, questo, di un sistema sanitario nazionale efficiente e di una robusta impalcatura sociale che pone l’anziano al centro della comunità, tutelato e rispettato. Importantissimi, poi, uno stile di vita corretto e una sana alimentazione, come la dieta mediterranea, capaci di “aggiungere anni alla vita”.

Partendo da queste considerazioni è nato il programma dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) “Decade of Healthy Ageing 2021-2030”, volto a orientare tutti i protagonisti della sanità, istituzionali e privati, verso un impegno concreto in termini di progetti e politiche a favore degli individui senior e delle comunità in cui essi vivono. In questa presa in carico integrata, primario è il ruolo dei farmacisti, che rappresentano un presidio essenziale per la prevenzione e il supporto informativo agli anziani, nel rispetto della loro autonomia, per proseguire quindi con i caregiver e le famiglie e poi verso un adeguato indirizzamento agli specialisti. A oggi una buona presa in carico della terza età rappresenta un obiettivo condiviso da molti Paesi. Appare quindi importante adottare soluzioni efficienti, a partire da buone politiche di prevenzione, per mantenere gli over 65 in salute.

Le fragilità dei senior

L’invecchiamento è tuttavia sovente associato al concetto di fragilità: i pazienti anziani sono spesso cronici e con multi-morbilidità. Basti pensare che il 55% degli over 65 assume in media tra 5 e 9 farmaci al giorno e che il 14% di essi addirittura supera i 10 farmaci al dì. La prevenzione appare quindi il nodo cruciale, un percorso che deve essere avviato prima che i segni dell’invecchiamento siano palesemente manifesti.
Di questi temi si è discusso nel corso dell’incontro “È proprio inevitabile invecchiare?” promosso da Guna e tenutosi lo scorso 20 maggio, in cui i relatori si sono confrontati anche rispetto alle migliori pratiche da mettere in atto per assicurare un percorso di salute stante l’avanzare degli anni.

Prevenzione e riduzione delle infiammazioni

Determinante per ridurre gli effetti dell’invecchiamento è il contrasto ai fenomeni infiammatori. L’infiammazione è infatti il fil rouge che lega le tante patologie che caratterizzano l’anziano. Sono tante le ragioni che possono determinare una risposta infiammatoria, a partire da un inserimento in un contesto sociale inadatto. Tutto questo crea una risposta a livello di molecole citochiniche infiammatorie. La stessa demenza, che interessa 1,2 milioni di soggetti in Italia e che potrebbe raddoppiare in meno di trent’anni, è riconducibile a un fenomeno infiammatorio. «Per prevenire e arginare gli effetti del decadimento si è dimostrata molto utile la BDNF, Brain Derived Neurotrophic Factor. Le evidenze dello studio condotto sono state pubblicate sulla rivista Brain Science dell’aprile 2020, mostrando come la BDNF migliora le condizioni corticali e i markers che controllano l’invecchiamento cellulare» ha sostenuto Alessandro Perra, Direttore Scientifico di Guna.

Ivo Bianchi, specialista di medicina interna e già Presidente della Società Italiana di Omotossicologi, ha evidenziato che i fattori infiammatori iniziano a manifestarsi già a partire dai 50 anni. Un altro fattore che determina il decadimento delle funzioni cerebrali è poi l’ingrassamento. Gioca, dunque, un ruolo cruciale l’alimentazione, che non deve essere eccessiva per non determinare aumento di peso, senza però scadere nella malnutrizione, fonte di carenze, che espongono a maggiori fragilità.

«L’azione cruciale da perseguire è quella di intervenire su ogni soggetto con un programma differenziato, in quanto ciascuno ha un suo diverso equilibrio. Spesso la malattia è proprio frutto di uno squilibrio infiammatorio. In questo contesto, si inserisce alla perfezione la Low Dose Medicine. Da una parte perché si fonda su una visione sistemica del malato, aspetto fondamentale per provare, quanto meno, ad agire alla base delle tante patologie e così ridurre la somministrazione di farmaci. Dall’altra perché ci mette a disposizione una farmacologia biologica low dose in grado di assicurare trattamenti anche long-term nella massima sicurezza clinica anche in caso di patologie complesse e croniche come sono la maggior parte delle malattie degli anziani» ha concluso Bianchi.